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Untitled - Fondazione Giovanni Agnelli

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mente esposte le cause del successo europeo (Cartiglia, vol. II, 1989, p.<br />

201), analogamente a quanto fanno Calvani e Giardina – bensì in una<br />

scheda di lavoro annessa a un capitolo dedicato all’India e alla Cina,<br />

posto alla fine del volume. In questa scheda, intitolata Un problema storico:<br />

perché l’immobilismo della Cina? Perché la Cina non arrivò in Europa, ma fu<br />

l’Europa ad arrivare in Cina? (Cartiglia, vol. II, 1989, p. 405) l’autore,<br />

riprendendo le tesi di Braudel e di Wittfogel, sostiene che la Cina rimase<br />

chiusa in se stessa sia perché la sua agricoltura assorbiva quasi tutte le<br />

sue energie produttive, sia perché la classe dei funzionari, accentrando<br />

tutto il potere, soffocò l’iniziativa di mercanti e di militari, sia, infine,<br />

perché la sua cultura era contraria a espandersi, a imporre, ad esempio,<br />

la propria religione ad altri.<br />

Gli altri manuali non toccano affatto il problema delle origini della<br />

supremazia europea, che pure è uno dei temi della riflessione storiografica<br />

contemporanea: sembra che un’eurocentrismo di fondo li porti a<br />

considerare l’espansione europea come una tranquilla ovvietà.<br />

Il comportamento degli europei alla conquista del mondo viene<br />

commentato duramente da tutti i manuali. Brancati, ad esempio, dopo<br />

aver definito «fiorenti» le civiltà azteca, maya e inca, scrive: «Ebbene,<br />

proprio a totale e completo danno di queste particolari forme di “cultura”,<br />

ebbero a sfogare il loro spirito di egoistica conquista alcuni ristretti<br />

gruppi di europei nella fondata speranza di un rapido e facile<br />

arricchimento: intendiamo riferirci a quegli avventurieri spagnoli, violenti<br />

e senza scrupoli, che furono i conquistadores» (Brancati, vol. II, 1988,<br />

pp. 149-50). Caocci apre il capitolo XV, intitolato Uno sguardo oltre<br />

l’Europa, con una citazione tratta dal giornale di bordo di Cristoforo<br />

Colombo, nella quale il navigatore manifestava l’intenzione di avviare<br />

«pacifiche relazioni commerciali» (Caocci, vol. II, 1990, p. 235) con<br />

gli indios. Purtroppo Colombo aggiunse anche, nel suo diario, che<br />

questi popoli erano militarmente inesperti: «E gli stati atlantici –<br />

continua Caocci – purtroppo per la civiltà, interpretarono a modo loro<br />

(cioè a proprio vantaggio) quest’ultima osservazione, lanciandosi alla<br />

conquista del Nuovo Mondo» (Caocci, vol. II, 1990, p. 235). La<br />

separazione delle responsabilità di Colombo da quelle dei conquistadores<br />

che lo seguirono sembra una risposta alle polemiche divampate negli<br />

ultimi tempi, proprio in occasione del quinto centenario della scoperta<br />

dell’America. A proposito del comportamento dei conquistadores Caocci<br />

usa parole molto dure, citando più volte due scrittori coevi che si posero<br />

dalla parte degli indios, Bartolomeo de las Casas e Fernando d’Alva<br />

(Caocci, vol. II, 1990, pp. 242-43).<br />

La distruzione delle civiltà precolombiane non fu l’unica conse-<br />

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