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PIER VINCENZO MENGALDO<br />

INTRODUZIONE<br />

Con questa Tavola rotonda il “Premio Monselice” vuole rendere<br />

omaggio alla memoria <strong>di</strong> Mario Luzi, per molti anni Membro<br />

prestigioso della Giuria del Premio e – occorre appena <strong>di</strong>rlo – uno<br />

degli em<strong>in</strong>enti poeti italiani della generazione degli anni <strong>di</strong>eci (quella<br />

per <strong>in</strong>tendersi <strong>di</strong> Bertolucci, Sereni, Caproni, Fort<strong>in</strong>i...).<br />

L’attività <strong>di</strong> traduttore, dal francese, <strong>in</strong>glese e spagnolo <strong>di</strong> Luzi è<br />

stata <strong>in</strong>tensa per numeri e qualità, e <strong>di</strong>stribuita lungo l’<strong>in</strong>tera o quasi<br />

sua carriera <strong>di</strong> poeta: con la quale del resto lui stesso ne ha sottol<strong>in</strong>eato<br />

più volte le implicazioni, per esempio del Riccardo II con la stagione<br />

<strong>di</strong> Nel magma, oppure <strong>di</strong> alcuni sonetti da Mallarmé (anni<br />

Settanta) con certi suoi “problemi strutturali <strong>di</strong> composizione” <strong>di</strong><br />

allora (e Luzi sembra <strong>in</strong>fatti trasferire l’ardua s<strong>in</strong>tassi mallarmeana<br />

<strong>in</strong> testi metricamente scheggiati e trasversali, per moduli, quasi rendendo<br />

visivo e visibile ciò che nel francese era implicito). Si va dunque<br />

dai primi anni quaranta della mirabile “copia” del sonetto della<br />

rosa <strong>di</strong> Ronsard – per la quale il poeta-traduttore stesso ha parlato<br />

<strong>di</strong> un “processo <strong>di</strong> identificazione”, “una forma che ha completamente<br />

riempito <strong>di</strong> se stesso” – ai primi anni Novanta con la traduzione<br />

<strong>di</strong> una comme<strong>di</strong>a <strong>di</strong> Tirso de Mol<strong>in</strong>a.<br />

Con questa lunga ed eccellente attività Luzi ripete da parte sua e<br />

coi suoi accenti particolari una caratteristica generale della poesia<br />

italiana del secolo scorso (pensate a Valeri e Ungaretti, Montale e<br />

Solmi, Bertolucci, Sereni e Caproni, Parronchi e Fort<strong>in</strong>i, Orelli e<br />

Giu<strong>di</strong>ci...), cioè appunto quella <strong>di</strong> affiancare alla poesia <strong>in</strong> proprio<br />

un’attività niente affatto spora<strong>di</strong>ca e spesso fitta <strong>di</strong> traduzione <strong>di</strong><br />

poesia (a volta anche <strong>di</strong> prosa narrativa e saggistica). Non che sia<br />

una situazione estranea alla poesia novecentesca <strong>di</strong> altre nazioni (penso<br />

per quella <strong>di</strong> l<strong>in</strong>gua tedesca a Rilke traduttore <strong>di</strong> Valéry, per la<br />

Francia a Jouve, per la Spagna a Guillén), o già a quella dell’Otto<br />

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