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Untitled - Fondazione Giovanni Agnelli

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le due guerre sono trattati nei manuali di storia in forma di studi specifici<br />

sul fascismo e sul comunismo e ricondotti al rifiuto di cercare un<br />

equilibrio sostitutivo dell’assetto coloniale europeo frantumatosi con la<br />

prima guerra mondiale. Riguardo alle conseguenze internazionali delle<br />

vicende interne che dominarono l’Europa dal 1919 al 1945, nei libri di<br />

testo viene supposto che la storia si sarebbe svolta diversamente se ci<br />

fosse stato alla fine della prima guerra mondiale un accordo europeo. Il<br />

declino dell’Europa, che portò al dominio politico del fascismo e delle<br />

dittature negli anni trenta (Shephard, 1987, p. 21) e nella seconda guerra<br />

mondiale, infine, a un assoggettamento temporaneo di ampie parti<br />

d’Europa da parte della Germania nazional-socialista (Europa sotto il<br />

nazismo; Lee, 1990 2 , p. 55), aveva le sue radici in una politica di ripudio<br />

delle alleanze sancite nella vecchia Europa: «La Germania si volse<br />

all’altro reietto dell’Europa, la Russia comunista, come a un possibile<br />

alleato» (Shephard, 1987, p. 10).<br />

La prima guerra mondiale, con il nuovo assetto territorale che ne<br />

segui, è generalmente presentata come svolta che divide la storia della<br />

vecchia Europa da quella della nuova; tuttavia ci sono chiare differenze<br />

nella valutazione della dimensione europea. Cosi, ad esempio, Roberts<br />

(1987 2 ), Shephard (1987) e Scott (1989) considerano i trattati di pace<br />

come trattati europei, che stabiliscono nuovi confini all’interno<br />

dell’Europa. Lowe (1988 2 , pp. 218-19) sottolinea le nuove linee di<br />

conflitto della politica internazionale e qualifica «piantagrane» Polonia,<br />

Italia e Giappone, che contribuirono ad affossare la ricerca di un nuovo<br />

assetto. Invece, Tate (1989b), De Marco (1987) e Davies (1990)<br />

sottolineano gli effetti negativi delle perdite territoriali e delle limitazioni<br />

economico-militari imposte alla Germania, presentando la nazione<br />

tedesca in modo particolare quale vittima di una politica di potenza<br />

miope, alla quale mancò la ricerca del consenso. Riassumendo si può<br />

dire che – in poche parole – nei manuali di storia britannici sono<br />

applicati due modelli interpretativi del concetto d’Europa, il primo dei<br />

quali è fondato sul presupposto che relazioni internazionali debbano<br />

basarsi sul consenso come fu tentato nel 1919; il secondo presuppone<br />

che gli interessi di parte non possano esser negati e che il consenso in<br />

Europa sia realizzabile soltanto se gli interessi di potere convivono<br />

l’uno accanto all’altro, limitandosi e equilibrandosi reciprocamente.<br />

Alla base di tale concezione dell’Europa pare esservi il modello del<br />

colonialismo, che poneva la stabilità sullo stesso piano dell’accordo al<br />

di sopra degli ambiti di dominio tra le grandi potenze, modello a cui si<br />

contravvenne a Versailles e nel periodo tra le due guerre. Il modello<br />

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