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7 .<br />

L'OSSERVATORE ROMANO Domenica 28 Gennaio 2001<br />

Domenica 28 gennaio 2001<br />

Giornata Mondiale dei malati di lebbra<br />

.<br />

Solidarietà con gli hanseniani<br />

DRĄŻEK CZESŁAW<br />

Sin dal 1954, l'ultima domenica del mese di gennaio,<br />

viene celebrata, per iniziativa di Raoul Follereau,<br />

la Giornata Mondiale dei malati di lebbra, che<br />

ha lo scopo di attirare l'attenzione delle società umane<br />

sui problemi di coloro che sono infettati dal batterio<br />

di Hansen. Questo morbo è ancora presente<br />

nel mondo, attacca le persone senza distinzione di<br />

età, di razza, di sesso, di continente. Tra i fattori che<br />

favoriscono lo sviluppo della malattia più spesso vengono<br />

indicati: la fame, l'indigenza, l'insufficiente alimentazione,<br />

l'assenza di igiene e di un elementare<br />

aiuto medico. Molti milioni di malati di lebbra continuano<br />

a vivere nell'abbandono, soffrono nell'isolamento,<br />

muoiono prematuramente, benché la lebbra<br />

sia ormai curabile e per la sua definitiva sconfitta<br />

servano fondi non eccessivamente elevati. Giovanni<br />

Paolo II disse che questo fatto non può non essere<br />

considerato «come uno scandalo per l'intera comunità<br />

internazionale» (Messaggio per la Giornata<br />

Mondiale dei malati di lebbra, 28 gennaio 1990).<br />

* * *<br />

Per secoli la lebbra destava paura e ribrezzo. Le<br />

persone da essa toccate venivano escluse dalla comunità<br />

dei sani. Fu soltanto Cristo a stendere la mano<br />

verso i lebbrosi, a toccarli e a sanarli (Lc 5, 12-13).<br />

Nella sua omelia del 21 settembre 1986 ai rappresentanti<br />

delle organizzazioni conosciute per la lotta<br />

contro la lebbra provenienti dall'Italia, dal Lussemburgo,<br />

dalla Svizzera, dalla Germania, dalla Francia,<br />

dal Belgio, dalla Gran Bretagna e dal Canada Giovanni<br />

Paolo II disse che la Chiesa imita attraverso i<br />

secoli, fino ai nostri giorni, questo «tocco» da parte<br />

diCristosullebbroso,evitato accuratamente da tutti.<br />

L'organizzazione dell'aiuto spirituale e materiale ai<br />

malati è ritenuto un'opera di carità comandata da<br />

Cristo. Il Santo Padre menzionò migliaia di sacerdoti,<br />

di medici, di religiosi, di missionari, di laici, di catechisti,<br />

di volontari divenuti amici dei lebbrosi fondando<br />

e mantenendo i lebbrosari, centri di cura medica<br />

e quelli di ricerca scientifica. Giovanni Paolo II<br />

toccando la problematica ricordò anche le grandi figure<br />

della Chiesa che nel passato si dedicavano ai<br />

lebbrosi: s. Francesco d'Assisi che si affrettava a portare<br />

aiuto ad un povero lebbroso in cui vedeva Cristo;<br />

il beato Damiano de Veuster, che visse tra i lebbrosi<br />

sull'Isola Molokai e morì contagiato da questo<br />

morbo; un missionario olandese, il beato Pietro Donders,<br />

che passò ventotto anni nel lebbrosario di Botavia;<br />

Raoul Follereau, scrittore e giornalista che visitò<br />

novantacinque paesi del mondo, organizzando<br />

l'aiuto per i lebbrosi; Marcello Candia, un industriale<br />

di Milano che lavorò nel lebbrosario di Marituba in<br />

Brasile.<br />

Tra questo gruppo di «Buoni Samaritani» Giovanni<br />

Paolo II annovera anche un suo connazionale, un<br />

gesuita polacco il servo di Dio P. Jan Beyzym (1850-<br />

1912) il quale per quattordici anni servì eroicamente<br />

in Madagascar i lebbrosi che vivevano in estrema indigenzamateriale,prividi<br />

una qualsiasi cura medica.<br />

«Ho saputo oggi — scriveva P. Beyzym ad un suo<br />

amico —, che il governo e la popolazione locale ritengono<br />

che i lebbrosi siano non degli uomini ma<br />

dei rifiuti della società umana. Li scacciano dalle città<br />

e dai villaggi, vadano dove loro pare, basta che<br />

non stiano insieme ai sani. Per loro un lebbroso è un<br />

lebbroso e non un uomo». E aggiungeva: «Questi<br />

sfortunati marciscono vivi, e di conseguenza sono<br />

estremamente ripugnanti e puzzano terribilmente;<br />

tuttavia non cessano per questo di essere nostri fratelli<br />

e bisogna soccorrerli». Desideroso di rendersi simile<br />

a quegli infelici in tutto, eccetto nel peccato, P.<br />

Beyzym pregava la Madonna «di concedergli una<br />

bella lebbra». Voleva accettare «questo piccolo dettaglio»<br />

per migliorare la sorte dei malati e «per salvare<br />

il maggior numero possibile di lebbrosi». Riteneva<br />

che da lebbroso avrebbe avuto il diritto di dire a Cristo:<br />

«Ho dato la mia anima per i miei fratelli».<br />

Un frutto durevole della sollecitudine di P. Beyzym<br />

per i malati è l'ospedale di centocinquanta letti,<br />

da lui costruito a Marana presso Fianarantsoa,<br />

con le offerte ricevute soprattutto dai suoi connazionali.<br />

È un'opera straordinaria e pionieristica creata<br />

molti anni prima di Albert Schweitzer. In un tempo<br />

in cui la lebbra era incurabile, i lebbrosi erano ritenuti<br />

«sepolcri viventi», quando gli ammalati venivano<br />

eliminati dalla società, il P. Beyzym bussava ai cuori<br />

degli uomini, raccoglieva i fondi necessari e costruiva<br />

per quegli sfortunati un vero ospedale, per curarli<br />

e per restituire loro la speranza.<br />

All'amore e alla solidarietà manifestatesi nell'opera<br />

missionaria di P. Beyzym oggi si ricollega l'Associazione<br />

degli Amici dei Lebbrosi che porta il suo no-<br />

me, sorta a Cracovia verso la fine del 1989. Il suo fine<br />

è l'aiuto materiale e spirituale nella lotta contro la<br />

lebbra (si tratta anche di lebbra nel senso morale) e<br />

le iniziative nel campo dell'educazione e dell'istruzione.<br />

L'Associazione sostiene tra le altre opere due centri<br />

di cura per i lebbrosi collegati con la Polonia e<br />

con i Polacchi. Il primo di essi, è l'ospedale costruito<br />

a Marana da P. Beyzym (oggi ampliato), e l'altro è<br />

l'ospedale di Jeevodaya, nello stato Madhja in India,<br />

fondato nel 1966 da Adam Wiśniewski, SAC, dove<br />

soggiornano circa duecentocinquanta malati, principalmente<br />

bambini (ha cura di essi la dottoressa Helena<br />

Pyz di Varsavia). Alcuni benefattori che sostengono<br />

l'Associazione si sono impegnati, tramite essa,<br />

nella cosiddetta adozione a distanza, che consiste nel<br />

regolare sostenimento dei costi di cura, di mantenimento<br />

e di istruzione di un bambino di Jeevodaya,<br />

per asciugare le sue lacrime e per aprirgli la prospettiva<br />

di una vita dignitosa.<br />

* * *<br />

Per tutti coloro che sono impegnati nella lotta<br />

contro la lebbra è di grande conforto l'esempio del<br />

Santo Padre il quale durante i suoi viaggi apostolici<br />

visita anche i lebbrosari incontrando i malati e il personale<br />

medico. Così è stato nel Brasile, nello Zaire,<br />

nella Corea del Sud, nella Costa d'Avorio, nelle Filippine,<br />

nel Madagascar e nella Guinea-Bissau. Le visite<br />

del Papa nei lebbrosari hanno un'enorme importanza<br />

per i malati.<br />

In molti paesi sopravvive fino ad oggi l'antica convinzione<br />

che la lebbra sia una punizione da parte di<br />

Dio. Spesso le persone guarite non possono tornare<br />

a una normale vita nella società perché quest'ultima<br />

non vuole accoglierle. Il Papa va dai lebbrosi per togliere<br />

loro «la maledizione e l'ignominia».<br />

Nei discorsi rivolti ai malati e a coloro che hanno<br />

cura di loro, ai rappresentanti delle organizzazioni<br />

che lottano contro la lebbra, o con parole rivolte al<br />

mondo in occasione della Giornata Mondiale dei Malati<br />

di Lebbra, Giovanni Paolo II tratta vari temi riguardanti<br />

il morbo di Hansen. Esprime a tutti la gratitudine<br />

per il coraggioso e disinteressato servizio rivolto<br />

ai più poveri tra i poveri; un servizio che arricchisce<br />

anche colui che dona, poiché è un paradosso<br />

d'amore il fatto che il debole sostenga il forte, e il<br />

malato curi il sano. Il Santo Padre parla della grande<br />

responsabilità che grava sui cristiani per il superamento<br />

di ogni isolamento e di ogni emarginazione<br />

dell'uomo nella società. Incontriamo fenomeni del<br />

genere ancora oggi, nel XXI secolo e sono un'ingiustizia,<br />

poiché nessuna malattia può escludere un uomo<br />

dall'ambiente umano. Giovanni Paolo II fa notare<br />

l'importanza della prevenzione della lebbra. Occorre<br />

combattere contro i pregiudizi che gli uomini<br />

attribuiscono a questa malattia. Occorre portare<br />

avanti le ricerche sul morbo di Hansen per precisarne<br />

la caratteristica, la sperimentazione dei nuovi farmaci<br />

e la produzione di vaccini antilebbra più efficaci<br />

possibili.<br />

Prendendo le difese dei malati di lebbra il Papa indica<br />

la dignità dei lebbrosi in quanto persone redente<br />

con il Sangue di Cristo sulla croce e fratelli più<br />

piccoli, con i quali il Salvatore si identifica in modo<br />

particolare. Un cristiano con lo sguardo fisso sul modello<br />

di Cristo dovrebbe vincere in sé l'orgoglio e<br />

chinarsi davanti ai fratelli più umiliati, specialmente<br />

davanti a coloro che sono tentati dalla disperazione<br />

e disprezzati dalla comunità umana.<br />

L'insegnamento e la condotta di Giovanni Paolo II<br />

nei riguardi dei malati di lebbra esprime l'«opzione<br />

preferenziale per i poveri», alla quale il Papa esorta<br />

la Chiesa intera tra l'altro nelle encicliche Sollicitudo<br />

rei socialis e Redemptoris missio. Non si tratta qui<br />

di un'azione pastorale immediata, una compassione<br />

superficiale o una commozione passeggera di fronte<br />

alla sofferenza dei vicini o dei lontani, ma di una<br />

reale e perseverante volontà di impegnarsi a favore<br />

del bene delle «immense moltitudini di affamati, di<br />

mendicanti, di senzatetto, senza assistenza medica e,<br />

soprattutto senza speranza di un futuro migliore»<br />

(Sollicitudo rei socialis, n. 42).<br />

* * *<br />

Molto rimane ancora da fare nel campo della lotta<br />

contro la lebbra e perciò Giovanni Paolo II esorta alla<br />

preghiera, alle iniziative nel campo dell'editoria e<br />

dell'istruzione e alla organizzazione dell'aiuto materiale.<br />

Lo scopo di tali sforzi è sensibilizzare l'opinione<br />

pubblica alla necessità e all'obbligo di portare<br />

l'aiuto ai malati di lebbra, alla cura medica, a dare<br />

loro la possibilità di una vita autenticamente umana.<br />

Questo tipo di attività e di impegno a favore dell'uomo<br />

sofferente esige da tutti una profonda conversione<br />

all'amore e alla solidarietà.<br />

Il Cardinale Carlo Maria Martini durante l'incontro a Milano con i giornalisti in occasione della festa del patrono san Francesco di Sales<br />

Conoscere la Sacra Scrittura aiuta ad imparare a comunicare con gioia e correttamente<br />

La Bibbia ha da insegnare qualcosa ai<br />

giornalisti? Certamente, e non soltanto<br />

sotto il profilo morale, come si potrebbe<br />

pensare a prima vista. L'analisi degli<br />

stessi moduli di narrazione della Sacra<br />

Scrittura può dare un valido aiuto a chi<br />

oggi lavora nel mondo dei mezzi di comunicazione<br />

sociale, sia carta stampata,<br />

sia emittenti radiotelevisive o anche<br />

nuove forme di trasmissione delle notizie.<br />

Lo ha fatto notare venerdì scorso<br />

l'Arcivescovo di Milano, Cardinale Carlo<br />

Maria Martini, durante l'annuale incontro<br />

con i giornalisti in occasione della ricorrenza<br />

della festa del patrono san<br />

Francesco di Sales che cade il 24 gennaio.<br />

Quest'anno v'è stata una novità<br />

nell'impostazione dell'ormai tradizionale<br />

appuntamento: si è svolto, infatti, sotto<br />

forma di una lezione del Cardinale agli<br />

allievi delle due Scuole di giornalismo<br />

con sede a Milano, quella dell'Istituto<br />

«De Martino» (facente capo all'Ordine<br />

professionale) e quella presso l'Università<br />

Cattolica del Sacro Cuore. Erano presenti<br />

anche docenti dei corsi stessi.<br />

Si è trattato comunque di un incontro<br />

aperto a tutti coloro che operano nel<br />

mondo della comunicazione sociale e<br />

che hanno potuto affrontare, grazie alle<br />

riflessioni del Porporato, alcuni aspetti<br />

solitamente non molto approfonditi.<br />

L'Arcivescovo ha avuto parole di stima<br />

per coloro che svolgono questo ruolo,<br />

«questa professione ardua e difficile»;<br />

ha citato il documento del Papa Giovanni<br />

Paolo II diffuso in occasione della<br />

Giornata Mondiale per le comunicazioni<br />

sociali e ha detto di condividere la sostanziale<br />

fiducia del Santo Padre negli<br />

strumenti e soprattutto nelle persone<br />

che li utilizzano. Il Cardinale Martini ha<br />

pure confidato che «di giornalistico nella<br />

mia vita c'è stato soltanto un piccolo sogno»,<br />

in giovane età, quando la vita casa-scuola<br />

«pareva molto monotona» e<br />

quello di giornalista appariva come un<br />

lavoro non monotono; «ma poi ho fatto<br />

altre scelte».<br />

Fra queste ultime c'è da annoverare<br />

quella grazie alla quale si è dedicato agli<br />

studi biblici. Si è trattato di una scelta<br />

fondamentale per il Porporato, che nella<br />

«lezione» tenuta al Centro Paolo VI ha<br />

indicato ai giovani futuri giornalisti<br />

quanto si possa attingere alle Sacre<br />

Scritture poiché sono «ricche di spunti<br />

comunicativi».<br />

Il servo di Dio Padre Jan Beyzym, Gesuita polacco, con i suoi malati di lebbra in Madagascar (1901)<br />

Una premessa è stata dedicata dal<br />

Cardinale ai tre tipi di narrazione, così<br />

come sono stati indicati dallo scrittore,<br />

Giovanni Covini: quella fatta da qualcuno<br />

che sa qualcosa a qualcuno che non<br />

la sa; quella di chi sa a chi già conosce<br />

l'argomento ma può essere interessato<br />

ad una diversa esposizione o interpretazione;<br />

infine, quella di qualcuno che<br />

non sa ad un altro che pure non sa.<br />

«Quest'ultimo pare un caso paradossale<br />

ma — ha detto l'Arcivescovo — è quello<br />

rappresentato dalla «profondità del dire<br />

che non tutti colgono»; e «chi maneggia<br />

la penna, il computer o il microfono deve<br />

avere una grande riverenza verso il<br />

linguaggio». Ha poi aggiunto: «Il quarto<br />

tipo è quello del raccontare di chi non<br />

sa a chi invece sa. E un esempio è quello<br />

dello studente impreparato che si trova<br />

di fronte il professore che lo interroga».<br />

Ma quali moduli informativi usa la<br />

Bibbia? C'è, anzitutto, l'informazione<br />

cronachistica; il nome stesso ci fa pensare<br />

al libro delle Cronache, ma anche ad<br />

altri libri storici come quelli di Samuele<br />

e dei Re, a molta parte del Pentateuco,<br />

ai Vangeli ed agli Atti degli Apostoli. Il<br />

modulo di questa modalità è la linea retta:<br />

i fatti sono narrati uno dopo l'altro,<br />

in modo semplice, ed è una forma che<br />

ha in sé il germe del giornalismo.<br />

Troviamo, poi, «l'informazione sintetica,<br />

o condensata, o valutativa», costituita<br />

non da una elencazione di avvenimenti,<br />

ma da una sintesi che ne dà il significato.<br />

«Basti pensare — ha spiegato<br />

a questo proposito il Cardinale — ad<br />

ampi brani dei Giudici, ancora dei Re e<br />

degli Atti, per esempio laddove (2, 42<br />

sgg.) si parla della primitiva comunità<br />

cristiana di Gerusalemme. La figura che<br />

può rappresentare questo modulo è il<br />

cerchio».<br />

Ancora, c'è l'informazione simbolica,<br />

«che ci consegna non solo la cronaca ed<br />

il senso degli eventi, ma li condensa in<br />

un'immagine, in un racconto denso di<br />

simboli». A tale riguardo si può citare il<br />

racconto — reale e simbolico al tempo<br />

stesso — che Luca fa (4, 16-30) della<br />

prima visita di Gesù a Nazareth, nella sinagoga,<br />

nella quale sono riassunte più<br />

visite ma soprattutto l'intera vita di Gesù.<br />

E qui la figura è l'elica, nella sua accezione<br />

di «una curva a spire che si avvolge<br />

su un cilindro».<br />

A questo punto il Cardinale è passato<br />

ad un altro livello di riflessione, domandandosi:<br />

quale relazione esiste tra la comunicazione<br />

biblica e la veridicità dei<br />

fatti? Ovvero: come si comporta la Bibbia<br />

e quali regole possiamo ricavarne,<br />

anche per aiutarci a togliere una certa<br />

pesantezza del comunicare che ha cura<br />

soltanto della pura oggettività?<br />

Anche in questo caso il Cardinale<br />

Martini ha suddiviso la riflessione in alcuni<br />

punti.<br />

Primo: «mi sembra che la Bibbia giudichi<br />

non solo sull'esattezza dei dettagli<br />

ma sulla giustezza della visione d'insieme»;<br />

e la gente anche oggi va aiutata ad<br />

esigere questa visione.<br />

Secondo: «la Bibbia ha la caratteristica<br />

di far conoscere onestamente i propri<br />

presupposti interpretativi senza messaggi<br />

subdoli o subliminali»; fatto che ci ricorda<br />

come non esistano la neutralità<br />

pura né l'informazione oggettiva. Per<br />

conseguenza: nel comunicare «è corretto<br />

lasciar trasparire il proprio punto di<br />

vista».<br />

Terzo «comportamento» della Sacra<br />

Scrittura: «l'informazione biblica è sempre<br />

sostenuta da un desiderio di comu-<br />

nicare la buona notizia. Più è grande<br />

questo desiderio, più suscita strumenti<br />

comunicativi», perciò nascono forme artistiche,<br />

curate, belle: il ritmo, la poesia<br />

eccetera.<br />

Ciò risulta pure constatando che «chi<br />

ritiene di non avere nulla da dire si rinchiude<br />

in sé stesso» e «si capisce se uno<br />

comunica con gioia e con gusto». Infine,<br />

quarta «regola»: «la narrazione biblica<br />

tende a coinvolgere il lettore, a suscitare<br />

una risposta che dà luogo ad una comunicazione<br />

successiva»; per la concretezza<br />

dell'oggi questo messaggio significa<br />

che «le emittenti più sono potenti e persuasive<br />

e più devono tener conto di un<br />

partner».<br />

Giungendo alle conclusioni, l'Arcivescovo<br />

ha esortato — giovani e non — a<br />

considerare che «l'etica dell'informazione<br />

non si fa solo in astratto ma anche<br />

attraverso l'autocorrezione continua,<br />

che si fa con il partner comunicativo».<br />

Assicurando ancora stima ed attenzione<br />

per i giornalisti, ha terminato dicendo:<br />

«Comunicate con gioia e comunicate eticamente».<br />

ALBERTO MANZONI

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