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ERZA T PAGINA .<br />

PAGINA<br />

3 .<br />

L'OSSERVATORE ROMANO Giovedì 18 Gennaio 2001<br />

Formare o essere formati dalla Tv?<br />

Non si può accettare la quantificazione<br />

come metro di valore<br />

FRANCO PATRUNO<br />

Formare o essere formati dalla tv? La<br />

domanda non è superflua se si accetta<br />

quel concetto di forma che, analogicamente,<br />

è molto simile a ciò che esce<br />

dalle mani di uno scultore che plasma la<br />

creta. La forma, in questo caso, non è<br />

appena quella trasmessa dal monitor,<br />

ma la relazione, il flusso di attenzione o<br />

di rifiuto che si stabilisce con quel campo<br />

visivo illuminato e comunicante.<br />

Il rapporto si stabilisce comunque,<br />

anche quando lascio scorrere la sua voce<br />

e, di riflesso, la sua luce e i fantasmi<br />

stilizzati di riflesso sui muri; mentre, naturalmente,<br />

continuo a leggere il giornale<br />

o telefono ad un amico. Il perenne,<br />

ed ormai amico pure lui, tema di fondo<br />

del rumore illuminato e cromatico, continua<br />

ad accompagnarmi. «Vite da format:<br />

la tv nell'era del grande fratello».<br />

Mi è piaciuta l'idea del titolo di un libro<br />

scritto da Paolo Maggi, docente di Comunicazione<br />

di massa all'Università del<br />

Sacro Cuore di Milano. L'autore ha fatto<br />

una scelta: scrivere con struttura narrativa<br />

«allo stesso modo di», cioè allo<br />

stesso modo di quel «senza soluzione di<br />

continuità» del mosaico calcolato ma<br />

inorganico che è il palinsesto dell'ultima<br />

generazione: un collage che incolla pezzi<br />

di generi ad altri frammenti di altri<br />

generi.<br />

Vite da format significa che l'orizzonte<br />

esistenziale non solo si conforma a<br />

quello televisivo, ma ha come speranzosa<br />

vocazione, implicita ed esplicita, di<br />

essere incluso, come grande fratello, all'interno<br />

della vita della tv. Se ai tempi<br />

di «Lascia o raddoppia?» il diventare divi<br />

era inserito in un tradizionalissimo<br />

gioco, nella galassia familiare de «Il<br />

grande fratello», l'essere in diretta è<br />

conquistare mitologie feriali. Una ferialitàchenon<br />

ha limiti di tempo e di spazi.<br />

Non c'è privacy, ma la si finge nella<br />

planimetria di una casa vera e virtuale<br />

al tempo stesso. L'illusione di esser soli<br />

è messa in scena dell'illusione: ben si<br />

conosce che ogni frammento esistenziale<br />

è ripreso e, facendo piazza pulita di<br />

ogni buona scuola di selezione d'immagine,<br />

lo si pensa «vero» ed «autentico».<br />

Anche il bagno, antico e privilegiato<br />

spazio di solitudine, diventa scenografia<br />

con diverse e polivalenti ribalte. O, secondo<br />

altra più specifica terminologia,<br />

ripreso da diversi punti di vista.<br />

L'estetica del realismo e del verismo<br />

sembra approdare al massimo di mimesi<br />

della vita! La casa ha pareti che sembrano<br />

accentuazioni divisorie e non spazi<br />

per l'intimità. Se insigni studiosi della<br />

televisione hanno da decenni affermato<br />

che è proprio questo lo specifico della<br />

ripresa video, allora questa conpresenza<br />

alla messa in scena televisiva raggiungerebbe<br />

il fine verso il quale la televisione<br />

ha sempre aspirato sin dai tempi di<br />

«senza chiedere permesso».<br />

Ricordate? sull'onda della contestazione<br />

politica, ci si era illusi che dare a tut-<br />

Studi antropologici sull'antica Sardegna presentati in un recente convegno<br />

Che cosa mangiava e che cosa beveva l'uomo nuragico?<br />

ANGELO MUNDULA<br />

Di che cosa si nutrivano gli antichi Sardi, anzi gli<br />

antichissimi? Che cosa bevevano? Uno dei maestri dell'archeologia<br />

sarda, Ercole Contu, ha affrontato questa<br />

ricerca con l'acribia che gli è propria, discorrendone<br />

poi in un recente convegno, di cui sono stati appena<br />

raccolti gli atti, su Le boire et le manger (dal significato<br />

trasparente) tenutosi a Levie e riguardante, più specificamente,<br />

l'utilizzazione delle risorse locali e le pratiche<br />

culturali tipicamente mediterranee.<br />

Contu si è occupato — ed è quel che ci interessa qui<br />

— del mangiare e del bere in Età nuragica, cioè nel<br />

corso di una civiltà pre e protostorica che presenta la<br />

più ricca documentazione archeologica sull'argomento<br />

in questione.<br />

Su che cosa, dunque, può fondarsi una ricerca del<br />

genere? Non si tratta com'è evidente di una mera curiosità<br />

e neppure di un argomento, come si potrebbe<br />

pensare, leggero, se è vero che al mangiare e al bere<br />

sono legati spesso i connotati di una civiltà, il suo grado<br />

di sviluppo, la sua coloritura umana e quant'altro.<br />

Questioni non da poco, dunque.<br />

Epperciò sono altresì importanti le pezze d'appoggio<br />

che le riguardano e che si possono così riassumere:<br />

documenti di pasti, costituiti da resti ossei di animali<br />

commestibili; resti commestibili di vegetali, coltivati o<br />

selvatici, conservatisi casualmente (frumento, vite,<br />

ghiande, ecc.) o deducibili archeologicamente o per altra<br />

via; pestelli, macine, mortai ecc.; latte e latticini;<br />

miele e miele amaro; vasi e strumenti per contenere,<br />

conservare e trattare i precedenti; documentazione figurata<br />

nei bronzetti, relativa a offerte di cibo (focacce,<br />

ciambelle ecc.) e di animali vivi portati a mano o a<br />

spalla degli offerenti; e la rappresentazione per sé di<br />

determinati animali, domestici o selvatici, offerti alla<br />

divinità; le fonti classiche; l'etnografia e le tradizioni<br />

popolari della Sardegna.<br />

* * *<br />

Sulla scorta di alcune documentazioni (particolarmente<br />

importanti quelle della Fonzo sul nuraghe Bruncu<br />

Màdugui di Gèsturi, di Genna Maria a Villanovaforru<br />

e il villaggio di Santa Anastasia a Sardara, e quella<br />

della Wilkens su La Madonna del Rimedio di Oristano)<br />

si possono conoscere le specie animali che vivevano e,<br />

ti una telecamera creasse il presupposto<br />

per essere più liberi e alternativi. Alternativi,<br />

s'intende, alla «comunicazione<br />

del sistema». Facciamo un flash back.<br />

Quando, tra gli anni '60 e '70, si discuteva<br />

sui rapporti e sulle diversità tra<br />

i singoli linguaggi (e chi scrive privilegiava<br />

Cesare Brandi nella sua originale<br />

«Teoria generale della critica») si cercavano<br />

linee di demarcazione tra il cinema<br />

(che non poteva, ovviamente, essere in<br />

diretta) e il sistema radio-televisivo che,<br />

invece, la diretta l'aveva nel proprio<br />

Dna epistemologico.<br />

Una volta tracciato lo steccato, la televisione,<br />

secondo le aspirazioni del primo<br />

Mc Luhan, avrebbe reso il mondo<br />

più piccolo, coinvolgendolo, come allora<br />

si diceva, «nello stesso attimo e nello<br />

stesso momento». Benissimo: questa era<br />

una delle meraviglie del nostro secolo.<br />

Altri studiosi, con solide ragioni non legate<br />

solo allo specifico televisivo, affermarono<br />

che la diretta era solo un aspetto<br />

della virtualità della tv, perché l'immagine<br />

su nastro magnetico, essendo<br />

dissimile dalla pellicola cinematografica,<br />

aveva potenzialità espressive diverse che<br />

andavano sviluppate nell'intrattenimento,<br />

nei notiziari, negli sceneggiati «popolari»<br />

o a forte componente estetica.<br />

Già dagli anni '50 gli studiosi della comunicazione<br />

di massa e alcuni teorici<br />

del rapporto tra teatro e televisione, non<br />

rimasero nella pura progettualità. In<br />

un'atmosfera che favoriva la creatività,<br />

anche le produzioni destinate al grande<br />

pubblico cercavano una propria estetica.<br />

Ecco perché si stabilirono fecondi contatti<br />

con registi teatrali e televisivi per<br />

sperimentazioni che poi dettero forma a<br />

vere scuole di programmazione.<br />

Ci provò anche Antonioni a giostrare<br />

sulle molteplici possibilità cromatiche e<br />

spaziali dell'immagine video. Registi come<br />

Pupi Avati realizzarono propri film<br />

per la televisione (ma che si gustavano<br />

anche al cinema) cercarono di trovare<br />

una formula non di sola importazione<br />

anche nel musical. Per i più giovani e<br />

per chi ha poca memoria, su «Rai Sat<br />

Album» si possono rivedere molte di<br />

queste produzioni, comprese quelle, più<br />

vicine a noi, dei primi anni '80.<br />

Non amo nostalgie indebite e mi entusiasmo<br />

facilmente per qualche novità<br />

che si intravede sia in Rai che in Mediaset.<br />

Mi domando: oggi, nell'epoca del<br />

grande fratello è avvenuta una vera rivoluzione?<br />

A parte il fatto che il fenomeno<br />

è d'importazione, ci si può illudere<br />

che l'operazione parta da presupposti<br />

di pura ricerca? Non si creano nuove<br />

mitologie? Lo spettatore crede veramente<br />

che il gruppo di giovani baciati dalla<br />

fortuna e gettati nell'appartamento vivano<br />

una vita «normale»?<br />

Quando i nuovi protagonisti escono<br />

dal guscio della ferialità in scatola non si<br />

spalanca per loro una ribalta di successo<br />

che stordirebbe anche il più smaliziato<br />

masticatore di pubblico? I programmatori<br />

de «Il grande fratello» cercano poi<br />

di valorizzare smitizzando. Trovo che<br />

sia una forma di moralismo per mantenere<br />

il piede in due staffe. Dalla satira,<br />

simpaticissima ma che crea ancora più<br />

attesa, agli show che fanno dialogare i<br />

baciati da tanta fortuna indagando su<br />

ogni aspetto della loro vita privata. «L'avranno<br />

fatto o non l'avranno fatto?» è la<br />

domanda canonica che, passati in seconda<br />

o terza serata, si può fare documentando<br />

in modo più esplicito.<br />

Alcuni grandi nomi della semiotica si<br />

affannano a dimostrare che non c'è da<br />

meravigliarsi, perché questo è uno degli<br />

effetti dell'onda lunga che doveva prima<br />

o poi arrivare anche da noi. Irreversibile?<br />

C'è una radice di meccanicismo in<br />

questa certezza di irreversibilità. Ed anche<br />

di buon profitto per l'audience, sia<br />

chiaro.<br />

Certo, se si accetta la pura quantificazione<br />

come metro di valore, siamo alle<br />

strette con il respiro sia etico che estetico.<br />

Aggiungerei anche di rispetto vero<br />

del pubblico. Nel duello che si può vincere<br />

e perdere tra ansie mal riposte, il<br />

«nemico» può rispondere a sciabolate,<br />

dall'altro canale, cercando nella spazzatura<br />

qualche film falsamente thrilling,<br />

con ammiccamenti iniziali ai grandi del<br />

giallo storico.<br />

È un'illusione che dura dai tre ai<br />

quattro minuti; spunta poi inevitabilmente<br />

la felice coppia «sesso-violenza» a<br />

tal punto pacchiana da sentir l'urgenza<br />

di decorazioni sanguinolente. Il «vedonon<br />

vedo», che si può contemplare senza<br />

aspettare nove settimane e mezzo,<br />

viene rispolverato quando il nemico ha<br />

la fortuna di una diretta di calcio. Alcuni<br />

sono presi da sconforto e credono di<br />

consolarsi ripetendo litanicamente: «mala<br />

tempora currunt».<br />

«Sat 2000» ha tentato non un'alternativa<br />

ma un'indicazione, inserendosi, però,<br />

più sui canali di preferenza che quelli<br />

della «battaglia in diretta». Se riuscisse<br />

a coinvolgere molti che credono in una<br />

televisione diversa, cattolici e non, potrebbe<br />

sempre più essere una proposta<br />

indicativa per tutti, cercando di evitare<br />

l'antica tentazione di una «chiesa alternativa»<br />

di cui non si sente alcun bisogno.<br />

Ma, per non fermarsi in problematiche<br />

teologiche già acquisite, porto<br />

qualche semplificazione: ai vari polpettoni<br />

(pseudo religiosi e diseducativi del<br />

gusto e della catechesi), un'emittente<br />

ispirata cattolicamente, può valorizzare<br />

le opere più significative del passato e,<br />

con adeguata possibilità produttiva, favorire<br />

nuove creatività.<br />

Alcuni studiosi ritengono che fra alcuni<br />

anni tutto si risolverà nella totale perdita<br />

della tv generalista: vinceranno le<br />

possibilità di scelta tra un canale satellitare<br />

e l'altro, come in gran parte già avviene.<br />

Non credo che la risposta sia così<br />

facile. È probabile un futuro equilibrio.<br />

A patto che la televisione «per tutti» non<br />

prenda pretesto dalle scelte paraboliche<br />

per abbassare, come si dice in gergo<br />

non manzoniano, ulteriormente il tiro.<br />

anzi, convivevano con l'uomo nuragico e dalle quali<br />

egli traeva sostentamento di latte e carne.<br />

Si trattava, in ordine numerico, di ovini e caprini, di<br />

suini, di cervi e di bovini. Ordine che variava, s'intende,<br />

da località a località e che ammetteva, talvolta, la<br />

carnediqualchevolatile.A Barùmini è data la presenza<br />

diqualchericcio di mare (echinoderma) e di crostacei.<br />

E l'antico cacciatore sardo portava certamente i proventi<br />

della caccia (cinghiali, mufloni, daini e caprioli) e<br />

talvolta si faceva pescatore e arricchiva la sua dieta<br />

mediterranea con i frutti del mare e della pesca.<br />

Ma chi ama la Sardegna e, soprattutto, la sua parte<br />

più interna e segreta, cioè l'aspra zona del Nuorese,<br />

conosce certamente un modo di cucinare le carni (in<br />

particolare quelle del maiale e dell'agnello) davvero<br />

specialissimo, scavando una buca nel terreno, rivestendola<br />

di foglie e poi coprendola con uno strato di terra,<br />

sopra il quale si accende (e si accendeva) il fuoco.<br />

Questo modo primordiale è rimasto e ha fatto commettere<br />

più di un peccato di gola...<br />

È morto Geno Pampaloni<br />

Lo scrittore e critico Geno Pampaloni è<br />

morto nella mattinata di mercoledì 17 a Firenze.<br />

Aveva da poco compiuto 82 anni.<br />

Nato a Roma nel 1918, Pampaloni si laureò<br />

alla Normale di Pisa nel 1943 con Luigi Russo.<br />

Dopo varie esperienze come giornalista,<br />

nel 1962 si trasferì a Firenze dove diresse fino<br />

al '72 la Casa Editrice Vallecchi. Apprezzatissimo<br />

critico letterario, collaborò in questa<br />

veste per numerosetestateecaseeditrici.<br />

La sua attività di scrittore vide l'esordio solo<br />

nel 1980 con il volume «Adriano Olivetti:<br />

un'idea di democrazia», seguito nel 1981, dalla<br />

sua opera più nota: «Trent'anni con Cesare<br />

Pavese». Il suo ultimo libro risale al 1994, «I<br />

giorni in fuga», opera narrativa di taglio autobiografico.<br />

Sulla figura e sull'opera di Geno Pampaloni<br />

torneremo in maniera più ampia nell'edizione<br />

di domani.<br />

In mostra a Brescia opere dei grandi artisti russi del primo ventennio del '900<br />

Un'avanguardia pittorica<br />

nutrita di tradizioni popolari<br />

GIUSEPPE DEGLI AGOSTI<br />

A Brescia, dallo scorso 20 dicembre<br />

e fino al 16 aprile, sono in esposizione<br />

a Palazzo Martinengo opere<br />

di artisti russi relativamente ai primi<br />

due decenni del '900. Il titolo della<br />

Mostra è già indicativo del percorso<br />

storico-artistico che è possibile<br />

compiere: «Russi 1900-1920. Le radici<br />

dell'avanguardia. Larionov, Goncharova,<br />

Kandinsky e gli altri». Ma<br />

hanno un nome, ed anche importante,<br />

questi altri: essi sono Filonov,<br />

Malevic, Maskov, Tatlin, Rerich,<br />

Lentulov, Rozanova, Sterenberg. Sono<br />

64 dipinti, 10 acquerelli e opere<br />

grafiche, 8 icone, più numerosi pezzi<br />

dell'artigianato russo d'epoca, tutto<br />

materiale proveniente dal Museo<br />

Russo di Stato di San Pietroburgo.<br />

Il Catalogo bilingue, italiano-inglese,<br />

delle edizioni «Brescia Mostre-<br />

Grandi Eventi», offre contributi di<br />

notevole livello critico, da parte di<br />

studiosi italiani e russi, fra cui va<br />

grande interesse per l'arte primitiva,<br />

anche se questi artisti si muovevano<br />

verso mondi lontani ed esotici, mentre<br />

in Russia si muovevano di preferenza<br />

verso le radici popolari dell'espressione<br />

artistica e artigianale,<br />

cioè verso un universo di suggestioni<br />

e di segni semplici.<br />

Erano gli oggetti di raffinata manifattura<br />

popolare, dai colori caldi,<br />

dalle atmosfere caserecce, come le<br />

icone, i ricami, gli oggetti in legno,<br />

le insegne di botteghe. La creatività<br />

artistica trovava alimento nella<br />

creatività popolare, con la sua rappresentazione<br />

ingenua del mondo,<br />

tipica dei maestri artigiani.<br />

Gli artisti russi si liberano quindi<br />

dal manierismo culturale e dalle eccessive<br />

raffinatezze del simbolismo,<br />

raggiungendo esiti di estrema purez-<br />

za formale, sono radicati nell'antico,<br />

Vasilij<br />

Kandinsky:<br />

«La nuvola<br />

bianca»<br />

ricordato quello di Evgenja Petrova, vice direttore e responsabile<br />

scientifico del Museo Russo e curatrice della<br />

Mostra di Brescia.<br />

È una panoramica su uno dei periodi cruciali dell'arte<br />

russa: sconvolgenti furono gli eventi storici e straordinaria<br />

la esperienza creativa. Gli artisti russi si trovarono a<br />

fare sintesi fra una rinascita d'amore e di scoperta delle<br />

tradizioni popolari russe e l'urgenza di trovare nuove forme<br />

espressive.<br />

Anche in Occidente i grandi nomi di Gauguin, Modi-<br />

gliani, Picasso manifestavano in quel torno di tempo un<br />

in espressioni di novità stilistica. Essi ritrovano il calore e<br />

il colore della propria infanzia: pizzi, suppellettili, decorazioni<br />

su legno, immagini stampate su stoffe erano nello<br />

stesso tempo il segno di identità nazionale russa e l'espressione<br />

del caleidoscopio russo di diverse etnie, quali<br />

la georgiana, l'armena, l'ebraica.<br />

Spazio significativo aveva sempre avuto, nella cultura e<br />

nella tradizione popolare, anche il sentimento religioso,<br />

che aveva trovato una delle sue maggiori espressioni nelle<br />

icone.<br />

I due decenni d'inizio '900 avevano conosciuto in Russia<br />

anche una prodigiosa fioritura nelle lettere, nella musica,<br />

nel pensiero. Questa convergenza di artisti e di grandi<br />

menti, che fanno nascere una cultura moderna, in un<br />

periodo ormai di impero russo decadente e nel successivo<br />

periodo rivoluzionario, dice molto di una dissociazione<br />

fra il cammino della storia e della politica: è il cammino<br />

Il grano veniva certamente macinato e se ne facevano<br />

delle focacce, ma si faceva un pane molto dolce, di<br />

ghiande. Forse si confezionava, già in quell'epoca, il<br />

pane a sfoglia, quel pane carrasau o «carta da musica»<br />

che sembra fatto di vetro tant'è sottile e fragile.<br />

E certamente si beveva il latte e se ne faceva quel tipo<br />

particolare di yoghurt che ha, in Sardegna, il nome<br />

di mizzuraddu o gioddu; così com'era diffuso il consumo<br />

del formaggio, realizzato in chissà quali «forme».<br />

E dal formaggio e dalla farina si facevano quei tradizionali<br />

dolci sardi (le pàrdulas) identificati dall'archeologo<br />

Liliu in un museo conservato al museo Pigorini di<br />

Roma. Nessun problema per il dolcificante. C'era il<br />

miele. E, tipico della Sardegna, quel miele amaro che<br />

lo scrittore Salvatore Cambosu, col suo libro omonimo,<br />

ha fatto conoscere anche in Italia, sebbene a Roma,<br />

almeno al tempo degli antichi romani, non fosse<br />

apprezzato (parola di Orazio).<br />

Miele dolce e miele amaro venivano spesso mischiati.<br />

Ma anche l'acqua col miele, bevanda antica che si<br />

chiamava idromele, ma chissà se i nuragici lo sapevano.<br />

Sapevano, invece, come fare il vino d'uva e come<br />

berlo, in quantità, versandolo dai vasi askoidi in ciotole<br />

di terracotta. I bronzetti nuragici, ritrovati in molte<br />

parti dell'isola, ci documentano tutto questo offrendocene<br />

un'immagine, diciamo così, a perpetua memoria.<br />

A differenza di quanto accade nella Penisola e in<br />

Francia, non esiste in Sardegna uno studio del materiale<br />

scheletrico, dal quale possono ricavarsi più precise<br />

indicazioni di carattere paleonutrizionale. Ma i dati<br />

in nostro possesso, che si fondano su elementi antropologici<br />

tradizionali, ci consentono di fare, di quando<br />

in quando, interessanti scoperte anche sullo stato nutrizionale<br />

degli antichi, facendoci sapere, a volta a volta,<br />

se l'alimentazione fosse più o meno ricca di certe<br />

vitamine, oppure del tutto carente.<br />

«Concludendo — scrive l'archeologo — ci piace immaginare<br />

che, appoggiandole sulle cavità lenticolari del<br />

famoso focolare ad anello circolare di pietre di Serra<br />

Orrios... le buone mogli nuragiche tenessero in caldo<br />

le pentole con la zuppa... in attesa che gli uomini rientrassero<br />

dalla campagna». Come dire che, in fondo, accadevano<br />

ieri le cose che, nella tavola dei sardi (ma<br />

non soltanto dei sardi), accadono anche oggi. Del resto,<br />

come dubitarne? Anche l'uomo dei nuraghi è un<br />

nostro contemporaneo.<br />

N. Goncharova: «Raccolta della frutta»<br />

Kazimir Malevic: «Testa»<br />

Olga<br />

Rozanova:<br />

«La casa<br />

rossa»<br />

dello spirito creativo che nasce e<br />

matura anche contro il peso mortale<br />

della violenza autoritaria. Solo dopo<br />

i Russi verrà la «Secessione viennese»,<br />

l'Art nouveau di Monaco e l'Espressionismo<br />

di Berlino. Il potere<br />

leninista e stalinista sigillerà poi in<br />

depositi statali le libereespressioni<br />

artistiche dei quel primo ventennio<br />

del sec. XX. Nella Mostra quindi<br />

«sono dipinti e disegni impastati di<br />

lacrime e sangue» (E. Bettiza).<br />

Storicamente nel 1911 inizia l'astrattismo<br />

di Kandinsky, nel 1915 il<br />

suprematismo di Malevic. Ma negli<br />

anni artisti astratti e artisti figurativi<br />

si incontrano: per le due correnti<br />

vale il ritorno alle forme semplici e<br />

ingenue, alla naturalezza, alla primordialità,<br />

vale anche la purificazione<br />

dell'arte dall'elemento letterario.<br />

In Occidente è forte il richiamo<br />

all'arte primitiva africana, alle<br />

stampe popolari cinesi, persiane,<br />

giapponesi, alle espressioni artigia-<br />

nali provenienti dall'Egitto e dal<br />

Messico, in Russia invece si ritorna in arte ai prodotti di<br />

vita quotidiana, quali giocattoli in legno e argilla, asciugamani,<br />

abiti, vassoi dipinti.<br />

Già alla fine dell'800 l'intelligencija artistica russa aveva<br />

ricuperato le tradizioni popolari in vari settori dell'arte:<br />

architettura, musica, pittura, letteratura. Ma mentre<br />

per alcuni artisti, per es. Kandinsky, Maljavin, gli elementi<br />

del passato del popolo e delle tradizioni della terra<br />

russa sono elemento descrittivo nell'opera d'arte, per la<br />

Goncharova, Filonov, Larionov e altri l'oggetto artigiano<br />

diventaunidealeeoggettodipurainterpretazioneartistica.<br />

Come gli Antichi furono un modulo<br />

per il Rinascimento e il Neoclassicismo,<br />

l'arte popolare fu un<br />

modulo altrettanto stimolante per<br />

gli artisti russi d'inizio '900. Intervenne<br />

anche un contatto e un'osmosi<br />

con il Futurismo, che pure voleva<br />

liberarsi di tutta una tradizione opprimente<br />

per conquistare una ipotetica<br />

libertà assoluta dell'artista.<br />

Malevic potrà dire: «sono rimasto<br />

fermo all'arte contadina». In un primo<br />

momento l'ispirazione gli venne<br />

dalle icone, poi volle calarsi ancor<br />

più nel reale di contadini che lavoravano,<br />

mietevano, trebbiavano.<br />

Kandinsky e Filonov trasferiscono<br />

con novità stilistica nelle loro tele i<br />

colori e gli oggetti della più pura<br />

tradizione contadina russa.<br />

La Rozanova, per nella sua breve<br />

biografia, ha saputo trasfondere sulla<br />

tela «un colorito trasformato»: vi leggiamouna nuova<br />

purezza e luminosità coloristica, una energia interiore del<br />

colore che riconduce alle icone e agli antichi maestri.<br />

L'esperienzaelaconoscenzadell'artepopolarenonerain<br />

gran parte degli artisti russi di questo periodo di semplice<br />

studioatavolino:quasituttihannocompiuto viaggi in zone<br />

periferiche della grande Russia per fissare poi sulle tele<br />

letematicheeisoggetti colti sul piano reale. Sul piano stilistico<br />

e formale restava l'ispirazione oggettiva colta nella<br />

tradizione popolare, ma sulla tela era trasfusa questa<br />

ispirazione con novità e secondo canoni artistici che rappresentavano<br />

una rottura con una tradizione che sarebbe<br />

finita altrimenti con l'essere ripetitiva. Kandinsky soprattutto<br />

seppe tenere sotto controllo le influenze dell'arte popolare,<br />

per offrire all'arte russa ed europea un abbrivo<br />

che avrà sorprendenti sviluppi nel corso di tutto il '900.

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