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ERZA T PAGINA .<br />

PAGINA<br />

3 .<br />

Ricordo di Geno Pampaloni<br />

Un critico attento<br />

alla «filigrana» morale<br />

CLAUDIO TOSCANI<br />

In una delle ultime pagine della Storia<br />

della letteratura italiana curata a<br />

suo tempo da Emilio Cecchi e Natalino<br />

Sapegno, c'è un veloce riguardo alla più<br />

recente critica militante, quella, per intenderci,<br />

esercitata a caldo, sugli spalti<br />

della più bruciante contemporaneità degli<br />

eventi letterari.<br />

Più arduo, dice all'incirca il brano, è<br />

precisare i legami con il più mutevole<br />

sfondo delle vicende culturali dell'ultimo<br />

cinquantennio dei molti articolisti e saggisti<br />

impegnati nelle vicende del gusto<br />

contemporaneo e la cui attività si svolge<br />

essenzialmente nelle riviste e nei quotidiani.<br />

Ed ecco, fra i pochissimi ritenuti degni<br />

di citazione, il nome di Geno Pampaloni,<br />

appassionato cronista, oculato<br />

registratore di fatti, informatissimo bibliografo,<br />

preparato e fine, sensibile e<br />

spesso avvincente, d'una sola cosa rimproverabile,<br />

di non aver mai raccolto organicamente<br />

i suoi più significativi interventi,<br />

i suoi più penetranti rilievi.<br />

Salvo pochissimi titoli, così è stato fino<br />

alla fine.<br />

* * *<br />

Nato a Roma nel '18, Pampaloni ha la<br />

più parca «fedina» editoriale che si conosca<br />

fra quelle dei vari intellettuali<br />

operanti nel nostro secondo Novecento.<br />

Attivo fin dal 1935 in periodici o giornali,<br />

solo nel 1980 Pampaloni pubblica il<br />

suo primo libro, di natura per altro non<br />

letteraria, ma chiaro omaggio alla vita e<br />

all'opera di un illuminato mecenate della<br />

cultura italiana (Adriano Olivetti:<br />

un'idea di democrazia).<br />

Ma il suo titolo di più precipua e<br />

omogenea analisi critica, resta a tutt'oggi<br />

quel Trent'anni con Cesare Pavese<br />

(del 1981), libro di testimoniante solidarietà<br />

intellettuale e morale con uno<br />

scrittore che per decenni suscitò grandi<br />

passioni e grandi discussioni, ultimo<br />

umanista e ultimo razionalista al tempo<br />

stesso, contraddittoria figura d'uomo<br />

aperto, vigile, sollecito, tanto quanto in<br />

crisi, assediato da «religiosa» infelicità,<br />

da esistenziale insufficienza, da sacrificato<br />

moralismo.<br />

Pampaloni è già qui il ritratto dell'operatore<br />

informativo e giudicante dal<br />

perfetto sigillo di lealtà, che dalle vaste<br />

ragioni umane del suo oggetto di studio<br />

sa cogliere anche il sentimento della serietà<br />

della vita, anche la filigrana morale,<br />

oltre alla più o meno valida dimostrazione<br />

di esteticità.<br />

Inaspettatamente Pampaloni dà nell'83<br />

alle stampe un lavoro narrativo. Si<br />

tratta di Buono come il pane, memorie<br />

di giovinezza e di morte, prosa letteraria<br />

di qualità centrata su piccoli cespiti ispirativi<br />

(un amico, due piccoli cani, un<br />

gatto, cose minime e oscure, ricordi),<br />

come è da sempre nelle regole della bella<br />

scrittura, della scrittura d'arte, che<br />

qui non si concretizza comunque nella<br />

sola epifania musicale della pagina, ma<br />

anche nella grazia sofferta e nel pathos<br />

gentile del racconto, in uno stile struggente<br />

ma non retorico.<br />

A questo punto Pampaloni è già un<br />

affermato pontifex della nostra critica<br />

che, oltre alla giornaliera milizia recensistica,<br />

sistematizza in interventi più approfonditi,<br />

alcune nostre grandi figure<br />

letterarie come Cecchi, Svevo, Alvaro,<br />

Brancati, Movetti, Silone, Vittorini, Noventa<br />

ed altre. In più lavora come collaboratore<br />

editoriale (presso Vallecchi ed<br />

Edipem, soprattutto) riuscendo a far<br />

pubblicare testi di Bo, di Bilenchi, della<br />

Ortese, di Landolfi e di alcuni stranieri,<br />

come Roth e la Arendt.<br />

* * *<br />

Dotato di esemplare discrezione (tentiamo<br />

qui, al caso, una formula che gli<br />

sarebbe forse giunta gradita, di orgoglio<br />

della modestia), Pampaloni sente il «dovere»<br />

più che il «piacere» del testo, intendendosi<br />

con ciò la sua effettiva e morale<br />

necessità nel mondo. Il suo commento<br />

da prima linea (come s'è detto<br />

Pampaloni era di quelli che scrivono su<br />

un libro appena questi varca la porta<br />

dell'editore verso la sua fruizione, verso<br />

il suo «consumo»), non è stato mai assimilabile<br />

a quello dei non pochi analisti<br />

dallo stagionale (se non ebdomadario)<br />

svenimento davanti a un qualche capolavoro.<br />

Pampaloni manteneva la capacità di<br />

stupirsi, onestamente, non certo a comando,<br />

né su sollecitazione, e se è vero<br />

che non era incline alla stroncatura palese<br />

e frontale (chi lo ha fatto, o lo fa,<br />

lascia evidenti segni di ragioni ideologiche<br />

e quasi mai letterarie), non si esimeva<br />

dal far capire l'inutilità ontologica di<br />

certi libri o romanzi, con l'agrodolce<br />

gentilezza che lo caratterizzava anche<br />

nel dialogo. Cercava più spesso l'assoluto<br />

della vita nelle minori e minuscole<br />

contingenze della letteratura, narrativa e<br />

poetica che fosse, scovando verità, grazie,<br />

peccati, idee nelle più riposte pieghe<br />

dei testi.<br />

«...per insignificante che sia, questo è<br />

un libro di buona fede letteraria, nato ri-<br />

ga per riga nel segno della letteratura»:<br />

così Pampaloni scrisse in appendice a<br />

Fedele alle amicizie (dell'84), altro bel<br />

titolo, fra i pochi suoi, per i suoi pochi<br />

volumi. Testo di singolare eleganza e di<br />

«involontaria» creatività, questo lavoro<br />

contiene un memoriale su sessant'anni<br />

di vita italiana (1923-1983), dall'avvento<br />

del fascismo alla barbara uccisione di<br />

Moro (ma da fascismo a fascismo può<br />

ben dirsi, se dai tempi in cui la nazione<br />

era insidiata, surrogata e sopraffatta dalla<br />

ideologica faziosità del regime «nero»,<br />

allo ieri terroristico in cui qualcosa di<br />

essenziale si incrinò).<br />

Ecco: Pampaloni ha percorso questa<br />

parabola, o arco di fuga di una traiettoria<br />

che non ci è mai stata così oscura e<br />

temibile come in quei tempi in cui l'animo<br />

non seppe capacitarsi d'altro se non<br />

della minima, residuata umanità riassunta<br />

nel titolo, la fedeltà alle amicizie, non<br />

quelle opportunistiche, dai fertili incroci<br />

di favori, ma quelle che venivano richiamandosi<br />

ai valori di una irriducibile e<br />

generativa entità di affetti, di emozioni,<br />

di memorie, di cultura, di vibrazioni intellettuali,<br />

di primaria religiosità.<br />

Fedele alle amicizie, dunque, come<br />

una sorta di poetica dello spirito e, a un<br />

tempo, archivio di ricordi, giudizi, ritratti,<br />

ambienti, quadri d'epoca, episodi<br />

di guerra e di dopoguerra.<br />

In pagine che, volta a volta, raccontavano<br />

di storie private, scattavano istantanee<br />

sociali, descrivevano personaggi<br />

dell'industria, della politica, della letteratura,<br />

dipingevano scene di massa, suscitavano<br />

cordiali soprassalti di vita familiare,<br />

animavano bozzetti.<br />

E l'intenzione rimaneva quella di stabilire<br />

un'intima rispondenza tra fatti accaduti<br />

da decenni e situazioni o idee del<br />

dopo, in una continuità di tessuto dialettico<br />

(da etico, a morale, a religioso, ma<br />

anche, da cronologico a storico, metastorico).<br />

Ogni volta, insomma, Pampaloni,<br />

da «provinciale europeo» in un'Italia<br />

diventata «ecumenico» ma impersonale<br />

ricetto di sintomi e di segnali, attingeva<br />

alla memoria perché solo ruminando la<br />

tradizione poteva disporsi a digerire il<br />

futuro, lui, uno dei pochi intellettuali<br />

del nostro tempo che sempre aveva saputo<br />

insinuarsi nell'appiattimento generaledei<br />

principi e dei valori nel tentativo<br />

di ridar loro consistenza e spessore, di<br />

mantenerli sul filo della comunicatività.<br />

* * *<br />

Nel suo esiguo carnet Pampaloni vanta<br />

ancora due titoli, recentissimi, di cui<br />

il pubblico, anche per il voluto silenzio<br />

dell'interessato, non s'è quasi accorto:<br />

Bonus Malus e I giorni in fuga (entrambi<br />

del '94). Il primo, ulteriore esempio<br />

di narrazione dal taglio memorativo;<br />

il secondo, ulteriore cammino autobiografico<br />

lungo strade di storia patria e familiare.<br />

È stato così, che muovendosi tra i libri<br />

e la vita, tra metafore e ideologie,<br />

idee e prassi, invenzione e destino, storie<br />

e stili, Pampaloni ha impersonato<br />

uno degli ultimi simboli della critica come<br />

quotidiana ricerca di accettabili<br />

creazioni letterarie, per il tramite di una<br />

duttile onestà, di linguaggio, di un agile,<br />

alto, nobile pensiero, solidamente illuminato<br />

da cristiane ragioni, da nitide evidenze<br />

morali.<br />

Sopra la salsa sciapa della cronaca<br />

editoriale spacciata per critica, sopra la<br />

claque degli ottimisti proliferata all'ombra<br />

dell'industria della cultura, sopra<br />

quel mondo cartaceo ormai troppo divulgato<br />

da un giornalismo letterario che<br />

non ha idee e ciononostante le esprime,<br />

sopra il materialismo storico e il dionisiaco<br />

decostruzionismo delle avanguardie<br />

dagli agguati culturali e dagli eterocliti<br />

tentoni sperimentali, Geno Pampaloni<br />

fu ancora di quelli che, con felice<br />

fierezza, non si accontentarono delle sole<br />

ragioni del presente, ma che respinsero<br />

la critica come canonizzazione dei<br />

contemporanei, senza farne né un tribunale,<br />

né un semaforo perennemente rosso,<br />

né un codice di polizia.<br />

Nel novembre '98, in occasione dei<br />

suoi ottant'anni, mentre presentava il<br />

suo ultimo libro, Sul ponte tra Novecento<br />

e Duemila, (riproposta di suoi articoli<br />

tra il 1947 e il 1953), si rabbuiò quando<br />

gli chiesero l'attuale onestà dei critici.<br />

Ricordando d'essere stato allievo dei<br />

grandi Attilio Momigliano e Luigi Russo,<br />

amico di Debenedetti, di Cecchi e di Folena,<br />

osservava che la critica disinteressata<br />

oggi non esiste più. Che della moralità<br />

professionale dei critici d'oggi dubitava<br />

forte. Che la felicità è la buona coscienza.<br />

Parole dolorose, ma per le quali,<br />

proprio per questo, si sa a chi dire<br />

grazie.<br />

Sotto l'egida etica ed estetica di Renato<br />

Serra, Pampaloni fece della sua dignità<br />

di lettore di prima istanza una bandiera<br />

dalla signorile indulgenza tanto<br />

quanto dall'intransigente equanimità. Né<br />

retore né rettore, è stato uno degli ultimi<br />

a vedere nei testi altrui i lasciti, gli<br />

invenimenti, le invenzioni, le intuizioni,<br />

la cultura, la storia, la forma. Ma, quel<br />

che più conta, la presenza o meno di<br />

una sostanza morale.<br />

L'OSSERVATORE ROMANO Venerdì 19 Gennaio 2001<br />

Olivo Barbieri<br />

«La Fincantieri<br />

a Marghera»<br />

Lewis Baltz<br />

«Venezia»<br />

In un volume fotografico documentate le trasformazioni del territorio veneziano<br />

Il paesaggio inteso come esperienza visiva<br />

che coinvolge il sentimento e l'intelletto<br />

GIUSEPPE COSTA<br />

Con la pubblicazione di «Identificazione di un paesaggio»<br />

a cura di Sandro Mescola per la Silvana Editoriale<br />

(Milano, 2000) si è concluso un interessante<br />

progetto mirante a documentare con la fotografia le<br />

trasformazioni del territorio di Venezia e Mestre. Il<br />

progetto aveva già visto nel 1997 la pubblicazione di<br />

un primo volume «Venezia-Mestre» per le Edizioni<br />

Charta di Milano con testi del compianto Paolo Costantini<br />

ispiratore e coordinatore dell'iniziativa assieme<br />

a Fulvio Orsenigo e Alessandra Chemollo.<br />

Se quest'ultimo volume aveva pubblicato la produ-<br />

zione di 15 artisti italiani, quello più recente<br />

dà spazio a 12 obiettivi internazionali. Il progetto<br />

nel suo insieme ci offre non soltanto un<br />

quadro-visione complessivo del territorio suddetto<br />

ma anche dell'evoluzione in atto all'interno<br />

della stessa fotografia di paesaggio a livello<br />

italiano e internazionale.<br />

Ci troviamo in entrambi i casi di fronte<br />

una fotografia che interroga se stessa alla ricerca<br />

non soltanto di immagini da catturare<br />

ma di un linguaggio capace di rivelare il nesso<br />

delle cose e il significato profondo di una<br />

relazione. Non più quindi la foto-cartolina<br />

ma come scrive Sandro Mescola, un paesaggio<br />

inteso come esperienza visiva coinvolgente,<br />

emotiva e sentimentale, anche intellettuale.<br />

Il fotografo di queste immagini si rivela<br />

vero «detective» del genius loci per ricordare<br />

la celebre espressione di Benjamin. Si tratta<br />

di una visione per dirla con Paul Virilio «paragonabile<br />

al terreno di scavi dell'archeologo.<br />

Vedere è essere appostati, in attesa di ciò che<br />

deve sorgere dal fondo, senza nome, di ciò<br />

che non presenta nessun interesse».<br />

Lo stesso Paolo Costantini con riferimento ai quindici<br />

fotografi presentati fra i quali ricordiamo Olivo<br />

Barbieri, Gabriele Basilico, Giovanni Chiaramonte,<br />

Guido Guidi e Mimmo Jodice, sottolinea che a partire<br />

dalla insofferenza mostrata da Luigi Ghirri verso il ristretto<br />

ambiente della fotografia italiana è in atto una<br />

trasformazione tesa a formare nuovi paesaggi spirituali<br />

più che a ripetere vecchi stereotipi.<br />

«Il binomio Venezia-Marghera — scrive Costantini<br />

— con le straordinarie tensioni fra natura, artificio e<br />

storia che vi sono presenti ha forzato una liberazione<br />

dello sguardo, attento alla molteplicità e alla coesistenza<br />

delle differenze, e capace di rovesciare gerarchie<br />

e luoghi comuni per contribuire al tentativo di<br />

descrizione e decifrazione di profondi mutamenti:<br />

quelli avvenuti (e che hanno portato alla configura-<br />

Olî e disegni di Virgilio Guzzi esposti all'Accademia di San Luca a Roma<br />

Una pittura tonale rigorosa nello studio del colore<br />

CLOTILDE PATERNOSTRO<br />

Figura poliedrica e complessa, Virgilio<br />

Guzzi (Molfetta, Bari 1902 - Roma 1978)<br />

storico dell'arte, critico e pittore, è presentato<br />

in quest'ultima veste all'Accademia<br />

Nazionale di san Luca in Roma con<br />

una notevole rassegna di olii e disegni<br />

(sino al 20 gennaio) curata dal figlio Domenico,<br />

mostra ampia che dal 1920 va<br />

sino alla seconda metà degli Anni Settanta<br />

(Autoritratto, 1922 - Rissa, 1978).<br />

Una mostra intesa quale lettura della<br />

personalità dell'artista e lettura dell'evoluzione<br />

plastica del Novecento della quale<br />

Guzzi fu interprete e testimone insieme.<br />

Pittura del XX secolo e pittura romana<br />

soprattutto, avendo partecipato,<br />

Guzzi, ai movimenti artistici di maggior<br />

rilievo verificatisi nel tempo: Valori Plastici,<br />

Novecento, Scuola Romana. Un<br />

«naturalismo evocato» questo di Guzzi;<br />

la visione del vero e in senso classicista<br />

è il linguaggio del pittore sin agli Anni<br />

Trenta. Una pittura tonale rigorosa nello<br />

studio del colore, formalmente corretta,<br />

una situazione figurata nella «scena»<br />

ben costruita, dimostrazione quasi di<br />

una tesi, il famoso quadro Natura.<br />

Ma Natura in special modo, il quadro<br />

dal «silenzio estatico» (Bellonzi): madre<br />

e bambino, figure luminose e levigate<br />

sono nella campagna resa nella delicata<br />

forma delle piante dei colori miscelati<br />

con sapienza; una fissità, un trasognato<br />

immobilismo si palesano, motivi propri<br />

dei Valori Plastici che perduravano, in<br />

realtà, dagli anni Venti.<br />

Fino al 1930 dunque la pittura di Guzzi<br />

seguì la corrente classicista da tanti<br />

esperita; fu la maniera più sentita forse<br />

dal pittore, quella corrispondente ad un<br />

intimo sentire aristocratico, distaccato,<br />

tutto sovratono; successivamente la forma<br />

si arricchì di quella pennellata fluida<br />

e irruente caratterizzante la Scuola Romana<br />

(1928 ca.) La Scuola Romana del-<br />

Frank Gohlke<br />

«Paesaggio<br />

industriale»<br />

zione attuale del paesaggio alle porte di Venezia) e<br />

quelli che si annunciano ora sulla soglia».<br />

Del resto lo spessore degli artisti catalogati è notevole.<br />

Per tutti basta ricordare Basilico e Chiaramonte:<br />

il primo, Gabriele Basilico è sin dall'infanzia un frequentatore<br />

dell'area veneziana e vede in Marghera sì<br />

un luogo misterioso e indecifrabile ma anche una zona<br />

franca facente parte di un unico grande progetto<br />

coerente e in divenire che dà identità a diversi territori;<br />

mentre il secondo, Giovanni Chiaramonte, da sempre<br />

aduso alle rive e alle spiagge marine — ricordiamo<br />

«Terra di ritorno» e «Ai confini del mare» —, con<br />

la sua ombra-luce «ama vedere Venezia come il rifu-<br />

gio delle domande più dolorose, il luogo dove i desideri<br />

inesauditi del cuore, che la luce nell'attività del<br />

giorno gettava nell'ombra ai margini estremi della coscienza,<br />

potevano finalmente emergere e prendere<br />

corpo».<br />

Anche se il paesaggio ha sempre caratterizzato la<br />

fotografia — si pensi all'intuizione ottocentesca di Timothy<br />

O'Sullivan nel considerare la natura come architettura<br />

— è tuttavia con Walker Evans e Robert<br />

Frank che esso incomincia a diventare documento.<br />

Questa eredità verrà quindi accolta negli Anni Sessanta<br />

da Ruscha in «Twenty-six Gasoline Stations»<br />

(1962), da John Szarkowski, direttore del dipartimento<br />

di fotografia del MoMA di New York attraverso varie<br />

mostre negli Anni Settanta ed ancora da quella sorta<br />

di manifesto di questa fotografia rappresentato dal volume<br />

di Robert Adams «The New West» nel 1975 e cosi<br />

via fino a Wim Wenders.<br />

la quale Guzzi fu partecipe convinto,<br />

portò infatti al rinnovamento del linguaggio<br />

figurativo con l'accezione<br />

espressionista esaltata da Scipione soprattutto,<br />

e Mafai; la temperie romana<br />

l'assorbì distaccandosi da un classicismo<br />

oramai trascorso per avviarsi ad una<br />

espressività sofferta, talvolta esasperata,<br />

convulsa (Scipione).<br />

Se Ragazza al tavolo (1935) o Studio<br />

per autoritratto (1935) del Nostro rimangono<br />

ancorati ad esiti novecenteschi,<br />

saranno le opere successive Ritratto<br />

di Stradone (1941) o Dormiente<br />

(1945), le nature morte del '44, '45 ad<br />

esemplare il nuovo dettato nella corposità<br />

della pennellata densa, pennellata che<br />

Virgilio Guzzi, «Autoritratto» (1935)<br />

accentuerà il proprio humus coloristico<br />

nei paesaggi degli anni Sessanta e Settanta<br />

- Paesaggio a Forte dei Marmi<br />

(1963), Alberi in Versilia (Alberi) (1964),<br />

Paesaggio urbano (1977).<br />

In riferimento alla Rissa n. 2 (1978) lo<br />

stesso Guzzi scriverà nel famoso suo<br />

Scartafaccio: «portare una rissa al limite<br />

John Gossage, «Marghera»<br />

del pittoricismo puro... ho dipinto risse<br />

nel bar; delle quali una di tal violenza<br />

cromatica e dinamismo che pure non<br />

dissolvono il ritmo né disfano la forma<br />

come realtà vista».<br />

Il concetto di fondo, realtà vista, permane<br />

quindi pur nella forma fagocitata<br />

dalla tensione lineare e dal colore incalzante,<br />

irruente: sempre rimane Guzzi<br />

nell'ambito della figurazione legata alla<br />

natura, alla realtà concreta sia nella figura<br />

umana sia nella visione suggestiva<br />

di paesaggi e scorci paesistici di delicata<br />

malinconia. Sarà naturalismo, poi realismo,<br />

accezioni in conseguenza di maturità<br />

crescente, evoluzione, superiorità di<br />

visione resa nella strutturazione del quadro<br />

variamente articolata.<br />

Se Natura del '30 aveva connotazione<br />

precipua nella stabilità, la figura immota<br />

nell'aurametafisica avvolta da magia, alla<br />

fine degli Anni Sessanta vedremo anche<br />

forme lignee, Bar di periferia (Bar),<br />

1969, Donne e ritagli (1969), figure che<br />

siaddensanoin composizioni serrate, dai<br />

volumi squadrati, stagliati netti; alla fine<br />

degli anni Settanta, Rissa, ad esempio,<br />

o Controluce (1977) presentano invece<br />

la freschezza del movimento, del dialogo<br />

tra figure colte in gruppo intervenendo,<br />

il pittore, nella luce e nell'ombra o nell'agglomerato<br />

di forme frementi.<br />

Sarà il movimento dunque che Guzzi<br />

inserirà nelle movenze del corpo, specie<br />

nella serie bellissima dei disegni che in<br />

esposizione ammiriamo. Spontanei e vivissimi<br />

sono i disegni, non solo bozzetti<br />

o studi ma ritratti, nature morte con accentuati<br />

innesti di movenze febbrili, Modella<br />

di spalle che si pettina (disegno a<br />

inchiostro su carta), Ritratto di Pericle<br />

Fazzini (inchiostro su carta) e ancora ritratti<br />

e ritratti di Tamburi, Ziveri, Montanarini,<br />

amici, personaggi che assieme<br />

ad altri, tanti altri, ritroveremo poi in<br />

quel mirabile testo letterario di Guzzi:<br />

«Ritratto dal vero di artisti contempora-<br />

Baltz, Gossage e Shore sono presenti anche<br />

in questo progetto veneto con immagini eloquenti.<br />

Certo all'occhio del semplice spettatore<br />

non tutte le immagini di tutti gli autori<br />

rimbalzano con immediata significatività:<br />

manierismo e simbolismo sono sempre in agguato.<br />

Chiarissima è tuttavia la visione denuncia<br />

del newyorkese John Gossage il quale fra l'altro<br />

ricorda questo episodio: «Nella zona dove<br />

realizzai gran parte del mio lavoro c'era un<br />

ingegnere con degli occhi tristi e gentili, il più<br />

aperto e disponibile tra gli addetti che avevo<br />

incontrato. Stava ispezionando la demolizione<br />

di alcuni edifici, tra cui alcuni ai quali aveva<br />

collaborato per la progettazione anni addietro.<br />

La forza lavoro di 1.200 uomini era stata<br />

ridotta a 11, in uno stabile quasi vuoto.<br />

«Appena arrivato mi portò a fare un giro<br />

dell'area spiegandomi quale fase del processo<br />

di creazione di nitrogeno si fosse svolta in<br />

ogni edificio e quali fossero le mansioni degli<br />

operai. In uno spazio molto vasto simile a<br />

una collinetta per lanciatori di baseball mi spiegò che<br />

sotto ai nostri piedi si trovavano sepolte tonnellate di<br />

rifiuti tossici talmente pericolosi da non poter essere<br />

eliminati. I rifiuti erano stati sepolti in una fossa rivestita<br />

con teli in plastica e ricoperta con della terra.<br />

«Quel giorno pioveva e cosi gli chiesi se l'acqua<br />

piovana scorrendo non potesse disperdere le scorie e<br />

contaminare le acque della laguna. Lui mi rispose rapidamente<br />

che alla base della fossa c'era uno strato<br />

di argilla sufficiente ad impedire la dispersione nel<br />

bacino lagunare».<br />

Ci sembra in conclusione che questa fotografia — e<br />

con essa l'intero progetto presentato nei due volumi<br />

— possa rappresentare una nuova frontiera di impegno<br />

civile: documentare le trasformazioni di un territorio<br />

e soprattutto mostrarle a cittadini sempre più<br />

distratti per una società civile non è cosa da poco.<br />

Specie là dove abusivismo e inquinamento sono in<br />

agguato.<br />

nei» dove verrà evidenziato il profilo artistico<br />

e umano dei maggiori cultori dell'arte<br />

del tempo: Ferrazzi, De Pisis, Soffici,<br />

Modigliani, Morandi, Baj (il comico),<br />

Burri (il tragico) ecc.<br />

Un estroverso campionario di figure<br />

che a buon diritto vanno considerate capisaldi<br />

della figurazione italiana del XX<br />

secolo; un brillante regesto dimostrante<br />

la polivalenza di un intelletto vivo, sapiente,<br />

acutissimo. Artista di elevatissima<br />

cultura, Virgilio Guzzi, rimane quale<br />

interprete di tutto rispetto di un'epoca<br />

segnata da più passaggi ideologici, stilistici,<br />

che l'Artista portò a compimento<br />

nel proprio iter perfettamente inserendolo<br />

nel progressivo svolgimento di idee e<br />

fatti segnati dalla Storia.<br />

Appuntamenti<br />

culturali<br />

Roma, 20 gennaio<br />

«Musiche Danze<br />

e Temi Sacri»<br />

Il 20 gennaio alle ore 19, nella<br />

Basilica di S. Maria degli Angeli<br />

e dei Martiri, verrà rappresentato<br />

lo spettacolo «Musiche<br />

Danze e Temi Sacri».<br />

Roma, 21 gennaio<br />

Vincenzo<br />

Castella<br />

«Società<br />

Italiana Vetro»<br />

Lewis Baltz<br />

«Il villaggio<br />

La Malcontenta»<br />

L'impressione di trovarsi di fronte a fotografi che si<br />

identificano con il territorio e rifuggano da proposte<br />

formali o ornamentali si rafforza guardando anche le<br />

immagini del secondo volume, il più recente.<br />

Del resto, in materia la fotografia americana può<br />

vantare una tradizione. Attestati sulla soglia concettuale<br />

che si apre sul confuso scenario fotografico contemporaneo,<br />

Robert Adams, Lewis Baltz, William Eggleston,<br />

John Gossage e Stephen Shore, per la complessità<br />

e l'eccezionale coerenza delle loro ricerche,<br />

sembrano più di altri evidenziare la feconda inquietudine<br />

di una fotografia che riflette su se stessa, non<br />

trovandosi in pace nell'ambiente che esplora.<br />

«Certamen Vaticanum»<br />

Il Palazzo della Cancelleria<br />

Apostolica sarà sede, il 21 gennaio<br />

alle ore 16.30, dell'annuale<br />

«Festa del Latino» e della<br />

XXXXIII edizione del «Certamen<br />

Vaticanum».

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