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Gruppo di ricerca della Zancan Formazione - Assemblea Legislativa

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all’affidamento del minore al servizio sociale oppure al suo collocamento “in<br />

una casa <strong>di</strong> rieducazione, o in un istituto me<strong>di</strong>co-psico-pedagogico”, oggi<br />

sostituiti dalle comunità educative. In particolare, con riferimento a questo<br />

secondo aspetto, vi è da rimarcare che trattare <strong>di</strong> “comunità educative” anziché<br />

<strong>di</strong> “istituti me<strong>di</strong>co-psico-pedagogici” non rimanda semplicisticamente a un mero<br />

cambiamento terminologico. Va anzi ricordato come anche nel nostro Paese, a<br />

partire dalla fine degli anni Settanta, sia intervenuto un profondo mutamento<br />

che ha concorso a mo<strong>di</strong>ficare, e dal punto <strong>di</strong> vista sostanziale, il precedente<br />

sistema <strong>di</strong> misure utilizzate, per cui l’originaria terminologia impiegata dalla<br />

legge minorile come mo<strong>di</strong>ficata nel 1956 finisce con l’apparire non soltanto<br />

desueta, ma anche fuorviante rispetto alle effettive finalità e modalità operative<br />

adottate attualmente all’interno <strong>di</strong> tali strutture (e per questo anche<br />

legislativamente necessiterebbe <strong>di</strong> essere sostituita). In conseguenza alle<br />

critiche da più parti rivolte a un sistema sociale che faceva <strong>della</strong> reazione<br />

autoritaria alla devianza la sola modalità <strong>di</strong> risposta, esclusivamente mirata al<br />

contenimento delle condotte che si <strong>di</strong>scostavano dalla norma, vari furono i<br />

mutamenti progressivamente introdotti tanto che si giunse, nel 1978, alla<br />

chiusura <strong>di</strong> tutte le case <strong>di</strong> rieducazione presenti sul territorio. Difatti è<br />

innegabile che, in passato, tali strutture finivano per configurare un luogo<br />

rigidamente chiuso ed estraneo entro il quale venivano impartite norme, regole<br />

e stili <strong>di</strong> vita destinati a scontrarsi – con un esito purtroppo negativo - con<br />

quanto pur permaneva all’esterno, e che il giovane avrebbe ritrovato una volta<br />

concluso il periodo residenziale.<br />

Tuttavia, attualmente, parlare <strong>di</strong> comunità significa fare riferimento ad una<br />

realtà innegabilmente <strong>di</strong>fferente, che anzi pone il continuo scambio fra interno<br />

ed esterno quale elemento car<strong>di</strong>ne del proprio operare. Le comunità alle quali<br />

sono inviati i giovani ex art. 25 <strong>della</strong> legge minorile sono attentamente<br />

in<strong>di</strong>viduate dai giu<strong>di</strong>ci con l’aiuto dei servizi sociali in rapporto, principalmente,<br />

al grado <strong>di</strong> apertura che le caratterizza. Questa “apertura” può essere declinata<br />

secondo una duplice prospettiva: da un lato, esse devono essere in grado <strong>di</strong><br />

relazionarsi positivamente col territorio circostante, intrattenendo continue e<br />

proficue relazioni <strong>di</strong> scambio con le strutture ed i servizi presenti, avendo<br />

perciò ben presente che il percorso del giovane debba prevedere, e fin<br />

dall’inizio, l’obiettivo del reinserimento sociale; dall’altro lato, si tratta <strong>di</strong><br />

comunità aperte in quanto incoraggiano e promuovono le capacità decisionali e<br />

la spinta creativa del giovane, partendo dal presupposto che il libero fluire delle<br />

emozioni ed il riconoscimento delle risorse relazionali <strong>della</strong> persona siano un<br />

importante tassello nella ricostruzione <strong>di</strong> quei sentimenti <strong>di</strong> fiducia, rispetto ed<br />

autostima che, spesso, sembrano come erosi dalle esperienze negative vissute<br />

dal ragazzo. In questo senso, la comunità appare come un luogo in cui il<br />

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