(intero volume in formato PDF ( 4 MB circa) - Provincia di Padova
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Circa la traduttologia, mi siano concessi due aneddoti <strong>in</strong>troduttivi<br />
(anche <strong>in</strong> quanto rni è stato suggerito d’essere possibilmente<br />
spiritoso!). Il primo riguarda una risposta del rimpianto Oreste Macrì,<br />
il quale (sarà stato a Firenze negli anni Settanta-Ottanta), da me <strong>in</strong>terpellato<br />
<strong>circa</strong> la possibilità <strong>di</strong> trovare l’e<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> Jorge Guillén,<br />
da lui curata: “Si, sì... Le raccomando quella traduzione che è ancor<br />
più bell..., più giusta dell’orig<strong>in</strong>ale”. Ed aveva ragione <strong>in</strong> l<strong>in</strong>ea <strong>di</strong><br />
massima. Il traduttore non deve gareggiare con il suo autore <strong>in</strong> “bellezza”<br />
(il lapsus autocorretto!), bensì, ogni tanto, spiegare traducendo<br />
<strong>in</strong> maniera quasi <strong>in</strong>visibile. Un verso nel testo orig<strong>in</strong>ale può rimanere<br />
ambiguo ed “oscuro”; <strong>in</strong> traduzione, <strong>in</strong>vece, va prescelta una<br />
variante (se, miracolosamente, il term<strong>in</strong>e sostitutivo non racchiuda<br />
<strong>in</strong> sé un’ambiguità analoga).<br />
A <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> quest’aneddoto (da me già riferito <strong>in</strong> Italia<br />
dolceamara, un libro <strong>di</strong> memorialistica personale, pubblicato <strong>in</strong> croato<br />
nel 1999), quello che segue riguarda una risposta mia (e f<strong>in</strong>ora non<br />
ha avuto che una circolazione amichevole a voce). Nell’autunno del<br />
1971 veniva presentata a Zagabria, alla più nota tribuna letteraria<br />
d’allora, la mia prima antologia Novi talijanski pjesnici (Nuovi poeti<br />
italiani, apparsi a Spalato). (C’era tra il pubblico chi aveva i cent’occhi<br />
<strong>di</strong> Argo, <strong>in</strong> seguito alla soppressa “primavera croata”, ed io ebbi,<br />
ciò nonostante, la sfacciatagg<strong>in</strong>e <strong>di</strong> leggere tra l’altro l’anarchico epigramma<br />
<strong>di</strong> Pasol<strong>in</strong>i Alla ban<strong>di</strong>era rossa!) Conclusi gli <strong>in</strong>terventi e le<br />
letture , una can<strong>di</strong>da voce dal pubblico, aliena all’opprimente atmosfera<br />
politicizzata, mi chiese come, secondo me, si potesse riconoscere<br />
la stessa poesia <strong>in</strong> due l<strong>in</strong>gue <strong>di</strong>verse (<strong>di</strong>verse nel lessico, nella<br />
morfologia, nella s<strong>in</strong>tassi, nella fonetica...). Risposi con una controbattuta:<br />
“Lei riconosce la stessa melo<strong>di</strong>a eseguita su due strumenti<br />
<strong>di</strong>versi!?”. In effetti, la traduzione è altra cosa, ma <strong>in</strong> quell’altra cosa<br />
si deve <strong>di</strong>scernere l’essenza <strong>in</strong>ventiva della creazione orig<strong>in</strong>ale.<br />
Il massimo da ottenere sarebbe pertanto: rendere effettuabile l’analisi<br />
stilistica tramite la traduzione (citabile, qu<strong>in</strong><strong>di</strong>, <strong>in</strong> questo senso!).<br />
Un <strong>di</strong>scorso a sé stante riguarderebbe le auto-traduzioni o, piuttosto,<br />
auto-ricreazioni. Poiché non mi manca nemmeno quell’esperienza,<br />
<strong>in</strong> poesia, mi permetto <strong>di</strong> <strong>di</strong>re che <strong>in</strong> quei casi non traduco<br />
parola per parola, bensì il ritmo del pensiero, tornando a volte ad<strong>di</strong>rittura<br />
all’orig<strong>in</strong>ale e mo<strong>di</strong>ficandolo tramite qualche soluzione particolare<br />
che si è imposta, appunto, nella ri-creazione.<br />
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