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un Vrπeviå e dalla loro guadagnata consapevolezza <strong>di</strong> essersi rivolti<br />

ad un nuovo genere letterario, adeguato alle esigenze <strong>di</strong> chi volesse<br />

affidargli quelle funzioni <strong>di</strong> <strong>di</strong>ssacrazione sociale che gli sono <strong>in</strong>erenti<br />

e <strong>di</strong> cui, con grande trasporto, si erano fatti i promotori.<br />

Sulle orme del Decameron e del suo felice equilibrio tra mondo<br />

commentato e mondo narrato, anche le raccolte <strong>di</strong> Vrπeviå e <strong>di</strong> Ljubi∫a<br />

si erano così applicate nella ristrutturazione <strong>di</strong> un’<strong>in</strong>e<strong>di</strong>ta e più complessa<br />

teoria del racconto 25 . È ad essa che occorre fare riferimento<br />

per cogliere la portata della sostituzione, proposta da Vrπeviå, degli<br />

anonimi narratori <strong>di</strong> <strong>in</strong><strong>di</strong>st<strong>in</strong>ta provenienza “popolare” (come voleva<br />

la tra<strong>di</strong>zione), con una compagnia dai tratti sociali e culturali ben<br />

“<strong>in</strong><strong>di</strong>viduati” ed “<strong>in</strong><strong>di</strong>viduabili”; e sono, del pari, da ricondurre alle<br />

sue misure <strong>di</strong> valutazione le non meno rivoluzionarie vesti che Ljubi∫a<br />

aveva confezionato per il suo narratore, il Dojπeviå, il quale, chiamato<br />

a rispondere alle sollecitazioni <strong>di</strong> un mondo <strong>in</strong> cambiamento, lungi<br />

dall’aderire agli statici modelli trasmessi dalla consuetud<strong>in</strong>e, sembra<br />

quasi fagocitare passato e presente, caducità e perennità, storicità e<br />

naturalità della con<strong>di</strong>zione umana. Si era trattato, per Stefan Mitrov<br />

Ljubi∫a – come da <strong>di</strong>chiarazione rilasciata poco prima <strong>di</strong> morire – <strong>di</strong><br />

coltivare un’aspirazione, quella <strong>di</strong> “scrivere il Decameron delle lettere<br />

serbe, per dare loro quello che il grande Boccaccio ha dato alle<br />

lettere italiane” 26 . Né si può asserire che l’<strong>in</strong>tento sia miseramente<br />

fallito; dopotutto, le aff<strong>in</strong>ità nella parabola dei rispettivi dest<strong>in</strong>i possono<br />

valere ad illustrare le ragioni della stima che il balcanico, a <strong>di</strong>stanza<br />

<strong>di</strong> secoli, aveva riservato all’italiano: pure egli, da simbolo <strong>di</strong><br />

elevatezza irraggiungibile e perciò <strong>in</strong>gombrante, da imitare per l<strong>in</strong>gua<br />

e per stile, ha subito la condanna dell’<strong>in</strong>comprensione prossima<br />

all’oblio, per essere poi, da ultimo, riscoperto ed esortato <strong>in</strong>f<strong>in</strong>e a<br />

risalire <strong>in</strong> cima alle vette che gli competono.<br />

25 Su questa, che è l’<strong>in</strong>terpretazione corrente e <strong>di</strong> larghissima adozione, del significato<br />

da attribuire all’impianto strutturale del Decameron, si vedano, soprattutto, i seguenti contributi<br />

<strong>di</strong> M. PICONE: Leggere il “Decameron”: la cornice e le novelle, “Nuova Secondaria”, 8,<br />

1986, pp. 24-29; Autore/narratori, <strong>in</strong> Lessico critico decameroniano, a cura <strong>di</strong> R. BRAGANTINI<br />

e P.M. FORNI, Tor<strong>in</strong>o, Bollati Bor<strong>in</strong>ghieri, 1995; Madonna Oretta e le novelle <strong>in</strong> it<strong>in</strong>ere, <strong>in</strong><br />

Favole parabole istorie. Le forme della scrittura novellistica dal Me<strong>di</strong>oevo al R<strong>in</strong>ascimento, a<br />

cura <strong>di</strong> G. ALBANESE, L. BATTAGLIA RICCI e R. BESSI, Roma, Salerno E<strong>di</strong>trice, 2000, pp. 67-83.<br />

26 Secondo la testimonianza resa da colui che ha coltivato un lungo rapporto <strong>di</strong> amicizia<br />

con il Ljubi∫a: T. S. VILOVSKI, Stjepan Mitrov Ljubi∫a. Utisci i uspomene, Cattaro 1908, p. 58.<br />

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