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PENSIERO E SENSO NELL'ESPERIENZA ... - FedOA

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funzionando solo in quanto parte integrante di una totalità di segni. Da ciò<br />

discende che, in via generale, diversamente dall’ambito dell’espressione, dove a<br />

prevalere è la logica della dimostrazione inferenziale e dell’evidenza 464 , la<br />

indicazione ha un carattere di «non evidenza [Uneinsichtigkeit]», il quale fa<br />

premio su un principio di inerenza 465 . Tuttavia, se si considera la prassi<br />

linguistico-comunicativa, osserva Husserl, la funzione indicativa e quella<br />

espressiva sono intrecciate 466 . Infatti, l’aspetto fisico della espressione diviene<br />

linguaggio solo in virtù del fatto che colui che parla produce «la complessione<br />

fonetica (il segno scritto, ecc.)» con l’intenzione di “pronunciarsi su qualche<br />

cosa” 467 . A conferire alle espressioni un senso o un significato sono dunque gli<br />

atti psichici originari, sebbene, nel corso della comunicazione, chi ascolta le<br />

parole di un altro non colga in un medesimo tempo i vissuti psichici<br />

corrispondenti: le parole servono all’ascoltatore «come segni dei “pensieri” di<br />

chi parla [als Zeichen für die “Gedanken” des Redenden], cioè dei suoi vissuti<br />

psichici significanti [sinngebenden psychischen Erlebnisse]» 468 . A riprova di ciò<br />

varrà a contrariis l’esempio offerto dal monologo interiore, nel quale,<br />

quantunque sia possibile «esprimere e riprodurre, per la prima volta<br />

accuratamente e per così dire scientificamente, l’andamento del pensiero, con<br />

tutte le associazioni e dislocazioni» 469 , è nodimeno impossibile ritenere che le<br />

espressioni fungano da indici; in tale evenienza «gli atti in questione sono infatti<br />

– sostiene Husserl – vissuti da noi stessi nel medesimo istante», senza che possa<br />

464 Ivi, p. 33; trad. it. pp. 293-294: «(…) si parla di dimostrazione in senso autenticamente logico<br />

solo nel caso di deduzioni che siano evidenti, o almeno che lo siano fin al punto in cui ciò è<br />

possibile. Certo, molto di ciò che noi presentiamo come dimostrazione o, nel caso più semplice,<br />

come inferenza, non è evidente, è persino falso. Ma proprio in quanto lo presentiamo in questo<br />

modo, avanziamo la pretesa che il rapporto di consequenzialità possa essere compreso con<br />

evidenza».<br />

465 Ivi, p. 36; trad. it. p. 297: «ogni unità di esperienza come unità empirica della cosa,<br />

dell’evento, dell’ordine e della connessione delle cose, è un’unità fenomenale in virtù<br />

dell’inerenza reciproca sensibile degli aspetti e delle parti, che emergono unitariamente,<br />

dell’oggettualità che si manifesta. Nel manifestarsi, una cosa rimanda ad un’altra, secondo un<br />

certo ordine ed un certo rapporto di connessione».<br />

466 Cfr. ivi, pp. 39-40; trad. it. p. 300. Per un più ampio commento, cfr. E. Melandri, Le<br />

“Ricerche Logiche” di Husserl, cit., in part. il VII cap., pp. 169-186.<br />

467 Ivi, p. 39; trad. it. p. 299.<br />

468 Ivi, p. 40; trad. it. p. 300. Puntualmente C. Sini nota a margine di questi passi da ultimo citati<br />

che in Husserl «la comunicazione è caratterizzata da una mutua correlazione intenzionale: chi<br />

parla imprime nelle parole la propria intenzionalità espressiva; chi ascolta comprende nelle<br />

parole l’intenzione animatrice dell’atto. Il medio di questa correlazione è l’aspetto fisico del<br />

discorso: esso consente lo scambio spirituale, veicolando (come si ama dire oggi) il significato<br />

intenzionale» (Id., Il problema del segno in Husserl e in Peirce, in Id., Kinesis. Saggio<br />

sull’interpretazione, Spirali, Milano 1982, pp. 13-29, qui p. 17). Ma su ciò sia consentito rinviare<br />

a quanto da me scritto in Il segno in Husserl fra silenzio e ricordo, in «aut-aut», 331, 2006, pp.<br />

197-215.<br />

469 J. R. Wilcock, Il monologo interiore, in Saggi italiani 1959, a cura di A. Moravia e E. Zolla,<br />

Bompiani, Milano, pp. 159-162, qui p.160.<br />

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