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L'OSSERVATORE IBRI<br />

PAGINA<br />

10 .<br />

L'OSSERVATORE ROMANO Mercoledì 31 Gennaio 2001<br />

Pieter Bruegel<br />

«I ciechi»<br />

(1568); sotto:<br />

«Nozze<br />

di contadini»<br />

(1565)<br />

La vita nella Parigi tardomedievale rivive nelle «Opere» di François Villon edite da «I Meridiani» Mondadori<br />

Una poesia che passa<br />

dal gioco goliardico al sincero pentimento<br />

GIOVANNI MARCHI<br />

È mai possibile che per una delle forme<br />

più alte della poesia lirica e drammatica<br />

francese, come propone Mario<br />

Luzi nella prefazione alle Opere di François<br />

Villon, nella nuova edizione rivista<br />

e accresciuta dei Meridiani, a cura di<br />

Emma Stojkovic Mazzariol, si sia incerti<br />

se ascriverla alla maniera o all'autenticità,<br />

al gioco goliardico o alla tragica confessione<br />

(François Villon, Opere, con<br />

prefazione di Mario Luzi, Milano, Mondadori,<br />

I Meridiani, 2000, £ 85.000)? Se<br />

nel mistero, e, nel suo piccolo, nell'ambiguità,<br />

risiede spesso il fascino della<br />

poesia, sembrerebbe difficile ondeggiare<br />

tra così opposti estremi per Villon, anche<br />

se nella sua epoca, al tramonto del<br />

Medioevo, la Francia, con le calamità<br />

della Guerra dei Cento anni e di alcuni<br />

terribili inverni polari che l'afflissero, abbia<br />

attraversato uno dei suoi periodi più<br />

confusi e più neri.<br />

Ma che il poeta proponga nelle sue<br />

poesie un'alternanza continua tra seduzione<br />

e pentimento, un ondeggiare nel<br />

percorso tra bene e male, nella opposizione<br />

tra buone intenzioni e pratica di<br />

ogni giorno, secondo la confessione di<br />

Ovidio: «Video meliora proboque, deteriora<br />

sequor — Vedo il meglio e lo approvo,<br />

ma poi seguo il peggio», è senz'altro<br />

accertato. Giovanni Macchia osservò<br />

che in una delle sue poesie, nel<br />

Dibattito tra il cuore e il corpo, Villon<br />

accenna a un'oscura fatalità che aveva<br />

facile vittoria della sua volontà.<br />

L'educazione cristiana ricevuta da<br />

bambino dalla mamma e dal canonico<br />

Guillaume, il trascorrere della gioventù<br />

spensierata e l'amore alla vita si uniscono<br />

ben presto in Villon alle frequentazioni<br />

delle sale da gioco e delle taverne,<br />

seguite da furti, risse e delitti, in compagnia<br />

dei «clerici vagantes» (che giravano<br />

in cerca di avventure per Parigi, come<br />

in tutte le città d'Europa, sedi di università,<br />

e il pensiero corre subito per l'Italia<br />

a Cecco Angiolieri) o per aver fatto poi<br />

parte, come sostengono alcuni, delle<br />

bande criminali dei Coquillards, che infestavano<br />

città e campagne, imparandoneilgergo,chepoiutilizzeràinseiballate<br />

loro rivolte, su come abbandonare<br />

quellavitadistentie salvarsi dagli sbirri.<br />

Ciò che oggi ancor più impressiona è<br />

il fatto che François de Montcorbier, o<br />

des Loges, detto Villon, nato tra il 1431<br />

e il 1432, e di cui non si hanno più notizie<br />

certe dopo il 1463, sia stato capace<br />

di trasferire queste esperienze in grande<br />

poesia, con l'intensa l'emozione della vita<br />

vissuta, tra il rimpianto delle piccole<br />

e grandi gioie della vita e il pentimento<br />

delle colpe, tra cui quella di avere il 5<br />

giugno 1455, poco più che ventenne, ferito<br />

a morte chi l'aveva provocato, fuggendo<br />

da Parigi, dove presto tornerà,<br />

dopo il perdono della vittima e la grazia<br />

del re. Orfano di padre, era stato allevato<br />

da Guillaume de Villon, rettore di<br />

una chiesa del quartiere latino, «plus<br />

per il passaggio nella città del nuovo re<br />

Luigi XI, ma nel novembre 1462, coinvolto<br />

in altra rissa, sarà ancora rinchiuso<br />

nella prigione dello Châtelet e condannato,<br />

come recidivo, all'impiccagione,<br />

contro cui si appellerà, e la pena capitale<br />

gli verrà commutata il 5 gennaio<br />

1463 nel bando da Parigi per dieci anni.<br />

Da allora si perderà di lui ogni traccia.<br />

«Èlaprimavoceschietta,inconfondibile,<br />

che si alza ad affermare sicuramente<br />

la virtù poetica della Francia (come<br />

scrisse Vittorio Lugli nel suo splendido<br />

libro della poesia francese Da Villon a<br />

Valéry del 1949) e insieme sembra annunciare<br />

alcuni fra i caratteri essenziali<br />

di quella poesia. [...] Non occorre avvicinare<br />

Villon ai poeti maledetti o irregolari<br />

dell'Ottocento per sentire la sua modernità,<br />

che è nel lirismo fresco, nel ripiegarsi<br />

dell'uomo sopra se stesso, nel<br />

confessarsi ai fratelli per averne il conforto<br />

dell'umana pietà. Per questo egli si<br />

colloca tra i poeti di ogni tempo e di<br />

ogni luogo, mentre tutto francese è il<br />

renza, e che si rivela nella confessione<br />

espressa in quattro sezioni del gran Testamento<br />

riferite all'atto di contrizione,<br />

al rimpianto del passato e all'evocazione<br />

della morte, alla vecchiaia e alla decadenza<br />

fisica, all'amore e alla rinuncia.<br />

Ma sono molto pochi i critici che si sono<br />

trovati d'accordo con questa interpretazione.<br />

La sua prima opera del 1456 è un<br />

poemetto di 40 ottave di tono grottescoparodistico,<br />

il Lais — il Lascito, che si<br />

apparenta al tipo letterario tradizionale<br />

del Congedo, nel quale si raffigura come<br />

un giovane cavaliere dal cuore affranto<br />

che parte per Angers, abbandonando l'amatissima<br />

prigione, per la crudeltà della<br />

sua donna, lasciando i suoi beni, immaginari<br />

s'intende, a parenti, amici, conoscenti<br />

e sconosciuti. Al protettore Guillaume<br />

lascia il bruit, la sua fama, alla<br />

donna il suo cuore come ricordo, a un<br />

ricco commerciante un raccolto di<br />

ghiande, ricavato da un saliceto (un dono<br />

perciò impossibile), tra una passerel-<br />

«Le piacevoli notti» del cinquecentista Giovan Francesco Straparola<br />

Racconti di magia e fiabe in bergamasco<br />

FRANCO LANZA<br />

Nel secolo «aureo» della prosa volgare,<br />

narrativa o trattatistica o storiografica<br />

che fosse, si aprì quasi improvvisamente,<br />

poco dopo gli anni Cinquanta,<br />

uno spazio d'attenzione e di consumo<br />

che non può certo dirsi accademico né<br />

cortigiano (per il mediocre livello dei<br />

fruitori) e nemmeno popolare o piccolo<br />

borghese (per via delle ambizioni aristocratiche<br />

affioranti nonostante tutto<br />

dalla sua accessibilità).<br />

Era infatti il 1550 quando uscì a<br />

stampa a Venezia, presso Orfeo dalla<br />

Carta, il primo tomo delle Piacevoli notti<br />

di Giovan Francesco Straparola, un<br />

letterato da Caravaggio che probabilmente<br />

era giunto in quella capitale europea<br />

dell'editoria già in età matura (la<br />

sua nascita si usa porre per congettura<br />

nell'ultimo decennio del Quattrocento)<br />

ed aveva al suo attivo un canzoniere,<br />

(Opera nova, 1508) composto di sonetti,<br />

strambotti, epistole e capitoli, con l'aggiunta<br />

di una Littera d'amore ed una<br />

canzonetta di congedo.<br />

Le notizie su questo novellatore sono<br />

scarsissime, e desta sorpresa il fatto<br />

che le Piacevoli notti siano, al contrario,<br />

un volume tanto diffuso nel secondo<br />

Cinquecento da ritenersi un vero e<br />

proprio best seller con le sue venti e più<br />

edizioni, tutte veneziane, fino al nuovo<br />

secolo.<br />

La «cornice» anche qui, come negli<br />

altri cinquecentisti, serve ad introdurre,<br />

o suggerire, con un più od un meno di<br />

convenevolezza, un ambiente e un clima<br />

sociale in cui ambientare le novelle.<br />

L'immancabile lieta brigata, al seguito<br />

di Ottaviano Sforza trasferitosi da<br />

Lodi a Venezia per rancori di famiglia,<br />

si è ricomposta nell'isola di Murano come<br />

in una piccola corte, alla quale afferiscono<br />

elementi della nobiltà locale.<br />

Del gruppo fanno parte due gentiluomini<br />

e dieci dame che, al servizio della<br />

nobile Lucrezia figlia di Ottaviano e<br />

sposa di Gianfrancesco Gonzaga fratello<br />

del marchese di Mantova, trascorre<br />

que père et plus doux que mère — più<br />

che padre e più dolce di una madre», al<br />

quale dovrà il nome, le buone relazioni,<br />

la formazione intellettuale e spirituale e<br />

una calda vita affettiva e comunitaria.<br />

Per merito suo potrà studiare, diventare<br />

baccelliere e maestro nelle Arti liberali<br />

nel 1452 e avere licentiam docendi.<br />

Oltre che nella rissa, in cui c'era scappato<br />

il morto, Villon sarà coinvolto con<br />

tre complici in un grosso furto con scasso<br />

al Collège de Navarre (avevano rubato<br />

un sacco pieno di monete d'oro), per<br />

cui dovrà fuggire di nuovo da Parigi,<br />

con peregrinazioni che lo porteranno a<br />

Blois, alla corte del principe poeta Charles<br />

d'Orléans, dove parteciperà a un<br />

concorso di poesia. Nell'estate 1461 è di<br />

nuovo a regime di carcere duro nelle<br />

prigioni del Vescovo di Meung-sur-Loire,<br />

da cui lo libererà l'amnistia, promulgata<br />

novellando la maggior parte delle serate,<br />

ricalcando evidentemente la cornice<br />

del Decameron.<br />

Va detto però che le figure umane sono<br />

degli stereotipi che non approdano<br />

mai al ritratto: Ludovica, Vicenza, Alteria,<br />

Lionora, Lauretta e via dicendo sono<br />

intercambiabili, e le qualità che potrebbero<br />

caratterizzarle, dai «costumi<br />

lodevoli» al «vago e delicato viso», dal<br />

«chiaro ed amoroso sguardo» alle «dolci<br />

ed affettuose parole» e alle «egregie e<br />

virtuose opere» sono anch'esse degli stereotipi<br />

che avendo per paragone le stelle<br />

sono facilmente riconducibili al dizionario<br />

galante del Petrarca, del Boccaccio,<br />

del Sannazaro. Più riconoscibili<br />

le figure di contorno (che mancano nel<br />

Decameron) ma soltanto perché si tratta<br />

di nomi storici: Bernardo Capello,<br />

Pietro Bembo, Giambattista Casali,<br />

Evangelista Cittadini, Benedetto Trevigiano<br />

e molti altri fanno da coro (silenzioso)<br />

alle novelle che non hanno altra<br />

giustificazione alla coesistenza se non il<br />

tempo di carnevale, le musiche e le<br />

danze di interludio e l'enigma che alla<br />

fine di ogni favola viene proposto agli<br />

ascoltatori.<br />

In sostanza, non sono molte le novità<br />

introdotte dallo Straparola nella tradizione<br />

novellistica: ed ancor oggi ci interroghiamo<br />

sulle ragioni nascoste del<br />

suo successo in quel grande mercato<br />

dell'effimero che è l'editoria veneziana<br />

del Cinquecento. Una risposta la fornisce<br />

Donato Pirovano nell'introduzione<br />

al vol. XXIX della fastosa collana dei<br />

Novellieri italiani dell'ed. curata da<br />

Enrico Malato (G.F. Straparola, Le piacevoli<br />

notti a cura di D. Pirovano, ed.<br />

Salerno, Roma 2000, due tomi di pp.<br />

880, s.i.p.).<br />

Dunque, secondo il prefatore «la diversificazione<br />

sociale e culturale del<br />

pubblico nel pieno Cinquecento sembra<br />

essere molto più complessa di quello<br />

che può apparire a un primo e rapido<br />

esame. A parte i ceti culturalmente elitari,<br />

a parte le accademie, le università<br />

e i circoli letterari più esclusivi, che<br />

realismo discorsivo e arguto, entro cui a<br />

tratti si accende il fervore, si leva il canto<br />

lucido e commosso». Gautier fu tra i<br />

primi a rivalutarlo, inserendolo con felice<br />

intuizione tra i suoi Grotesques.<br />

La sua poesia essenziale e universale<br />

fa, della sua esperienza, da una parte<br />

una specie di trasformazione radicale<br />

della poesia cortese, tra cui opera e di<br />

cui utilizza temi, toni e forme, dall'altra<br />

uno specchio della condizione umana,<br />

come si esprime lui stesso in un emistichio<br />

della ballata del concorso di Blois:<br />

«Je ris en pleurs — Rido tra le lacrime».<br />

Domenico Giuliotti, ispirandosi a un'interpretazione<br />

cristiana della sua opera<br />

da parte di André Suarès del 1914, presentò<br />

un Villon edificante, nel suo libro<br />

Il merlo sulla forca (1934), che accetta,<br />

come espiazione e redenzione per la<br />

condotta trascorsa, la povertà e la soffe-<br />

privilegiavano generi e forme dell'alta<br />

letteratura, e senza voler ammettere<br />

una richiesta, improbabile quanto anacronistica,<br />

di lettori di estrazione popolare,<br />

esisteva una fascia di pubblico intermedia<br />

alquanto diversificata per origine<br />

sociale, per preparazione culturale<br />

e per interessi letterari, e dunque in<br />

questo ampio orizzonte è lecito supporre<br />

frange di tolleranza e strati di lettori<br />

interessati a consumi letterari vari ed<br />

eterodossi rispetto agli orientamenti<br />

culturali dominanti».<br />

Questo per quanto riguarda la diffusione.<br />

Ma per la ragione di essa, e per<br />

gli elementi che l'hanno valorizzata,<br />

converrà pensare all'ampiezza tematica<br />

delle strutture, che vanno dalla fiaba<br />

per bambini al racconto di magia per<br />

adulti, dalla novella sentimentale a<br />

quella di puro intreccio, ed anche al<br />

modo di esporla. Perché se è vero che<br />

l'imitazione delle fonti è talora pedissequa,<br />

e se le censure formulate dal De<br />

Sanctis e dal Croce sul novelliere dello<br />

Straparola (superficialità, debolezza<br />

psicologica, gusto eclettico) restano tuttora<br />

pesanti, è anche vero che da questo<br />

repertorio hanno preso il volo, ritagliati<br />

da mani più abili, autentici capolavori<br />

della tragicommedia barocca e<br />

del melodramma.<br />

Appunto la denominazione di repertorio<br />

si addice al cumulo, anche se disordinato:<br />

tanto che non vi mancano<br />

favole tradotte dal latino di Girolamo<br />

Morlini, e due sono addirittura presentate<br />

in dialetto bergamasco (V, 3) e in<br />

dialetto pavano (V, 4). Sono opzioni linguistiche<br />

naturali nel corpo della Repubblica<br />

Veneta, che da Bergamo aveva<br />

tratto la maschera di Arlecchino e<br />

dal contado di Padova quella di Ruzante.<br />

Straordinaria mescolanza di componenti<br />

eterogenee, che risulteranno in<br />

seguito disponibili per la libellistica di<br />

Ferrante Pallavicino e la vena aneddotica<br />

di Gerolamo Brusoni: gli avventurieri<br />

e i poligrafi del Seicento dovranno<br />

tutti qualcosa allo scombinato pamphlet<br />

dello Straparola.<br />

la di personaggi generici, come il barbiere,<br />

il ciabattino, il rigattiere, e la schiera<br />

tradizionale di accattoni, malati, frati e<br />

beghine. Che poi sia un poemetto natalizio,<br />

tutto percorso da brividi di gelo, come<br />

dice al verso 10, «sur le Noël, morte<br />

saison — a Natale, morta stagione», perché<br />

usato da Villon come alibi al furto<br />

del collegio di Navarra, compiuto attorno<br />

al Natale del 1456, lasciamone discutere<br />

ai vari studiosi che se ne sono interessati.<br />

Sugli stessi nuclei tematici di gioventù,<br />

vecchiaia, povertà, amore e morte,<br />

si svolgerà cinque anni dopo, con ampiezza<br />

ben maggiore, che comprende<br />

186 strofe di otto versi d'impianto narrativo,<br />

la successiva versione del gran Testamento,<br />

genere in auge nella letteratura<br />

del Medioevo, che gli consentirà di<br />

affrontare tutti gli argomenti e di adottare<br />

vari toni. Nella successione di ottave<br />

di ottosillabi sono intercalati brani lirici<br />

diversi, tre rondeaux e soprattutto<br />

sei ballate, scritte prima del 1461-62, data<br />

di composizione del Testamento, quasi<br />

che l'autore avesse voluto includervi<br />

la propria antologia poetica, o meglio,<br />

come si espresse Paul Zumthor, proporne<br />

un montaggio drammatico. Gli sono<br />

congeniali la varietà degli stili, la fraseologia<br />

letteraria e nobile, i linguaggi tecnici,<br />

come quelli dei legali o dei bottai,<br />

e la lingua parlata, perfino quella volgare,<br />

e anche il gergo; gli piacciono le variazioni<br />

sullo stesso tema, come quelle<br />

sul biblico interrogativo dell'Ubi sunt?,<br />

di cui dà varie prove, come nella Ballata<br />

delle dame d'un tempo, in quella dei<br />

Signori e in quella in antico francese:<br />

«Ditemi dove, su quali rive / è Flora, la<br />

bella Romana, / dov'è Arcipïada o Taìde,<br />

/ che era la sua cugina germana, /<br />

Eco che parla se si propaga / brusìo di<br />

voci su fiume o stagno, / che beltà aveva<br />

ben più che umana? / Ma ove son le<br />

nevi dell'altr'anno?» È diventato proverbiale<br />

il suo ritornello: «Mais où sont les<br />

neiges d'antan?»<br />

Villon non riuscirà mai a risolvere la<br />

contraddizione che portava in sé e che<br />

rivela nei versi, alcuni, pieni di doppi<br />

sensi e di ambiguità come in un cinico e<br />

grossolano Quatrain, altri con cui cerca<br />

d'intenerire i lettori sulla sorte delle vittime,<br />

come nella Ballata degl'impiccati:<br />

«Fratelli umani, che ancor vivi siete, / il<br />

cuor vostro non sia duro con noi, / ché,<br />

se pietà di noi miseri avrete, / più pronto<br />

Dio avrà mercé di voi. / Appesi, cinque,<br />

sei, qui ci vedete: / la nostra carne,<br />

fin toppo nutrita, / è ormai da tempo<br />

disfatta e marcita, / e noi, ossa, andiamo<br />

in cenere e polvere. / Della nostra<br />

disgrazia nessun rida, / ma Dio pregate<br />

che ci voglia assolvere».<br />

Il punto di partenza realistico, che ha<br />

come luogo Parigi e dintorni, tra la fine<br />

del 1461 e l'inizio del 1463, nel colmo<br />

della sua sfortuna, e che gli fa insistere<br />

sulle disgrazie, sulla fuga della giovinezza,<br />

sulla povertà, sullo spettro della<br />

morte, si trasformerà a poco a poco in<br />

creazione letteraria che lo libererà dall'angoscia<br />

e gli farà recuperare toni più<br />

distesi e vari. L'amata città è sempre<br />

presente, in un quadro straordinariamente<br />

mosso di varia umanità, tra chierici,<br />

personaggi del Parlamento e uomini<br />

d'affari, mercanti e artigiani, soldatacci<br />

e sbirri, principi e signori, frati e monache,<br />

con i suoi conventi, le chiese, le<br />

vie, tra cui rue Saint-Antoine, e poi<br />

Saint-Benoît le Bestourné, di cui il suo<br />

protettore è cappellano, la Sorbonne, i<br />

tribunali, le prigioni e le taverne e in<br />

lontananza le forche, continuo monito<br />

per i delinquenti. E poi seguono le immagini<br />

diverse delle dame e dei signori<br />

del tempo che fu, della bella Elmiera,<br />

delle parigine, della grossa Margot, dei<br />

ragazzi perduti, ecc.<br />

Il Testamento è nettamente diviso in<br />

due parti, la prima di 800 versi, severa e<br />

lirica meditazione sull'esistenza dell'uomo<br />

sulla terra; la seconda di 1200 versi,<br />

con aneddoti, riflessioni e reminiscenze,<br />

che documentano buone conoscenze<br />

della letteratura classica e della Bibbia,<br />

nonché di opere contemporanee e con<br />

una serie di lasciti, comici e buffi, sarcastici<br />

e osceni, con l'eccezione di alcune<br />

ballate di una solenne purezza, come<br />

quella per pregare Nostra Signora, nel<br />

ricordo di sua madre: «Donna del ciel,<br />

della terra reggente, / e sovrana delle<br />

inferne paludi, / accogli questa tua umil<br />

credente / [...] Sono una donna poveretta<br />

e anziana, / che niente sa, libri<br />

mai ho veduti. / Dipinto in chiesa, ove<br />

son parrocchiana, / il paradiso vedo, arpe<br />

e liuti, / e un inferno ove bollono i<br />

perduti; / l'un m'angoscia, l'altro è gioia<br />

e allegrezza. / La gioia fammi avere, o<br />

diva eccelsa, / cui deve il peccatore ausilio<br />

chiedere, / pien di fede, senza indugio<br />

o lentezza; / viver voglio e morire<br />

in questa fede».<br />

Le Poesie diverse e le Ballate in argot<br />

completano le Opere di Villon che risultano<br />

così complete e del tutto rinnovate,<br />

per l'introduzione quasi raddoppiata,<br />

per l'attenzione rivolta ai numerosi nuovi<br />

studi sull'autore, per le note che dànno<br />

conto di tutti gli aspetti filologici, linguistici<br />

e letterari che lo riguardano, per<br />

la bibliografia aggiornata. A fronte del<br />

testo francese riappare la bella traduzione<br />

poetica di Emma Stojkovic Mazzariol,<br />

che oltre al significato testuale è<br />

riuscita, con la collaborazione di Attilio<br />

Carminati, a mantenere il fascino del ritmo<br />

e dell'aura poetica di Villon.<br />

Il nichilismo<br />

di Tommaso Landolfi<br />

Riproponendo Ottavio di Saint-Vincent — apparso<br />

la prima volta in volume nel 1958, dopo essere<br />

stato pubblicato a puntate su «Il Mondo» negli<br />

anni 1956-1957 col titolo Ottavio l'impostore —<br />

Adelphi aggiunge un nuovo tassello all'edizione<br />

delle opere complete di Tommaso Landolfi. Si<br />

tratta di un racconto di intensa profondità, la cui<br />

struttura è tutta giocata sul valore semantico de-<br />

Tommaso<br />

Landolfi<br />

Ottavio<br />

di Saint-<br />

Vincent<br />

Adelphi<br />

gli episodi che s'incastrano l'uno nell'altro a significare la radicale vacuità<br />

delle cose e l'inconsistenza dei personaggi. Nella notte in cui il giovane<br />

poeta Ottavio di Saint-Vincent sta pensando al suicidio quale unica soluzione<br />

per i mali che l'affliggono, rimane colpito dalla voce melodiosa di una<br />

duchessa che confessa ad un misterioso personaggio di sentirsi profondamente<br />

annoiata, nonostante la sua immensa fortuna, e di attendere qualcosa<br />

che valga a cambiare radicalmente la sua vita: «Mi piacerebbe elevare<br />

qualcuno, che so un giovane povero, un uomo disperato, a una condizione<br />

pari alla mia, anzi alla mia medesima... Immagino di trovarlo una notte sul<br />

mio cammino, quest'uomo, ubriaco, addormentato, incosciente, e di raccoglierlo<br />

ed accoglierlo qui: sì che al mattino si svegliasse padrone per un<br />

tempo di tutto quanto vede delle mie sostanze, della mia stessa persona».<br />

Sono queste parole, casualmente captate, a convincere Ottavio che il «nuovo»,<br />

ossessivamente atteso, è in dirittura d'arrivo: indispensabile saperlo<br />

afferrare, cercando il modo di mettersi sotto la protezione della duchessa.<br />

Riesce così ad ottenere ricchezza e potere, ma non ad affrancarsi dalla<br />

noia che l'affligge e dal vuoto che l'opprime, soprattutto perché gli manca<br />

la cosa cui maggiormente aspira, l'amore della duchessa. Quando finalmente<br />

la duchessa gli si dichiarerà, sarà però troppo tardi, perché Ottavio avrà<br />

già sperimentato a sufficienza che la scena del mondo è popolata soltanto<br />

da fantasmi che «si aggirano lugubri e solitari nei castelli in rovina». Donde<br />

la drastica decisione: «Addio, Signora. Ah, come non vedete che noi tutti<br />

veniamo dalla stessa noia e andiamo verso lo stesso nulla?». Questa la dichiarazione<br />

di nichilismo assoluto che conclude il racconto, tutto snodato<br />

tra ombre, maschere e finzioni in cui sono condensate le più segrete ossessioni<br />

di chi è consapevole di muoversi tra i labirinti del destino e le illusioni<br />

dei fantasmi. (francesco licinio galati)<br />

Tommaso Landolfi, Ottavio di Saint-Vincent, Milano, Adelphi, 2000, pp. 89,<br />

L. 12.000<br />

Antonio Balsemin<br />

Sta sera<br />

ve conto...<br />

Editoriale<br />

Padova<br />

Viaggio nella memoria<br />

in dialetto veneto<br />

È il Liber Tertius di un singolare autore sessantenne,<br />

tassista di origine veneta e uomo di<br />

buona cultura, che mentre guida nel traffico<br />

romano ambisce di contribuire con le sue opere<br />

alla conservazione sia del suo dialetto veneto,<br />

sia della memoria delle cose di una volta: usanze,<br />

storie, mestieri, ricorrenze stagionali, paesaggi<br />

e persone. Non è la solita «operazione no-<br />

stalgia» o il solito sfogo di chi con la memoria vorrebbe tornare al passato,<br />

ma è un'operazione culturale ben programmata, che l'A. affronta con i propri<br />

mezzi, scarsi dal punto di vista economico (ma il libro è un'ottima edizione)<br />

e ricchi nella impostazione ideologica. Infatti, presenta i racconti in<br />

dialetto e in lingua italiana a pagine affiancate, ma all'inizio dà ampio conto<br />

dei criteri della trascrizione, dei problemi linguistici, delle regole di grammatica<br />

e di pronuncia che ha seguito, sulla base di un'ottima documentazione.<br />

Inizia con una toccante dichiarazione di fede («Mi, drento de mi, el<br />

Creator lo sento!») e poi narra di un viaggio di nozze in carriola, della nonna<br />

venditrice di granite, dei tagliatori d'erba e dei maniscalchi, dei giochi<br />

dei bambini e del contatto schietto con la natura e con gli animali, di una<br />

vita dura e libera. Il tutto è raccontato con arguzia, che inizia dall'ironia<br />

verso se stesso («Mi autoproclamo cantastorie») e costella qua e là i brevi<br />

brani rendendo la lettura ancor più piacevole. Le descrizioni di persone e<br />

luoghi sono accurate, vivide e precise, come se venissero da una lunga<br />

esperienza letteraria di bozzettismo. Sarebbe ambizione dell'Autore contattare<br />

altre persone che, in altre ragioni, si applichino — finché c'è tempo —<br />

ad un altrettanto sistematico recupero dei vari dialetti e delle loro capacità<br />

espressive. (domenico volpi)<br />

Antonio Balsemin, «Sta sera ve conto... (Questa sera vi racconto)», Padova,<br />

Editoriale Padova, 2000, pp. 207, L. 25.000<br />

Lo smisurato universo<br />

del pensiero mistico<br />

Avrebbe potuto offrire un sottotitolo questo libretto<br />

e non sarebbe stato di troppo. A maggior chiarimento<br />

bisogna perciò puntare l'attenzione sul<br />

primo termine del titolo: Introduzione, quasi si intendesse<br />

procedere ad un tentativo di propedeutica<br />

in materia. Chiaro allora che il termine mistica<br />

è preso nella sua accezione più vasta, in una<br />

valutazione ampliore sensu. In senso generico, e<br />

Marco Vannini<br />

Introduzione<br />

alla mistica<br />

Morcelliana<br />

di questo l'Autore è perfettamente cosciente oltre che a darne una plausibile<br />

o giustificata ragione. Nella stessa breve rassegna bibliografica si<br />

guarda bene dal citare il recente Nuovo Dizionario di mistica Edizione Vaticana<br />

(1998). L'intento suo precipuo è quello di dar spazio a più voci, e ne<br />

segue infatti una gamma pressoché indefinita di mistiche, quasi imprevedibile:<br />

si passa da quella greca (Platone) a quella idealistica (Hegel), dalla<br />

buddista alla cristiana. Avvertito (pro bono pacis) il lettore, il Vannini procede<br />

sicuro nella trattazione, prospettando il discorso su due parametri: temi<br />

e figure ovvero l'uno generico-teoretico, l'altro specifico-pratico. Si delineano<br />

quindi le delucidazioni psico-filosofiche: l'io, spirito/psiche, contraddizioni<br />

del sentimento, vera analisi, ecc. si direbbe — a nostro avviso — una<br />

specie di prolegomeni, quasi praeambula fidei, ovvero la segnalazione di<br />

quelle scintille più o meno vivaci della cosiddetta inclinazione naturale, propria<br />

nell'uomo a conoscere e ad avvicinarsi a Dio. A questa parte introduttiva<br />

sulla tematica seguono le figure, cioè i vari campioni della mistica, siano<br />

essi santi (Bernardo, Giovanni della Croce, E. Stein) o personaggi di rilievo<br />

(N. Cusano, Simone Weil, Wittgenstein): due pagine scarne — quasi<br />

d'obbligo — per ciascuno, in forma di elzeviri o schegge: una ripresa di articoli<br />

precedenti «in forma rivista». Spetterà al lettore poi di riprendere il discorso<br />

a più ampio respiro. Bisogna comunque riconoscere una certa novità<br />

oltre genialità: l'A. stesso la definisce «una chiara e inusuale guida» per<br />

giungere «alla scoperta della mistica ovvero della vita dello spirito». Un auspicio<br />

forse per interpretare un approccio, un tentativo sui generis di ecumenismo<br />

interreligioso. (arnaldo pedrini)<br />

Marco Vannini, Introduzione alla mistica, Brescia, Morcelliana, 2000, pp.<br />

113, L. 20.000<br />

AA. VV.<br />

Il Museo<br />

Centrale<br />

del<br />

Risorgimento<br />

Palombi<br />

Il Museo Centrale<br />

del Risorgimento<br />

Il Museo Centrale del Risorgimento di Roma fu<br />

aperto al pubblico, nei nuovi locali all'interno del<br />

Vittoriano, il 24 maggio del 1935. Da allora, tranne<br />

che per la ricorrenza di eventi particolari quali<br />

la Repubblica Romana, l'unità di Italia, Roma<br />

capitale e la morte di Garibaldi, non ha mai mostrata<br />

al pubblico la sua preziosa collezione d'arte<br />

e di cimeli storici. Si tratta di circa 250 dipinti,<br />

150 sculture, disegni, acquerelli, frutto di donazioni e di acquisti o di lasciti<br />

di artisti e di patrioti risorgimentali, di grande pregio, sia per il loro valore<br />

artistico che come testimonianza di quel periodo storico. Una selezione di<br />

queste opere celebra,dopoventianni,laparzialeriapertura del Museo. L'arte<br />

è il linguaggio prescelto per illustrare la vita politica, economica, sociale,<br />

culturale italiana del XVIII e del XIX secolo, colta nelle sue trasformazioni e<br />

nella sua relazione con la storia europea. I dipinti, le sculture e i disegni,<br />

quasi tutti esposti per la prima volta al pubblico, vanno dalla seconda metà<br />

del Settecento, alla fine della prima guerra mondiale. Tra gli artisti il siciliano<br />

Ettore Ximenes, autore di grandi monumenti celebrativi, i fratelli Girolamo<br />

e Domenico Induno che parteciparono agli eventi risorgimentali tracciandone<br />

un resoconto puntuale e drammatico, i pittori-soldato tra cui Aldo<br />

Carpi, medaglia d'oro a Firenze per i disegni di guerra. (barbara tagliolini)<br />

AA.VV., Il Museo Centrale del Risorgimento, la collezione d'arte, Roma,<br />

Palombi, 2000, pp. 144, s.i.p.

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