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ERZA T PAGINA .<br />
PAGINA<br />
3 .<br />
Nel romanzo «I fuochi di Sant'Elmo» di José Pedro Diaz<br />
Un ritmo altalenante<br />
tra passato e presente<br />
FERNANDO SALSANO<br />
L'editore Avagliano ha presentato recentemente<br />
una collana di scrittori italoamericani,<br />
Transatlantica, che si propone<br />
di «affrontare il tema grande e attuale<br />
delle multietnicità lungo le rotte di<br />
andata e ritorno fra Europa e America<br />
del Nord e del Sud, con particolare riguardo<br />
all'esperienza italo-americana».<br />
Affidata alla particolare competenza di<br />
Francesco Durante, la coraggiosa iniziativa<br />
tende propriamente al recupero<br />
di testi di autori di origine italiana, figli<br />
di emigrati, sia dell'America settentrionale<br />
(di lingua inglese o francese) sia<br />
dell'America meridionale (di lingua spagnola<br />
o portoghese) i quali abbiano, tra<br />
Ottocento e Novecento, lasciato particolare<br />
testimonianza del loro impatto col<br />
Nuovo Mondo e della costante ricerca<br />
delle radici familiari.<br />
Sono già in libreria i primi due volumi,<br />
Nozze d'oro, di Jo Pagro (traduzione<br />
di G. Maccari e postfazione di Francesco<br />
Durante) e I fuochi di Sant'Elmo,<br />
di José Pedro Diaz (introduzione di<br />
R.M. Grillo, con uno scritto di M. Vargas<br />
Llosa), Cava de' Tirreni, 2000. Devo<br />
dire che dei due il libro di Diaz mi è<br />
parso il più rappresentativo, in quanto<br />
l'autore è un uruguaiano pronipote di<br />
un emigrato italiano, e il nucleo centrale<br />
del suo romanzo si appunta sul viaggio<br />
che egli fa in Italia, in una sorta di pellegrinaggio<br />
al paese dal quale era partito<br />
quello zio Domenico che ebbe una presenza<br />
particolare negli anni della sua infanzia.<br />
Ovviamente il peso specifico dell'opera<br />
non si fa misurare da siffatte contingenze:<br />
fin dalle prime pagine il lettore<br />
riconosce la mano del grande scrittore,<br />
e più s'inoltra nella lettura più cresce<br />
l'ammirazione per la dignità della narrazione,<br />
tanto ricca e originale quanto raffrontabile<br />
ai livelli più alti della narrativa<br />
tradizionale. Il segreto è da ricercare<br />
nell'incontro di componenti che Rosa<br />
Maria Grillo ha felicemente indicate nell'Introduzione:<br />
autobiografia, libro di<br />
viaggio e romanzo.<br />
Nella prima pagina (che potremmo<br />
considerare proemiale, in considerazione<br />
del fatto che un registro lirico condiziona<br />
ora sì ora no i brevi capitoli, rendendone<br />
difficile il riassunto) si profila<br />
dal passato il deuteragonista, un vecchio<br />
zio che accompagnava e incantava l'autore<br />
bambino con i racconti e le peripezie<br />
di quando egli era pescatore a Marina<br />
di Camerota. Il bambino diventato<br />
uomo lo sente vicino e lontano. «Ora<br />
che cammino smarrito per la città lui<br />
mi accompagna come allora. Neanche<br />
adesso so dove andiamo. Mi insegnò<br />
molte cose... Così vorrei passeggiare<br />
con lui ora...».<br />
Questo primo capitolo, che liricamente<br />
s'intitola «La sua assenza mi avvolge»,<br />
e poi gli altri che seguono raccolgono<br />
frammenti del ricordare, ovvero del<br />
doloroso vagare tra il passato e il presente;<br />
finché nell'uomo del presente<br />
riappare il bambino del passato, e s'istituisce,<br />
nella narrazione, un moto pendolare<br />
tra passato e presente che condiziona<br />
l'io narrante, il quale ora contempla<br />
nella terza persona il sé bambino («il<br />
bambino non capiva di cosa stessero<br />
parlando»), ora si trasferisce nella prima<br />
persona di lui («il gozzo dondolava a<br />
ogni suo movimento. Riuscirò mai ad<br />
andarci anch'io?»).<br />
E quando il narratore in prima persona<br />
evoca la presenza di un suo figlioletto,<br />
l'incrocio dei tempi e delle generazioni<br />
diventa una trama in cui si riconoscono<br />
le singole linee del vivere e nello<br />
stesso tempo i rapporti affettivi che le<br />
unificano. Il passaggio dal presente del<br />
narrato al passato della memoria è un<br />
tratto improvviso che affascina, che suona<br />
nostalgia, rimpianto del perduto<br />
(«Ora ha nelle mani il pesce ancora vivo.<br />
Ma ciò che io avevo preso all'amo<br />
era qualcosa di più: un'altra notte immensa<br />
che sorge e della quale ricordo<br />
un altro strattonare. Anche allora c'erano<br />
mare e stelle...»).<br />
Siffatta struttura narrativa è tanto ori-<br />
ginale quanto efficace; i passaggi improvvisi<br />
danno al narrato scatti inattesi<br />
e quasi disarmanti: dal ricordo dello zio<br />
al dialogo con il figlio, dal remoto al<br />
presente e dal presente al remoto — come<br />
un gioco dell'onda — quasi in un arresto<br />
dello scorrere della vita, nella sincronia<br />
tra un io soggettivo che ricerca e<br />
un io oggettivato in personaggio del<br />
tempo andato.<br />
Il passato: «...lasciando emergere lentamente<br />
il retino. Apparvero i cinque fili,<br />
finché emerse il cerchio di bronzo.<br />
Dal fondo emergevano alcune triglie»; e<br />
subito il presente: «Abbocca, papà! Abbocca!<br />
— dice mio figlio». E quindi la<br />
sintonia dell'io passato e del presente:<br />
«La luna in mezzo al cielo, trattiene la<br />
notte. Questa notte. Ma ai margini del<br />
suo chiarore si perde anche quell'altra<br />
notte che il ricordo dissolve nella luce di<br />
un limpido e antico mattino di gennaio».<br />
Il racconto è tagliato in capitoli molto<br />
brevi, ciascuno dotato d'un titolo-tema.<br />
Sono frazioni del ricordare, che offrono<br />
un tessuto dei racconti fatti dallo zio («Il<br />
retino girava lentamente e lui conversava<br />
o raccontava storie... — Il polpo? Io<br />
non l'ho visto; vidi solo il tentacolo che<br />
mi afferrò...»). Talvolta il registro dell'intero<br />
capitolo appare lirico.<br />
Del resto, a pensarci bene, tutte le pagine<br />
del libro sono giocate in una sorta<br />
di reciprocità tra racconto ed evocazione<br />
lirica. La figura dello zio, personaggio<br />
della memoria narrante che appare<br />
e scompare, collabora a questo ondeggiamento<br />
di registro narrativo che accompagna<br />
o interpreta l'ondeggiamento<br />
tra il tempo remoto e quello presente.<br />
«Le luci che vedevo sparse sul mare sicuramente<br />
navigavano su barche uguali<br />
a quelle che, qualche miglio più a sud,<br />
nel golfo di Salerno, nel golfo di Policastro,<br />
tutte le notti uscivano a pescare...<br />
Anch'io volli remare così... Ma per un<br />
lungo istante avevo visto la sua ombra...<br />
muoversi ritmicamente sui remi... Era<br />
lo stesso ritmo che intuivo nell'ombra<br />
del golfo, quando da Anacapri...».<br />
Nel capitolo «Il mio ricordo si confonde<br />
con sogni e con miti», che può considerarsi<br />
il cuore del libro, il registro lirico<br />
cui accennavo trova una felice autenticazione<br />
nella tradizione letteraria,<br />
sia romantica che classica.<br />
Un'affinità elettiva spinge l'Autore a<br />
ritrovare nei «souvenirs à demi-rêves»<br />
delle Chimères di Gerard de Nerval citazioni<br />
per i moti del suo animo nell'incontro<br />
con l'Italia del suo pellegrinaggio<br />
ai luoghi e ai sentimenti che lo zio Domenico<br />
aveva indelebilmente fermati<br />
nella memoria del nipote.<br />
Citando dai sonetti «Myrto» e «El desdichado»,<br />
egli confessa: «il richiamo<br />
che queste parole contengono emerge<br />
così naturalmente che non so se provengono<br />
da me o da quell'ombra che cerco...»,<br />
e nell'incalzare di «altre immagini<br />
antiche e possenti» sente fondersi in<br />
un'unica materia la sua storia personale<br />
e «i passi di Enea nel regno delle ombre...<br />
i ricordi frammentari che tentano<br />
di individuare in quella terra italiana i<br />
passi di quell'ombra che cerco...».<br />
Il passaggio per Cuma gli dà l'occasione<br />
per incontrare o inventare una<br />
guida che recita in latino gli esametri<br />
virgiliani e inconsapevolmente favorisce<br />
l'accostamento del pellegrino uruguaiano<br />
all'Enea pellegrino nell'Ade, ambedue<br />
cercatori del passato e dei suoi affetti<br />
intramontabili. Nerval è vicino anche<br />
a questo Virgilio che ci commuove<br />
con il dialogo tra padre e figlio.<br />
La pietas familiare include anche la<br />
terra degli avi, così povera da spingere<br />
alla fuga, e così amata da richiamare ai<br />
ritorni. Il discendente di emigranti è cosciente<br />
che «questo viaggio al sud fu un<br />
viaggio alle radici... per esse non c'è un<br />
luogo definito, ma sicuramente vi arrivai<br />
molto vicino». E nella sua parola ritorna<br />
quella di Virgilio, «Cosa potevo<br />
trovare? Le mani che tentano di afferrare<br />
le ombre agitano inutilmente l'aria<br />
stessa che respiriamo».<br />
Veramente un bel libro! Per mantenere<br />
la collana a tali livelli, l'Editore dovrà<br />
sudare sette camicie.<br />
L'OSSERVATORE ROMANO Giovedì 11 Gennaio 2001<br />
ANTONIO BRAGA<br />
Il ricordo della morte di Domenico<br />
Cimarosa, avvenuta l'11 gennaio del<br />
1801 a Venezia, ci offre molteplici motivi<br />
di meditazione sugli eventi umani<br />
che accompagnarono il passaggio terreno<br />
di uno dei maggiori musicisti lirici,<br />
forse il più eccelso esponente della<br />
Scuola napoletana del XVIII secolo, e<br />
punto terminale di questa.<br />
Disgrazie e trionfi si alternarono nella<br />
sua vita: unico compositore a vedere<br />
una sua opera «bissata», ovvero eseguita<br />
di nuovo la stessa sera della sua prima,<br />
quale fu il caso del «Matrimonio<br />
segreto», considerato all'unanimità suo<br />
capolavoro, ed a Vienna, capitale europea<br />
del teatro musicale. Moriva pochi<br />
anni dopo a Venezia, in cammino verso<br />
Vienna, poverissimo e ufficialmente esiliato<br />
dalla sua amata città, Napoli.<br />
Era nato ad Aversa, allora piccolo<br />
borgo nei dintorni della capitale del regno<br />
napoletano, il 17 dicembre del<br />
1749, in famiglia povera ed onesta. Il<br />
padre, Francesco, lo trasse a Napoli<br />
con la moglie, quando, come muratore,<br />
fu messo a lavoro per la costruzione<br />
della «Reggia» di Capodimonte: ospiti<br />
dei Padri conventuali di Pendino, la<br />
moglie lavava la biancheria per guada-<br />
La 4ª puntata del reportage televisivo curato dal Comitato del Grande Giubileo<br />
Il volto della Chiesa del terzo millennio<br />
Un emozionante ripercorrere tutti i momenti salienti<br />
del Grande Giubileo: questo è stata la trasmissione<br />
«Cristo, Porta di Salvezza, di Vita, di Pace! Anno 2000<br />
— Il Giubileo», quarta ed ultima puntata del reportage<br />
televisivo «Nell'Anno 2000 — Inchiesta nella Chiesa<br />
Cattolica nel mondo», andata in onda su Rai3, sabato 6<br />
gennaio, in prima serata.<br />
Il reportage, curato dal Comitato del Grande Giubileo,<br />
per la regia di Luca De Mata, ha così portato a termine<br />
il suo itinerario che, dopo aver documentato con<br />
rigore giornalistico il ruolo della Chiesa nei confronti<br />
delle grandi sfide della contemporaneità, ha trovato il<br />
suo coronamento nel far rivivere momenti e tematiche<br />
dell'Anno Santo appena concluso.<br />
Dopo aver riflettuto sui grandi mali che affliggono<br />
l'uomo di oggi, sulle sue grandi paure, sulle sue grandi<br />
povertà (materiali e spirituali), dopo aver messo a confronto<br />
quella minima parte di umanità che vive nell'abbondanza<br />
con una maggioranza sfinita dalla lotta per<br />
la sopravvivenza, dopo aver fatto emergere (grazie a<br />
una notevole quantità di testimonianze raccolte in tutto<br />
il mondo) il prezioso ruolo dei cristiani non solo come<br />
instancabili testimoni dell'Evangelo, ma anche, in quanto<br />
tali, come portatori di speranza e concreti artefici di<br />
un recupero della dignità umana, il reportage di Luca<br />
De Mata ha voluto offrire agli spettatori il volto della<br />
Chiesa che si getta nell'avventura del terzo millennio.<br />
Questo volto della Chiesa ha trovato nel provvidenziale<br />
appuntamento giubilare l'ideale punto di riferimento<br />
per una corretta definizione: il confronto con il<br />
Cristo Signore della Storia, porta di accesso alla salvezza<br />
per l'intera umanità, misericordioso guaritore<br />
delle piccole e grandi ferite dell'uomo peccatore ha donato<br />
all'umanità credente le giuste coordinate per il<br />
proseguimento del suo pellegrinaggio terreno.<br />
In questo senso la quarta puntata dell'inchiesta televisiva<br />
si è proposta come una rimeditazione degli innumerevoli<br />
insegnamenti che il Santo Padre ha proposto<br />
nel corso dei tanti appuntamenti che hanno segnato il<br />
cammino giubilare.<br />
gnarsi l'ospitalità. La prima disgrazia<br />
avvenne quasi subito: caduto da una<br />
impalcatura mentre lavorava, Francesco<br />
morì lasciando i suoi nel colmo<br />
dell'indigenza.<br />
I Padri, che avevano già visto le disposizioni<br />
musicali del piccolo Domenico,<br />
lo mandarono al conservatorio di<br />
Santa Maria di Loreto, che l'accettò,<br />
con l'obbligo di restarvi per dieci anni.<br />
In quella scuola il giovane fece grandi<br />
passi, apprendendo la composizione<br />
con Fenaroli, e cembalo con Gallo e<br />
Carcajus, oltre a studiare violino, organo<br />
e canto. A ventidue anni, uscito dal<br />
conservatorio, ebbe la fortuna di ricevere<br />
l'aiuto della signora Pallante, una<br />
cantante romana trasferita a Napoli.<br />
Fu per merito della protettrice che gli<br />
si schiusero le porte del Teatro dei Fiorentini,<br />
dove nel 1772 debuttò con due<br />
operine buffe, che furono accolte per<br />
quello che erano: due lavori di presentazione<br />
di un nuovo musicista, che meritava<br />
di essere incoraggiato. Con dei<br />
testi migliori, il giovane ebbe maggior<br />
successo: «La finta parigina» al Teatro<br />
Nuovo lo collocò tra i primi compositori<br />
del tempo, degno di stare a lato di<br />
Paisiello e Piccinni. Quest'ultimo gli<br />
mostrò la sua simpatia, insegnandogli<br />
alcuni trucchi del mestiere, con vero<br />
spirito d'amicizia.<br />
Nel '76 era invitato a far eseguire<br />
due brevi opere al Teatro di Corte, ricevendo<br />
ufficialmente il sostegno reale.<br />
La via dei maggiori teatri era aperta: a<br />
Roma scrisse il primo dei molti intermezzi<br />
per il Teatro Valle.<br />
Venezia, Firenze, Torino, Milano: ecco<br />
letappesuccessivedelNostro,mentre<br />
le sue opere serie e buffe erano rappresentate<br />
a Varsavia, Dresda, Parigi, Barcellona,<br />
e sopra tutte Vienna. Nell'opera<br />
buffa diveniva il rivale di Paisiello,<br />
sino ad allora, e da un decennio, indiscusso<br />
capofila del genere napoletano.<br />
Era il 1787, e il musicista veniva<br />
chiamato a San Pietroburgo dalla zarina<br />
Caterina II, che aveva dovuto rinviare<br />
in Italia Paisiello e Sarti. Viaggio<br />
lungo, con tappe felici in Toscana, su<br />
invito del granduca, a Parma, a Vienna<br />
ed a Varsavia. Il soggiorno russo non<br />
fu dei migliori. Molto freddo e declino<br />
di salute. Ottenuto il permesso d'andare<br />
via, si fermò a Varsavia durante tre<br />
mesi, ed alla fine del '91 giunse a Vienna.<br />
Proprio in quei giorni Mozart moriva:<br />
mentre il suo corpo era gettato in<br />
una fossa comune, l'imperatore Leopoldo<br />
II offriva a Cimarosa un appartamento<br />
ed una lauta prebenda, per por-<br />
Con scelta intelligente, il regista ha sempre affiancato,<br />
come in un legame inscindibile, le immagini del Papa<br />
(pastore intento in un'infaticabile opera di evangelizzazione)<br />
a quelle della gente, del popolo di Dio, il<br />
popolo che in moltitudine è giunto a Roma sulle tombe<br />
dei martiri, il popolo che, sparso nei quattro angoli del<br />
pianeta, forma un unico corpo ed è protagonista di un<br />
unico cammino. Un'unità inscindibile, quella del Pastore<br />
e del suo gregge, che dà il senso di una presenza<br />
fattiva, vera, concreta, feconda, di una Parola incarnata<br />
che da duemila anni continua a dare frutti per la salvezza<br />
dell'umanità.<br />
Ancora una volta la sapiente combinazione di immagini,<br />
testi e musiche (che già aveva positivamente colpito<br />
in occasione delle precedenti puntate) ha garantito<br />
un prodotto esteticamente accattivante e, quel che è<br />
più importante, contenutisticamente di spessore, laddove<br />
l'emozione per il rivivere a caldo gli intensi momenti<br />
di un Giubileo appena concluso (poche ore prima il<br />
Santo Padre aveva chiuso la Porta Santa a San Pietro),<br />
non è stato un semplice giocare sui sentimenti, ma<br />
un'occasione per approfondire e interiorizzare i tanti<br />
messaggi, i tanti doni che questo anno di grazia ha<br />
portato con sé.<br />
Nel ripercorrere questi momenti, dal Natale 1999 alla<br />
solenne chiusura del giorno dell'Epifania, nel rivedere i<br />
fiumi di pellegrini che hanno animato la Città Eterna,<br />
ma soprattutto nel conoscere le singole comunità che<br />
in ogni parte del globo, anche nei Paesi con le realtà<br />
più difficili, hanno quotidianamente celebrato e sperimentato<br />
la gioia del Cristo Salvatore, è emersa una<br />
palpabile sensazione: quella di un popolo veramente in<br />
cammino, consapevole delle difficoltà che lo attendono<br />
ma forte di una speranza che non delude.<br />
Non a caso il documentario si è concluso sulle parole<br />
del Pontefice, che ancora una volta, chiudendo ufficialmente<br />
l'Anno giubilare, ha esortato i cristiani all'impegno<br />
per il terzo millennio: «Spalancate le porte a<br />
Cristo!». (Maurizio Fontana)<br />
«Orme invisibili»: un saggio di Maria Teresa Garutti Bellenzier sulla presenza e il ruolo delle donne cattoliche negli ultimi trent'anni<br />
Il «genio» femminile e la sua «debolezza forte»<br />
GRAZIELLA MERLATTI<br />
È un primo bilancio, sintetico ed esauriente sulle<br />
linee difondodell'itinerariopercorsodalmovimento<br />
cattolico femminile italiano negli ultimi trent'anni,<br />
camminononsemprefacilesiaall'internodellaChiesa<br />
sia nel rapporto con il femminismo laico, quello<br />
offerto dal volume Orme invisibili di Maria Teresa<br />
Garutti Bellenzier (Ancora, Milano 2000, pp. 174,<br />
L. 24.000). Le orme di cui parla il titolo sono quelle<br />
delle «donne cattoliche tra passato e futuro».<br />
Il volume apre la nuova collana «A due voci» dell'Ancora,<br />
ideata per aiutare a leggere in un altro<br />
modo le donne e gli uomini, con lo sguardo volto a<br />
cercare le armonie nelle differenze.<br />
MarisaBellenzierinquestonotevole studio descrive<br />
un femminismo firmato da varie realtà e sigle<br />
cattoliche, che da un lato ha contestato i pregiudizi<br />
e i tabù delle conservatrici, mentre dall'altro ha recepito<br />
e poi superato le varie tesi del femminismo<br />
laico per arrivare a una sua posizione originale.<br />
L'esposizione si dipana chiara e lineare, senza<br />
glissare sulla complessità delle questioni affrontate,<br />
ma senza esasperare le posizioni e anche senza ca-<br />
talogare rigidamente gli schieramenti, utilizzando<br />
un linguaggio mite e prudente. La documentazione<br />
è abbondante e molto utile è anche l'ampia e selezionata<br />
bibliografia, aggiornata a tutto il 1999.<br />
«Gli ultimi trent'anni — si legge nell'Introduzione<br />
— sono stati un periodo particolarmente importante<br />
per le donne cattoliche, stimolate in vario<br />
modo a verificare la propria esperienza di fede nel<br />
contesto di un profondo ripensamento dell'identità<br />
femminile».<br />
Scritto da una protagonista del movimento femminile<br />
cattolico — docente universitaria e poi funzionaria<br />
RAI, pubblicista e curatrice di importanti<br />
iniziative editoriali, responsabile dal 1994 dell'associazione<br />
Progetto Donna e membro della commissione<br />
per i problemi sociali e del lavoro della Conferenza<br />
Episcopale Italiana — che ha saputo interagire<br />
con il femminismo laico, il volume presenta un<br />
bilancio documentato e sereno della lunga marcia<br />
che le donne credenti hanno percorso. Questo saggio<br />
è una memoria offerta a chi ha vissuto l'esperienza<br />
e un dono consegnato alle giovani generazioni,<br />
spesso completamente prive di conoscenza<br />
In alto: scena di Sensani per «Le astuzie femminili»<br />
(Maggio Musicale Fiorentino, 1939) In basso: scena<br />
di Ratto per «Il matrimonio segreto» (La Scala, 1949)<br />
Profilo umano e artistico di Domenico Cimarosa l'eccelso musicista di Aversa morto l'11 gennaio del 1801<br />
L'unico compositore ad aver visto una sua opera<br />
bissata integralmente la sera stessa della «prima»<br />
delle radici storiche, quale traccia per continuare il<br />
cammino.<br />
La diversità è via al compimento della storia, sostiene<br />
l'Autrice. La«reciprocitàasimmetrica»trauomo<br />
e donna deveconessainteragire.Mentrela perdurante<br />
invisibilità non equivale all'assenza, anzi, al<br />
contrario. SecondolaGaruttiBellenzier, la specificità<br />
dellapresenzadelladonnanellaChiesaenel mondo<br />
come testimone di fede può avere come una<br />
sua connotazione, e condizione di efficacia, proprio<br />
l'invisibilità, il silenzio, l'apparente inefficacia.<br />
Proprio quell'invisibilità non è stata senza frutti.<br />
«Ma ciò è avvenuto solo se e quando non era subita<br />
e vissuta come rassegnazione e accettazione di<br />
uno status secondario e del tutto separato dagli status<br />
che avevano visibilità». Cioè quando si era «assunta<br />
con consapevolezza quale forma privilegiata<br />
dell'azione di Dio nella piccolezza e nell'umiltà della<br />
creatura da Lui amata ed elevata a strumento efficace<br />
della sua azione salvifica».<br />
Entro tali coordinate sono cresciute e crescono<br />
testimonianze essenziali per la Chiesa e per il mondo,<br />
che «conducono a cogliere, leggere e imparare<br />
la lezione di una debolezza forte, di un'emargina-<br />
Francesco Saverio Candido: «Cimarosa al cembalo»<br />
zione in realtà centrale poiché centrata sull'essenziale,<br />
di sconfitta vincente». Tutto questo presenta<br />
una singolare vicinanza al cuore del messaggio<br />
evangelico: «la salvezza che viene dal fallimento<br />
della croce, poiché proprio lì diventa evidente come<br />
nessuna forza umana possa vincere un amore<br />
di dedizione totale».<br />
Quando l'invisibilità delle donne credenti ha avuto<br />
tale spessore, ciò «non è avvenuto in forza del<br />
loro essere donne, ma del loro confidare in Dio —<br />
in ciò non diverse dai loro compagni di strada nella<br />
fede». Ma probabilmente è proprio la condizione di<br />
secondarietà di tante donne ad avere facilitato questa<br />
presa di coscienza del valore che essa assumeva<br />
come modello dei modi di agire di Dio nella vita<br />
dell'umanità.<br />
«La vicenda delle donne nella storia può così risultare<br />
emblematica di un modo diverso di dare<br />
senso alla vita senza i mezzi ufficiali del sapere,<br />
dell'avere, del potere».<br />
Il «genio» delle donne, che si esprime più spesso<br />
nella quotidianità faticosa di ruoli e costumi, nel<br />
nascosto e prezioso lavoro di cura, necessita di<br />
uscire dall'ombra per permettere alle sue trame di<br />
farsi cultura, di sentirsi parte viva della storia e di<br />
assumerne anche tutta la responsabilità.<br />
Due pagine autografe di Domenico Cimarosa:<br />
l'inizio dell'ouverture de «Il matrimono segreto»<br />
e, in basso, un brano dell'«Artemisia»<br />
re in musica «Il matrimonio segreto».<br />
L'opera fu eseguita il 7 febbraio dell'anno<br />
successivo, con il trionfo che sappiamo.<br />
Giunto al sommo della gloria, accolto<br />
come un sovrano dagli stessi sovrani,<br />
pregato di restare, non seppe resistere<br />
al desiderio di tornare alla sua terra<br />
nativa, ed infatti nel '73 rivide Napoli,<br />
accolto come un re, e portato alle stelle<br />
dopo le prime esecuzioni de «I Traci<br />
amanti» e «Le astuzie femminili». Ancora<br />
altri teatri lo reclamavano: e tra il<br />
'94 ed il '98 fece eseguire nuove opere a<br />
Venezia, a Roma ed a Reggio Emilia.<br />
Di particolare valore furono «Gli Orazi<br />
ed i Curiazi» per Venezia, opera che secondo<br />
molti esegeti è la migliore nel<br />
campo della sua espressione «seria».<br />
L'amore per Napoli lo trasse però alla<br />
rovina: giacché, al proclamarsi la<br />
Repubblica Partenopea del '99, egli<br />
scrisse un inno repubblicano che, al ritorno<br />
dei Borbone, non gli fu perdonato:<br />
venne incarcerato in una angusta<br />
prigione per quattro mesi, mentre la<br />
sua famiglia era costretta a vendere<br />
tutto quello che era in casa per sopravvivere.<br />
La situazione si risolse con un blitz<br />
dei militari russi, che, giunti a Napoli<br />
come ausiliari per il ritorno del re, ricevettero<br />
ordine dal loro generale (che<br />
aveva appreso il terribile destino del<br />
grande compositore, così noto in Russia)<br />
d'andare a liberare l'illustre prigioniero.<br />
Il Botta scrisse, nella sua «Storia d'Italia»:<br />
«Saputo il caso, e non avendo<br />
potuto ottenere dal governo napoletano,<br />
al quale l'avevano domandato, la sua<br />
liberazione, generali ed ufficiali corsero<br />
al carcere e l'italico cigno liberarono.<br />
Così in un'Italia, in una Napoli, la salute<br />
venne a Cimarosa dall'Orso. Mi<br />
vergogno per l'Italia, rendo grazie alla<br />
Russia».<br />
Questo passaggio, trascritto dal Florimo<br />
nel medaglione biografico dedicato<br />
all'Aversano, ci immerge appieno nella<br />
cupa atmosfera poliziesca, scatenata<br />
dopo il ritorno dei Borbone. Eppure Cimarosa<br />
aveva scritto una Cantata «Per<br />
il ritorno del nostro amato sovrano»,<br />
che tuttavia non aveva cancellato il ricordo<br />
dell'Inno antiborbonico.<br />
Intanto, con i due figli, essendo morta<br />
nel '97 anche la seconda moglie, Donata,<br />
stentò a rivivere. Uscito dalla prigione,<br />
il Card. Consalvi, suo grande<br />
amico, gli consigliò di andare via dalla<br />
città, e gli diede il necessario per accettare<br />
un invito da Venezia; già il Nostro<br />
gli aveva regalato tutti i suoi autografi<br />
scritti prima di partire per la Russia.<br />
L'ultimo viaggio fu tristissimo: lasciati<br />
i figli a Napoli, partì per Venezia,<br />
già minato da un male incurabile. Nella<br />
capitale lagunare scrisse la sua ultima<br />
opera seria, l'«Artemisia», eseguita<br />
postuma: morì nel palazzo Duodo in<br />
Campo Sant'Angelo.<br />
Il Card. Consalvi ordinò un busto del<br />
musicista al Canova, che pose tra quelli<br />
di Sacchini e Paisiello, nel 1816 nella<br />
Chiesa della Rotonda, Santa Maria «ad<br />
Martyres» in Roma.<br />
Nella rinnovata estetica nel secolo<br />
XIX, quasi tutta l'opera del periodo<br />
precedente la Rivoluzione Francese fu<br />
considerata dai contemporanei sorpassata<br />
e vetusta. Restavano, come punte<br />
di diamante dei vecchi tempi, poche<br />
partiture. Tra queste, sicuramente «Il<br />
matrimonio segreto» si sottrasse dall'oblìo:<br />
Rossini, il nuovo astro dell'opera,<br />
diceva di inginocchiarsi ogni giorno dinanzi<br />
alla memoria di Mozart e Cimarosa:<br />
il sorriso, la bonomia, l'arte del<br />
napoletano furono la preziosa eredità<br />
del pesarese.<br />
Nel secolo XX sono tornate alle scene<br />
anche altre partiture del Nostro: «Le<br />
astuzie femminili», «Giannina e Bernardone»,<br />
«I Traci amanti», «Orazi e Curiazi»<br />
sono stati rieseguiti e giustamente<br />
apprezzati. Rossini amava molto «Le<br />
trame deluse»; e Giuseppe Verdi scrisse<br />
che «Il matrimonio segreto» era per lui<br />
«la vera commedia musicale che ha<br />
tutto quello che un'opera buffa deve<br />
avere». Egli stesso, dettando la norma<br />
ai futuri compositori italiani: «Tornate<br />
all'antico, e farete del nuovo», la mise<br />
in pratica, considerandola il punto di<br />
partenza del suo «Fastaff», autentico<br />
pronipote dello spirito del grande predecessore.<br />
E l'arcigno critico tedesco Hanslick<br />
definì quel capolavoro buffo di Cimarosa<br />
«pieno di sole»: quel sole mediterraneo<br />
che brillò in tutta la produzione di<br />
questo grandissimo musicista.