Gruppo di ricerca della Zancan Formazione - Assemblea Legislativa

considerato un compagno di giochi. Il giovane fatica ad ammettere la propria
responsabilità in quel rapporto orale tentato, e consumato, in un luogo isolato
ma alla presenza, del tutto casuale, di una piccola testimone. La famiglia,
sempre unita, lo difende, tentando di mitigare la portata dell’atto, minimizzando
la condotta parlando di “un gioco”, e comunque deresponsabilizzando il figlio
sia rispetto al fatto che alle conseguenze dello stesso – inevitabilmente
drammatiche – su una vittima poco più che bambina.
Se forte è la presenza della famiglia nella vita di Mimmo, non altrettanto può
dirsi per le relazioni amicali. Non solo non appaiono compagni di avventure (o
disavventure) nei racconti del minore agli operatori dei servizi sociali ed ai
magistrati del tribunale; ma il quadro che emerge rafforza l’ipotesi di un
ragazzino molto solo perché isolato ed emarginato dal gruppo dei pari. A
scuola, ad esempio, fioccano le prese in giro: è lui lo zimbello della classe, e la
sua difficoltà a difendersi lo rende maggiormente vulnerabile a sempre nuove
offese. Una, in particolare, suona ricorrente: “mi dicono che sono gay”, e certo
è da immaginare che sia proprio il campo dei desideri, delle condotte e degli
atteggiamenti sessuali ad essere quello maggiormente “frequentato” da giovani
alle soglie dell’adolescenza, quasi tutti maschi al primo anno di un istituto
professionale.
Se il procedimento penale è stato escluso in relazione alla non imputabilità del
minore che all’epoca dei fatti aveva meno di quattordici anni, le richieste
avanzate dalla procura congiuntamente al “non luogo a procedere” riguardano,
innanzitutto, la predisposizione di un’indagine approfondita sulla personalità del
ragazzo e sul suo contesto familiare, affidando il minore ai servizi sociali del
territorio in funzione dell’applicazione di misure rieducative. In secondo luogo,
la procura ha evidenziato la necessità
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