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ERZA T PAGINA .<br />

Difronteaunatelevisione<br />

semprepiùsgradevole<br />

chefinehafattoilsenso<br />

diresponsabilitàpubblica?<br />

GIUSEPPE COSTA<br />

PAGINA<br />

Basta scorrere un po' i programmi televisivi<br />

per rendersi conto che volgarità<br />

e trivialità caratterizzano il sapore di<br />

molta produzione. Guardando i programmi<br />

di un qualsiasi palinsesto lo<br />

spettatore medio può facilmente rendersi<br />

conto — in non pochi casi con disgusto<br />

— che da una televisione «quizaiola»<br />

e becera si è probabilmente passati ad<br />

una televisione ancor più sgradevole dove<br />

l'audience non ha più senso e dove<br />

specie se si tratta di televisione a canone<br />

pubblico, non si comprende che fine abbia<br />

fatto il senso di responsabilità pubblica<br />

dichiquelprogrammahaprodotto.<br />

Ci troviamo spesso di fronte ad una<br />

televisione che non osserva codici professionali<br />

con riferimento ai minori (si<br />

veda la Carta di Treviso), che svuota di<br />

significato modelli educativo istituzionali<br />

quali la famiglia o che, comunque, ridicolizza<br />

e banalizza la vita.<br />

Dagli spot pubblicitari alle telenovelas;<br />

dai talk-show alle battute improvvisate<br />

dell'ultimo dei presentatori, non è<br />

difficile cogliere messaggi senza regole o<br />

comunque inviati a spettatori differenziati<br />

per età, sensibilità psicopedagogica<br />

e cultura.<br />

Stando così le cose ci si può anche<br />

chiedere se ha senso pagare un canone<br />

per una televisione che del suo triplice<br />

dovere di intrattenere, informare e formare,<br />

ha scelto soltanto la forma peggiore<br />

dell'intrattenimento.<br />

Che sia questo un adeguarsi a quella<br />

sorta di «sindrome tabloidale» che vede i<br />

media caratterizzati dalla ossessiva ricerca<br />

di un'audience e di soldi provenienti<br />

dalla pubblicità?<br />

In ogni caso per chi ha a che fare con<br />

un pubblico l'omologazione verso la non<br />

qualità, la caduta di stile, il pettegolezzo<br />

portato a spettacolo, la trivialità e il<br />

pornografico non sono mai permessi.<br />

Un servizio per tutti i cittadini e da questi<br />

sostenuto, infatti, deve fare la differenza.<br />

Indubbiamente l'intrattenimento televisivo<br />

di strada ne ha fatta tanta.<br />

Dai primi varietà a telecamera fissa<br />

con fotocopia di radio trasmissioni ai<br />

film western; dai quiz di «Lascia o raddoppia»,<br />

ai programmi culturali tipo<br />

«Tvsette» e via via passando attraverso<br />

gli immancabili ed eterni festival, i grandi<br />

sceneggiati a soggetto storico-letterario;<br />

ed ancora l'informazione scientifica<br />

di «Chekup» e «Quark», più popolare la<br />

prima e piuttosto snob la seconda; i processi<br />

alle tappe ciclistiche e alle partite<br />

di calcio, i processi in piazza tipo Samarcanda<br />

ad amministrazioni con amministrati<br />

e presentatori compiacenti,<br />

l'informazione trasformata in spettacolo<br />

(o in avanspettacolo?). E, al termine dell'edizione<br />

di prima serata le immancabili<br />

passerelle osé; la televisione come amico<br />

e convivente, il «Big Brother» che in Italia<br />

diventa «Il Grande Fratello» e poi ancora<br />

film, talk show (Funari, Maurizio<br />

Costanzo, Santoro, De Filippi, Sgarbi),<br />

ed ancora quiz e indovinelli resi più facili<br />

per adeguarsi alla stupidità collettiva.<br />

A pensarci, chi conosce un po' la televisione<br />

degli Stati Uniti s'accorgerebbe<br />

che i palinsesti italiani nazionali non<br />

brillano per la loro originalità. Dai giornalisti<br />

(e dalle giornaliste) che imitano<br />

colleghi e colleghe d'oltre oceano tuttavia<br />

senza mai raggiungere ad esempio la<br />

professionalità della rubrica televisiva<br />

americana «60 minutes» o le capacità di<br />

intrattenimento dei vari presentatori<br />

Dan Rather, Tom Brokaw, Larry King e<br />

Oprah Winfrey, o la performance di una<br />

serata da Oscar.<br />

Diciamo questo non per filoamericanismo<br />

di maniera — sia pure obbligatorio<br />

quando si tratta di massmedia — né per<br />

disconoscere i meriti di quanti lavorano<br />

nell'industria dei media o di quanti in<br />

questi cinquant'anni hanno fatto o cercato<br />

di fare una televisione di qualità<br />

ma piuttosto per la stima che abbiamo<br />

di questo lavoro e dei suoi addetti nonché<br />

per richiamare ad un discorso più<br />

ampio sul servizio televisivo italiano<br />

quale mi pare oggi vada fatto recuperando<br />

un dibattito che forse avrebbe dovuto<br />

farsi in anni passati.<br />

Troppe volte infatti lo spettacolo televisivo<br />

non è trattato come una vera e<br />

propria industria dove esperienza acquisita,<br />

economia e professionalità hanno<br />

un peso specifico determinante. Giocare<br />

a pallone di fronte a centomila spettatori<br />

non è la stessa cosa che giocare in un<br />

campetto così come per un commentatore<br />

televisivo avere milioni di spettatori<br />

non è la stessa cosa che trovarsi in una<br />

balera di periferia.<br />

La volgarità e la trivialità di non poche<br />

trasmissioni è la caduta di una professionalità<br />

che sa sempre e comunque<br />

guardare al suo pubblico.<br />

E del resto, comunque la si pensi, oggi<br />

è incontestabile il contributo che la<br />

televisione dà alla socializzazione di modelli<br />

e di linguaggi, pantografandone, in<br />

più o in meno, i processi. L'impatto culturale<br />

televisivo è di tipo istantaneo ed<br />

accelera i cambi culturali. La sua presenza<br />

in ogni casa riduce spesso la comunicazione<br />

fra i membri della stessa<br />

famiglia con la conseguenza che parte<br />

dell'educazione dei più giovani, più che<br />

3 .<br />

dalla famiglia, proviene da questo apparecchio<br />

televisivo diventato per non pochi<br />

un vero e proprio bisogno psicologico.<br />

Eppure c'è chi prova a resistergli<br />

non soltanto perché considera la televisione<br />

un vero e proprio «narcotico» delle<br />

masse ma anche per la difesa dei minori.<br />

Pur non facendo nostro lo scenario<br />

del romanzo «1984» di George Orwell né<br />

quello del cinema «Fahrenheit 451» di<br />

François Truffaut, ci rendiamo conto<br />

che l'utilizzazione positiva o negativa<br />

dell'immagine televisiva può dipendere<br />

anche da noi. Per quanto riguarda gli<br />

spettacoli violenti ad esempio è ampiamente<br />

dimostrato che il comportamento<br />

aggressivo anche futuro di molti bambini<br />

cresce in misura degli spettacoli violenti<br />

ai quali oggi assistono.<br />

È anche dimostrato che tali effetti sono<br />

aumentati da quando a partire dagli<br />

Anni Ottanta la televisione propaganda<br />

prodotti per i più piccoli. Altro discorso<br />

ancora andrebbe fatto sui programmi<br />

religiosi televisivi e su come viene trattato<br />

il contenuto religioso.<br />

Se a tutto questo si aggiungono gli<br />

aspetti politici ed economici del complesso<br />

fenomeno televisivo si comprende<br />

perché per la sua gestione debbano esserci<br />

delle «regole» di gioco e perché i<br />

giocatori debbono conoscere tali regole.<br />

Anche la necessità di vere e proprie<br />

scuole di formazione dai livelli elementari<br />

fino a quelli universitari si fa allora<br />

impellente e non dilazionabile così come<br />

senza fariseismi vanno dichiarati i doveri<br />

del servizio pubblico ed i limiti di<br />

quello commerciale.<br />

Nuove e più complesse prospettive<br />

derivano ancora dalla televisione satellitare<br />

e digitale soprattutto in ordine al<br />

numero pressoché infinito dei possibili<br />

canali di trasmissione. Di fronte a tanto<br />

splendore mediologico sorgono spontanee<br />

alcune domande quali l'esistenza o<br />

no di spettatori sufficienti per una così<br />

massiccia offerta, l'esistenza o no di<br />

programmi per colmare così tanti canali<br />

e l'esistenza o no di uno spettatore veramente<br />

desideroso di districarsi in questa<br />

babele, resa difficile dall'uso dei decoder<br />

e delle smart card.<br />

In conclusione di fronte a casi di volgarità<br />

e trivialità in programmi televisivi,<br />

ci chiediamo cosa potranno fare cittadini<br />

e comunità non reattive incapaci<br />

di accendere o spegnere il televisore o<br />

di cambiare programma. Resta infatti<br />

questa l'ultima carta da giocare.<br />

Pubblicati gli Atti del convegno sullo scrittore bellunese<br />

Dino Buzzati tra letteratura e giornalismo<br />

CLAUDIO TOSCANI<br />

Il suo è un nome che ricorre tanto<br />

sulla stampa quotidiana, quanto nell'editoria<br />

corrente (non c'è stagione che non<br />

venga riproposto qualche suo libro); sia<br />

nelle sale cinematografiche (magari d'essai,<br />

per letture filmiche o per adattamenti<br />

sceneggiati), sia nelle aule di un<br />

convegno letterario, come quello internazionale,<br />

tra il 18 e il 21 maggio '95,<br />

tenutosi a Feltre e a Belluno, che ha originato<br />

questi «Atti» ora pubblicati col titolo<br />

Buzzati giornalista (Milano, Mondadori,<br />

2000, pp. 568, L. 45.000).<br />

Lo dico subito: il Buzzati della stampa,<br />

oltre che un maestro della pubblicistica<br />

quanto a particolare magnetismo<br />

della scrittura, è un esempio di giornalismo<br />

morale, dittico che, correndo tempi<br />

di aggressioni, di speculazioni, di iperboli<br />

comunicative, rischia di apparire un<br />

ossimoro (quel che si dice una contraddizione<br />

in termini).<br />

Ma torniamo alla novità editoriale degli<br />

«Atti» e, cioè alla critica seria e degna<br />

che si esercita su di lui: il nome di<br />

Dino Buzzati (l'anno prossimo saranno<br />

trent'anni dalla sua scomparsa) è ormai<br />

indissolubilmente legato a quello della<br />

sua più nota e valida studiosa, Nella<br />

Giannetto, Ordinario di lingue e di letteratura<br />

allo Iulm di Feltre, custode e al<br />

tempo stesso infaticabile divulgatrice<br />

della poliedrica eredità dello scrittore<br />

bellunese.<br />

È lei che cura anche questi «Atti»,<br />

scrivendo in prefazione: «Buzzati è davvero,<br />

con i suoi talenti, e anche — se<br />

vogliamo — con i suoi limiti, un giornalista<br />

unico, di cui in fondo s'era detto finora<br />

relativamente poco. (...) Non solo<br />

perché la riflessione sullo scrittore ha indotto<br />

spesso a trascurare i molteplici ed<br />

articolati aspetti della sua attività giornalistica,<br />

ma anche per il troppo di approssimativo<br />

che è stato detto e scritto,<br />

anche in tempi recenti, sul rapporto fra<br />

questi due “mestieri” della scrittura cui<br />

il nostro grande bellunese si dedicò con<br />

uguale passione».<br />

Un Convegno, quest'ultimo, che ha<br />

registrato una partecipazione ricchissima<br />

di testimonianze che potevano venire<br />

solo da chi aveva lavorato accanto a<br />

Buzzati e, insieme, da chi sul suo lavoro<br />

«quotidiano» aveva maturato le<br />

più significative riflessioni critiche, analisi,<br />

comparazioni, ricerche e documentazioni.<br />

Da Gaetano Afeltra, quindi, a Indro<br />

L'OSSERVATORE ROMANO Domenica 28 Gennaio 2001<br />

«Natività<br />

della Vergine Maria»<br />

(inizi del XVI secolo)<br />

Nikolai Ge<br />

«L'Ultima Cena»<br />

(1863)<br />

La mostra «Gesù Cristo» al Museo Statale Russo di San Pietroburgo<br />

Dall'icona come «custode dell'inesprimibile»<br />

al fecondo dialogo con l'arte europea occidentale<br />

ANNA BUJATTI<br />

Si parla di file di centinaia di visitatori<br />

per la Mostra dedicata a Gesù Cristo<br />

dal Museo Statale Russo a San Pietroburgo.<br />

Non è data a chi scrive la<br />

preziosa occasione di trovarsi tra quei<br />

visitatori, di cogliere in mezzo a loro il<br />

particolare clima della Mostra stessa.<br />

Le Mostre, lo sappiamo, sono fatte anche<br />

dai visitatori. Il monumentale Catalogo,<br />

dalle troppo sintetiche schede e<br />

dagli efficaci ma troppo rapidi saggi introduttivi,<br />

può solo suggerire alcune indicazioni<br />

che aiutino a spiegare le caratteristiche<br />

della Mostra e il grado di<br />

partecipazione suscitato.<br />

Abbiamo già avuto modo di ricordare,<br />

anche a proposito della Mostra Arte<br />

e sacro mistero, tenuta l'anno scorso a<br />

«Il Salvatore», icona del XVI secolo<br />

Montanelli, da Franco Di Bella a Guido<br />

Vergani, da Frontenac a Gramigna, da<br />

Marabini a De Michelis (senza dimenticare,<br />

ovviamente, la Giannetto, che da<br />

un ventennio a questa parte è la citazione<br />

più costante della bibliografia buzzatiana).<br />

Poderoso volume che si apre, dopo<br />

l'introduzione della curatrice, con il saggio<br />

di Afeltra, un direttore «storico» del<br />

quotidiano milanese, che rivede Buzzati<br />

tra «Corriere della Sera» e «Corriere<br />

d'informazione». E che si chiede se, nella<br />

esemplare passione per la scrittura<br />

del grande «subordinato»-amico, fosse<br />

nata prima la letteratura o prima il giornalismo.<br />

Domanda non oziosa se, cronologia<br />

a parte, risulta poi che le due<br />

vene sono in sostanza compresenti, dall'inizio<br />

alla fine, nell'organismo creativo<br />

buzzatiano, la prima sottesa sempre alla<br />

seconda, la seconda come «stile» della<br />

prima.<br />

«Buzzati giornalista e la politica» è il<br />

tema di Montanelli: non peregrino neanche<br />

questo, benché il soggetto fosse in<br />

ogni caso refrattario, ma che tuttavia,<br />

sulla politica ebbe intuizioni straordinarie<br />

e folgoranti (vedi Paura alla scala,<br />

per esempio).<br />

E così per cinquecento e passa pagine:<br />

da «Buzzati e la cronaca» di Di Bella<br />

(una «cronaca tinta di favola»), a un più<br />

erudito pezzo sulle «Strutture retoriche<br />

del giornalismo buzzatiano» di Walter<br />

Geerts, un microscopio sull'«artigianato»<br />

compositivo ed espressivo del grande articolista.<br />

Da «Buzzati inviato speciale» di<br />

Vergani a «Buzzati e le catastrofi» di Ivo<br />

Prandin.<br />

La griglia critico-analitica gira e Buzzati<br />

è visto, volta a volta, come<br />

«cacciatore di misteri», «cronista scrittore»,<br />

«corrispondente», «inviato» in Giappone,<br />

in India, in Africa o sulle navi in<br />

guerra.<br />

Poi c'è il Buzzati critico d'arte, cronista<br />

di mostre, critico teatrale, critico cinematografico.<br />

Quello che racconta i libri<br />

degli altri, il giornalista alpinista, il<br />

reporter sportivo, il pubblicista da rotocalco,<br />

l'elzevirista, l'opinionista e il commentatore<br />

di celebri processi.<br />

Seguono comunicazioni sulla lingua<br />

di Buzzati, sul «potere» delle sue parole,<br />

su alcuni suoi ritratti «eroici», su di lui<br />

come cronista musicale e come collaboratore<br />

di riviste.<br />

Contributi nazionali ed esteri, perché<br />

Buzzati è conosciuto fuori d'Italia come<br />

in patria, se non più, non parliamo in<br />

Henrik<br />

Siemiradzki<br />

«IlBattesimo<br />

di Cristo»<br />

(1878)<br />

Vicenza a Palazzo Leoni Montanari, come<br />

il Museo Statale Russo di San Pietroburgo<br />

sia, per particolari circostanze<br />

storiche, uno dei Musei russi più ricchi<br />

di opere d'arte religiosa. Ora, per la<br />

Mostra di cui parliamo, è stata tentata<br />

una scelta che potrebbe anche apparire<br />

arrischiata se le file dei visitatori non<br />

fossero lì a dimostrarne la validità: la<br />

scelta di presentare le opere d'arte e di<br />

fede legate alla figura di Gesù Cristo seguendo<br />

il filo tematico offerto dalle pagine<br />

evangeliche, in una sorta di continuità<br />

che, partendo dalla tradizionale<br />

pittura delle icone, si avventuri fino alle<br />

testimonianze della pittura più recente,<br />

dalle icone apparentemente lontanissima.<br />

Questa scelta, saldando momenti diversi,<br />

e in certe fasi anche apertamente<br />

in contrasto, della pittura russa di ispirazione<br />

cristiana, da un lato offre ai visitatori<br />

russi una immersione nel loro<br />

passato appunto come in un continuum,<br />

facendoli sentire partecipi di<br />

ogni suo aspetto, e da un altro lato,<br />

poiché la pittura di ispirazione religiosa<br />

al di fuori della tradizione delle icone è<br />

stata influenzata, a partire dal XVII secolo,<br />

dall'arte europea occidentale, costruisce<br />

anche un ponte verso la cristianità<br />

d'occidente, ossia verso l'altro<br />

polmone della cristianità, secondo<br />

la celebre espressione di Vjaceslav<br />

Ivanov.<br />

* * *<br />

La Mostra si apre con la Natività di<br />

Maria. Abbiamo più volte ricordato<br />

quanto profondamente sia radicata la<br />

venerazione della Madre di Dio in terra<br />

russa. Ma il far precedere alla Natività<br />

Francia, dove un'associazione di «amici»<br />

lo celebra da anni prima che da noi si<br />

facesse altrettanto (vedi la pubblicazione<br />

annuale di «Studi buzzatiani» fondati nel<br />

'96 dalla Giannetto).<br />

Scorrendo i saggi di questo volume si<br />

capisce quale e quanta originalità e quale<br />

talento caratterizzino l'impegno con<br />

cui Buzzati si votò al suo «meraviglioso<br />

mestiere».<br />

Una fatica che, come s'è detto, lo vide<br />

firma più unica che rara del giornalismo<br />

novecentesco: cronista di «nera», di<br />

«giallo», di «rosa», recensore, notista,<br />

saggista, titolista, direttore di fatto anche<br />

se non di nomina, collaboratore di<br />

prestigiose testate oltre a quella visceralmente<br />

amata del «Corrierone». Basterà<br />

ricordare, in più di quelle citate, «La<br />

Lettura», il «Corriere Lombardo», «Primato»,<br />

«Omnibus», «Oggi», «L'Europeo».<br />

Materiale, non per un congresso, ma<br />

per dieci, si legge in risvolto di copertina.<br />

In ogni caso, questo primo sul Buzzati<br />

giornalista, cose nuove ne ha scoperte<br />

e dette, e di dimenticate ne ha sicuramente<br />

riportate in vita.<br />

Ogni intervento sarebbe degno di ripresa,<br />

ma per chiudere ce ne vengono<br />

agli occhi due: «I racconti di Natale di<br />

Buzzati», a firma di Patrizia Zambon, e<br />

«Cronaca e racconto nei “Misteri d'Italia”<br />

fra scetticismo e tensione metafisica»<br />

di Giuseppina Giacomazzi.<br />

Quanto al primo, se si legge che Buzzati,<br />

sotto lo specifico del racconto «natalizio»<br />

compose una gran quantità di<br />

pezzi, bisogna anche ricordare che accolse<br />

il frangente, il modello, nella sua<br />

discrepanza tra giorno della serenità e<br />

della dolcezza, del riposo dell'anima e<br />

della pace, e giorno della corsa affannata<br />

al dono, della febbre regalizia e della<br />

dimenticanza di quel Dio che vive dove<br />

gli uomini sanno amare e solidalizzare,<br />

dove non si escludono a vicenda e non<br />

si dimenticano per disputare la gara alla<br />

spesa e al consumo.<br />

Nel saggio secondo, a parte la «magia»<br />

buzzatiana di sempre, un riguardo<br />

speciale è posto sull'onestà intellettuale<br />

che è alla base della sua innata e segreta<br />

religiosità. Non esente da disorientamenti<br />

e da dubbi, ma neanche da speranza.<br />

Una speranza trascritta e trascesa «nel»<br />

e «dal» racconto, e tuttavia arricchita da<br />

un tormento e da un'angoscia che la<br />

certificano in messaggi certi, anche se<br />

non espliciti.<br />

«Misteriosi», appunto.<br />

Svyatoslav Voinov<br />

«L'Annunciazione»<br />

(1916)<br />

Alexei Yegorov<br />

«La flagellazione<br />

di Cristo»<br />

(1814)<br />

di Gesù, la Natività di Maria e l'Annunciazione,<br />

ha qui alla Mostra un<br />

preciso significato, pone subito l'accento<br />

sul Mistero dell'Incarnazione, sulla<br />

missione del Figlio di Dio sulla terra<br />

per la salvezza degli uomini.<br />

Già in questi primi capitoli dedicati<br />

alla Nascita di Maria e all'Annunciazione,<br />

sono testimoniati i principali nodi<br />

storici occorsi lungo le linee portanti<br />

della pittura religiosa russa. Per la Nascita,<br />

accanto a una bellissima icona<br />

degli inizi del Cinquecento, proveniente<br />

da Tver, con la gioiosa, ma studiata armonia<br />

di tonalità rosse e azzurre, le figure<br />

ordinatamente disposte, in una luminosa<br />

architettura ad archi, è presentata<br />

una pittura a olio su tela, parte di<br />

una iconostasi posta nella Chiesa della<br />

Trinità a San Pietroburgo ricostruita<br />

dopo l'incendio del 1750.<br />

Attribuita al celebre ritrattista<br />

di corte Ivan Visnjakov,<br />

vi si legge l'influenza<br />

della pittura fiamminga,<br />

con la sua corposità, il suo<br />

gioco di ombre e di luci, i<br />

mossi panneggi, i realistici<br />

particolari delle scene di<br />

genere.<br />

Sul tema della Annunciazione,<br />

poi, ci si spinge fino<br />

a una tempera di Svjatoslav<br />

Voinov, del 1916, permeata<br />

di un simbolismo<br />

che gioca con la traslucida<br />

impenetrabilità della foresta<br />

russa, su cui si stagliano,<br />

ieratiche, le figure della<br />

Vergine e dell'Angelo, non<br />

estranee, nella loro geometrica<br />

compattezza, alla lezione<br />

del costruttivismo.<br />

È col regno di Pietro il<br />

Grande, e l'apertura del famoso<br />

«gran finestrone» sull'Europa,<br />

che vediamo l'arte<br />

dell'icona chiudersi nella<br />

sua tradizione, e l'arte religiosa<br />

in senso più lato tentare<br />

il confronto con l'arte<br />

occidentale. Nikolaj Leskov nel suo Angelo<br />

sigillato ha saputo far esprimere<br />

con nativa semplicità ai suoi personaggi,<br />

artigiani legati alle tradizioni della<br />

campagna russa profonda, il contrasto<br />

tra il pittore «uso a rappresentare il<br />

corpo dell'uomo terreno, amante della<br />

vita» e il pittore di icone che «raffigura<br />

un tipo di volto ultraterreno, del quale<br />

l'uomo materiale non può farsi neppure<br />

una vaga idea».<br />

Pure, la resa pittorica del «volto ultraterreno»,<br />

con la conoscenza della pittura<br />

occidentale finisce col modificarsi<br />

anche tra i pittori di icone, come il celebre<br />

Simon Ušakov che tende a rendere<br />

l'intima bellezza spirituale anche attraverso<br />

la raffinatezza della bellezza<br />

esteriore, secondo i canoni estetici di<br />

un certo classicismo. Una preoccupazione<br />

chiaramente avvertibile nei pittori<br />

di ispirazione occidentale che potremmo<br />

definire neoclassici, tra Sette e<br />

Ottocento, come Vladimir Borovikovskij,<br />

Orest Kiprenskij, Karl Brjullov,<br />

Aleksej Egorov.<br />

Nel celebre quadro di Egorov La flagellazione<br />

di Cristo, del 1814, il corpo di<br />

Cristo, pur sottoposto alla tortura, è come<br />

avvolto in una luminosità che ne<br />

esalta la perfezione delle linee isolandolo<br />

in mezzo alle figure dei flagellatori.<br />

Il poeta Konstantin Batjuskov nell'ammirarne<br />

i meriti stilistici aggiungeva<br />

tuttavia che nel quadro egli non cercava<br />

solo la maestria, ma cercava anche<br />

«cibo per il pensiero e cibo per il<br />

cuore».<br />

La pittura accademica, spesso legata<br />

a intensi soggiorni di studio in Italia,<br />

doveva venire scossa dalla presenza di<br />

una personalità come Aleksandr Ivanov<br />

che con il suo quadro Apparizione di<br />

Cristo al popolo, al quale lavorò per oltre<br />

vent'anni, poneva in modo nuovo,<br />

realistico e simbolico al tempo stesso, il<br />

rapporto tra Cristo e l'umanità risvegliata<br />

dalle Sue parole, dal Suo messaggio<br />

e dal Suo esempio.<br />

Cominciava ad imporsi una questione<br />

che nella seconda metà dell'Ottocento<br />

avrebbe suscitato appassionate discussioni,<br />

lacerazioni e contrasti: la<br />

questione della resa pittorica del Cristo<br />

uomo, del Cristo che sceglie di condividere,<br />

fino al martirio, fino alla morte<br />

sulla croce, la sofferenza dell'umanità.<br />

Come rendere la realtà della Sua sofferenza,<br />

lasciandone trasparire l'ineffabile<br />

natura divina? Ha Cristo un volto<br />

«simile a tutti i volti degli uomini», co-<br />

German Yegoshin<br />

«La Natività di Cristo» (1994)<br />

me avrebbe scritto Turgenev nel suo celebre<br />

poemetto in prosa Christos?<br />

I pittori realisti russi della seconda<br />

metà dell'Ottocento che per la loro ribellione<br />

all'Accademia si erano fatti peredvizniki<br />

o «ambulanti» come Il'ja Repin,<br />

Vasilij Surikov, Ivan Kramskoj,<br />

Nikolaj Ge, affrontarono la questione<br />

con grande consapevolezza ma anche<br />

con una irruenza sperimentale che li<br />

pose al centro di un acceso dibattito.<br />

Il quadro che scatenò i fulmini di<br />

Dostoevskij fu L'ultima cena di Nikolaj<br />

Ge, presentato alla Terza Mostra dei<br />

Peredvizniki nel 1873. Il pittore aveva<br />

scelto di evocare un momento mai raffigurato,<br />

il momento finale della cena,<br />

quando incombe il tradimento di Giuda<br />

e l'inevitabilità della Passione. È essenzialmente<br />

un dramma interiore, un<br />

Alexander Ivanov, «Cristo appare alla gente»<br />

(particolare, 1836-1855)<br />

dramma inespresso, affidato alla trama<br />

delle ombre e delle luci.<br />

«L'artista ha afferrato un solo raggio<br />

che risplende su tutto il gruppo e lo illumina<br />

come accade di solito ai lampi,<br />

quando, nella rapida luce, sole si afferrano<br />

le linee delle forme illuminate (...)<br />

Giuda si è come fuso, scomparendo in<br />

una macchia cupa, che ne nasconde il<br />

viso e la figura (...) Gesù Cristo, dopo<br />

aver detto e compiuto tutto ciò che doveva<br />

dire e compiere, è come sprofondato<br />

nel dolore (...) gli Apostoli appaiono<br />

turbati da un presentimento ancora<br />

oscuro»: così leggeva il quadro lo scrittore<br />

Ivan Goncarov.<br />

Armoniosi, seppure non così profondi,<br />

risultati nella ricerca di un equilibrio<br />

tra la resa «umana» della figura di<br />

Cristo e l'irrinunciabilità dell'aura divina,<br />

sono stati raggiunti sul finire del<br />

secolo da pittori di grande scuola e di<br />

vasta esperienza come Viktor Vasnecov<br />

e Michail Nesterov, che affrescarono o<br />

arricchirono di mosaici grandi cattedrali<br />

come la cattedrale di san Vladimiro<br />

a Kiev e la cattedrale di sant'Alessandro<br />

Nevskij a Varsavia: Vasnecov<br />

con temperamento energico ed epiconarrativo,<br />

Nesterov con trepida effusione<br />

lirica, diffuso misticismo intriso di<br />

intensa emotività popolare. Il grande<br />

quadro di Nesterov La santa Russia interpretava<br />

le attese messianiche che<br />

percorrevano la Russia sul finire del<br />

XIX secolo.<br />

Nel primo decennio del nuovo secolo,<br />

la sensazione dell'imminenza di una<br />

«apocalissi russa» è palpabile. È un clima<br />

di intensa creatività, di ricerca profonda,<br />

nell'ansia di una palingenesi<br />

spirituale e materiale. In questo ribollente<br />

crogiolo, quale ruolo poteva avere,<br />

in relazione con l'immaginario e<br />

con la sfera emotiva, l'arte di ispirazione<br />

religiosa?<br />

Vengono in mente esempi estremi e<br />

disparati come il quadro di Cristo sulla<br />

via di Emmaus che Pavel, il giovane rivoluzionario<br />

del romanzo di Gor'kij La<br />

Madre, appende in casa suscitando la<br />

sorpresa materna, o il Quadrato nero<br />

su fondo bianco che Kazimir Malevic<br />

dipinge nel 1913 e che definisce «icona<br />

del nostro tempo». Nel primo caso, un<br />

esempio di presenza, anche attraverso<br />

una immagine fisica, del messaggio<br />

evangelico; nel secondo caso, una reinterpretazione<br />

del concetto dell'invisibilità<br />

dell'essenziale, un ritorno all'icona<br />

come custode dell'inesprimibile.

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