L'OSSERVATORE IBRI PAGINA 7 . L'OSSERVATORE ROMANO Mercoledì 24 Gennaio 2001 Leone XIII; sotto: Wilson (a destra) e Clemenceau alla Conferenza di Parigi del 1919 «Le ombre sull'Europa. Democrazie e totalitarismi nel XX secolo» di Mark Mazower edito da Garzanti Il fallimento delle varie ideologie nel tentativo di costruire un mondo migliore DANILO VENERUSO Èdapocouscitala traduzione italiana di un volumedi Mark Mazower, docente alla London University,pubblicato per la prima volta in Gran Bretagna nel 1998 (Le ombre sull'Europa. Democrazie e totalitarismi nel XX secolo, Milano, Garzanti, 2000, pp. 477, L. 49.000, «Collezione storica»). Si tratta di un esame della storia del secolo appena trascorso alla luce del rapporto, che è anche opposizione di fondo, tra «totalitarismi» e «democrazia», della portata e dei limiti della «vittoria» della democrazia alla fine del secolo. Si deve dire preliminarmente che i criteri che presiedono alla sistemazione degli avvenimenti, all'interpretazione e al giudizio storico sono in linea generale persuasivi ed attenti, anche se con essi,come vedremo nel corso dell'esposizione, dovranno essere reintrodotti alcuni che, dagli anni Sessanta del Novecento, non sono più familiari alla storiografia soprattutto anglo-americana, mentre altri dovranno essere approfonditi o corretti. Come Mazower chiarisce nell'introduzione (pp. 9-15), «la democrazia moderna, al pari dello Stato nazionale al quale è così strettamente associato, è fondamentalmente il prodotto della lunga opera di sperimentazione, interna ed internazionale, che seguirà il crollo del vecchio ordine europeo nel 1914». L'affermazione con cui si apre il volume può però essere pienamente condivisa soltanto se si chiarisce la storia della «stretta associazione» tra democrazia moderna e Stato nazionale. È fuor di dubbio, infatti, che in Europa, lo Stato nazionale nasca nel grembo dell'opposizione liberale e poi anche democratica che assai presto si erge contro il tentativo di restaurazione monarchica ricercato dal Congresso di Vienna dopo la definitiva caduta di Napoleone Bonaparte nel 1815. Ma è anche vero che questo Stato nazionale comincia a staccarsi dall'area democratica per collocarsi in quella della conservazione degli Stati monarchici europei già a partire dal 1848, quando si trova possibile ciò che in passato non lo era, vale a dire una sorta di «compromesso storico» tra corone e principio nazionale proprio in quei popoli europei, come gli italiani e i tedeschi, che cercano una sistemazione statale alimentata da quelprincipionazionale che legittima tale ricerca. A sua volta, questo compromesso è insieme risultato e indicazione di un'impazienza che, seppure comprensibile in un periodo storico in cui sta emergendo un nuovo ordinamento del «concerto europeo», è all'antitesi della lenta sedimentazione propria di quel processo storico, necessariamente lungo, complesso e soprattutto indiretto, che, all'inizio dell'Ottocento, conduce gli Stati a sentirsi i contenitori politici di «nazioni». È proprio la loro fretta di inserirsi in modo compiutamente e soprattutto istituzionalmente riconoscibili nel «concerto europeo», allora di fatto coincidente con l'ordinamento internazionale sic et simpliciter, a privilegiare la visibilità sulla consapevolezza. Alla frettolosità di un processo cerca di porre rimedio la fondazione di uno «Stato forte» anche visibilmente: questo è il motivo per cui gli Stati nazionali di nuova istituzione, come l'Italia e la Germania, scivolano ineluttabilmente, per il fatto stesso della loro formazione in quelle circostanze, nelle spire di un autoritarismo che soffoca le potenzialità democratiche originariamente rilevabili del principio nazionale. Fin dalle origini della loro unificazione, pertanto, le classi politiche dell'Italia e Germania mostrano la comune tendenza a porre limiti invalicabili tra il processo che ha portato all'unificazione (genericamente indicato come «liberalismo», in opposizione al «neoassolutismo» del Congresso di Vienna) e la democrazia tanto in se stessa quanto come premessa per il socialismo. E questa comune tendenza spiega anche la diffusione e la profonda incidenza in ambedue gli Stati prima del nazionalismo in quanto si dichiara antidemocratico e poi l'impianto del fascismo, che del principio nazionale come principio generale, capace di condurre all'unità del genere umano, rappresenta non solo l'arresto ma addirittura il rovesciamento in un imperialismo inesorabilmente schiavistico. L'A. prosegue affermando, con una chiarezza interpretativa raramente finora mostrata dalla storiografia sull'argomento, che «il liberale Woodrow Wilson offre un mondo pronto per la democrazia, Lenin offre una società comunitaria emancipata dal bisogno e libera dalle sfruttatrici gerarchie del passato e Hitler inaugura una razza guerriera, purgata da elementi estranei, che realizza il proprio destino imperiale attraverso la purezza di sangue e l'unità di intenti», in un contesto storico in cui «ciascuna di queste tre ideologie contrapposte — democrazia liberale, comunismo e fascismo — si considera destinata a rifondare la società, il continente europeo e il mondo intero secondo un nuovo ordine». Il risultato della presentazione simultanea di queste tre ideologie è che «nel breve periodo sia Wilson che Lenin falliscono nel loro tentativo di costruire il mondo migliore che sognano»: di fronte a questo scacco si insinua di nuovo il nazionalimperialismo nella sua forma estrema di fascismo, il quale «diviene la prima grande ideologia che subisce una sconfitta totale per mezzo di quella stessa storia che esso presume di aver dominato». La riscoperta della democrazia La sconfitta del fascismo conduce gli europei, dopo il 1945, alla riscoperta della «tranquilla virtù della democrazia, con tutto lo spazio che lascia alla persona, all'individuo e alla famiglia». È in quel tempo che essi, non più come cittadini dell'Europa soltanto, ma come parte di quell'insieme più vasto che è l'Occidente, «devono affrontare la competizione non più della destra, ma bensì della sinistra»: è la guerra fredda, che ha termine nel 1989 apparentemente con la vittoria della democrazia sul comunismo, in realtà, ed è questo il giudizio finale di Mazower, del capitalismo. Con il Mazower si fa più larga la strada per una considerazione della storia del continente Europa più complessiva e più soddisfacente di quanto finora si sia fatto proprio per l'esigenza da lui costantemente seguita di superare l'elemento particolare, per non dire fazioso e settario, delle ideologie in gioco che hanno sempre condizionato, e in parte continuano tuttora a condizionare, lo stesso lavoro storiografico. «Se c'è un elemento che accomuna tutte le ideologie — afferma infatti l'A. — è l'ambizione di presentare la propria cultura, si tratti del comunismo universale, della democrazia globale o di un Reich millenario come la “fine della sto- ria”». Per questo, «oggi è necessario un tipo di storia diverso, meno utile come strumento politico ma che ci porti più vicino alla realtà del passato, che veda il presente semplicemente come uno dei tanti possibili risultati che gli scontri e le incertezze dei nostri predecessori avrebbero potuto produrre». Ma questo è appena un inizio di una deideologizzazione della storia che può verificarsi non solo con una depurazione, ma anche con un arricchimento da ottenersi con il recupero di dimensioni, come quella religiosa, che lo stesso Mazower continua ancora a sottovalutare. La descrizione delle sconfitte e delle «vittorie», non sappiamo ancora quanto provvisorie, rinvia infatti alla necessità di un approfondimento delle motivazioni che stanno alla base di crolli che, occorre sottolinearlo, si realizzano proprio quando le ideologie si lanciano alla conquista del mondo con i favori, come si dice in gergo sportivo, dei pronostici. Così avviene con il fascismo, che nel 1939 scatena una guerra con la presunzione di vincerla, così avviene per il comu- nismo che perde la «guerra fredda» quando sembra proprio, negli anni Settanta del Novecento, che sia sul punto di vincerla, talché i liberaldemocratici, « vincitori» per ben due volte, prima sui fascisti, poi sui comunisti, lasciano l'impressione di riportare la vittoria per «suicidio» degli avversari piuttosto che per loro meriti intrinseci e definitivi. In effetti, dei due avversari epocali che la democrazia ha successivamente affrontato, il fascismo internazionale è stato messo fuori causa per mancanza di universalità: il nazionalismo estremizzato distrugge o schiavizza le altre nazioni nel momento che realizza la propria. Diversa è invece la storia del socialismo che, nonostante il largo seguito che ha sempre avuto, il disinteresse e l'abnegazione di molti dei suoi seguaci, la capacità di alcuni suoi capi, l'appoggio «Figlia del Tuo figlio» a cura di Claudio Toscani e Angelo Lacchini Un'antologia mariana dal '200 ad oggi RODOLFO DONI Qualche anno fa la Fordham University di New York tenne un convegno di tre giorni sul tema «La figura di Maria nella letteratura italiana», convegno al quale parteciparono come relatori anche vari docenti e scrittori dall'Italia. Successivamente altri incontri e pubblicazioni su questa materia — ch'è materia inesauribile — sono seguiti. Oggi esce a cura di Claudio Toscani e di Angelo Lacchini, un volume-strenna Figlia del tuo Figlio, poesia mariana dal Duecento a oggi, promosso dal Centro Culturale e dal Comune di Castelleone di Cremona, dalla parrocchia dei ss. Filippo e Giacomo; sponsor la società Marsili e C., edizioni arti grafiche 2000. Menzioniamo promotori e sponsor anche perché meritevoli di queste iniziative culturali che tendono a riscoprire il sacro. Il sacro, come si sa, per secoli ha spaziato in arte pressoché totalmente: vedi anche le grandi tavole illustrative che si alternano nel volume alle poesie e ai commenti, andando dalla Assunta di Tiziano ai Frari a Venezia, alla morte della Vergine del Caravaggio del Louvre: una quarantina di immagini dei più grandi artisti. Oggi, e ormai da tempo, del sacro in arte si ignora o addirittura si contesta da qualche parte perfino la legittima presenza (viene in mente un'editrice quale Il Messaggero di Padova che a questa riscoperta del sacro in letteratura ha dedicato un'intera collana intitolata appunto «Tracce del sacro»). Ma di tutt'altra tensione e resa sono le delicate e forti immagini di Maria che escono dalle poesie antologizzate da Toscani e Lacchini. E qui sarebbe lungo ripercorrere il tragittodel volume citando autori e opere, che, d'altronde, generalmente si sanno, anche se l'esperienza di attento lettore e critico di Toscani non ha esitato a includere testi e autori meno conosciuti dal grande pubblico. Potremmo d'altronde anche indagare su qualche omissione, pur di poeta minore. Ma quel che piuttosto importa è seguire i curatori nello sguardo complessivo dove «pregnante — essi scrivono nella Introduzione — risulta essere la sostanza religiosa, ed esemplari ricorrono glianelititestimonialidi quasi tutti gli autori antologizzatiinuna sorta di emulazione e santità». di molti intellettuali e persone di cultura, è sempre fallito ogni volta che ha tentato di realizzare un proprio ordine diverso e alternativo alla democrazia. Così alla fine dell'Ottocento il socialismo rivoluzionario si trasforma in socialdemocrazia, e sorte non migliore ha Lenin con il suo bolscevismo già all'inizio quando, di fronte al rifiuto di larga parte della popolazione dell'ex-impero russo, non sa trovare di meglio che l'interpretazione autoritaria e terroristica della «dittatura del proletariato», formula di per sé carica di ambiguità. Il colpo finale ad un comunismo separato dalla democrazia è dato dal fallimento della «rivoluzione culturale» in quanto realizzazione della perfetta eguaglianza considerata come assoluto, anzi come «l'assoluto». Il tentativo di assolutizzare una delle dimensioni nella quale si presenta la vita e pertanto la storia dell'uomo non può costitutivamente riuscire in quanto non lo permette il fatto che ogni dimensione della realtà riesce soltanto come limite: ciò significa che il principio di eguaglianza non può essere realizzato se non nel suo limite con la diversità che, a sua volta, ha il suo limite nell'eguaglianza. Di qui il successo finale di una democrazia che, sia pure pragmaticamente e, come ci si rende ben conto soltanto ora, senza farsene culturalmente consapevole, ha superato i suoi avversari, culturali prima che politici, perché ha considerato i loro punti focali, sia pure altamente apprezzabili, come la classe operaia come fonte ed epifonema di eguaglianza e la nazione, nei loro limiti e non come assoluti. Proprio questa mancanza di consapevolezza Questo lavoro non intende «censire una tesi ma testimoniare un valore» in questa figura tanto poco presente nei racconti delle Scritture quanto soggetto di un numero infinito di studi e opere d'arte di ogni campo: in questa figura «sono scritte le radici ultime del Cristianesimo», mentre «le due anime del canto mariano — la devozione popolare e l'arte — sono scaturite dal bisogno di tenerezza materna, la prima, e dall'affermazione della donna come punta avanzata di un riscatto, la seconda; ma senza mai annullarsi in esse». Sono notazioni essenziali che fanno gli autori, insieme all'altra non meno propria, di aver ben tenuto conto nelle scelte dell'aspetto spirituale segnatamente mariano «come una delle più importanti linee della nostra tradizione poetica», e così l'accoglimento «dell'autonomia dell'ars poetica dalla sua occasione contenutistica». E qui si innesterebbe il discorso — che ad esempio già in quel convegno newyorchese fu dibattuto — e che via via sempre si riaffaccia nel rapporto fra sacro e poesia, come i due valori, sacro e arte coabitino nella stessa espressione e momento creativo dell'artista e del poeta, e del come la poesia diventi essa stessa «sostanza metafisica, interrogante mistero di parole di chi sulla pagina suscita sentimenti e immagini, ed esprime tempi, modi, richiami, segni e sensi dell'anima del mondo». La poesia sta al sacro come il sacro sta al testo che voglia esprimerlo, diceva già Klopstoc e aggiungeva: «Vi sono pensieri che è impossibile esprimere altrimenti che in poesia; è così conforme alla natura di certi argomenti il pensarli e dirli in poesia che troppo essi perderebbero se ciò avvenisse in altro modo»; mentre Pascal asseriva circa la cosiddetta forma: «Un medesimo significato cambia secondo le parole che lo esprimono: i significati ricevono dalle parole la loro dignità men che conferirla ad esse». Ecco perché dunque la figura di Maria ha trovato alta dignità di parole e di immagini nei più grandi poeti e artisti lungo il corso dei secoli, come questo volume ben testimonia: stabilendo appunto, così i due autori si sono proposti di evidenziare, una intera linea della poesia italiana dal Duecento ad oggi. spiega il motivo per cui la democrazia una volta «vittoriosa», per così dire, nella guerra fredda ha pensato bene di cavalcare anch'essa la tigre dell'assolutizzazione, sfornando un progetto di globalizzazione economica fondato su un capitalismo che non ha niente da invidiare ai progetti assolutistici del fascismo e del comunismo, in quanto intende destinare la stragrande parte dell'umanità a funzione di quella sua esigua parte fornita dei capitali e delle cognizioni scientifiche adatti a portare avanti le esigenze dei «beati possidentes». In questo modo però viene vanificato quel rapporto costitutivo con il limite che è nella democrazia, a sua volta ereditato dalla tradizione cristiana senza la quale le forme della moderna democrazia non possono neppure essere concepite: nonostante tutti i tentativi in proposito, infatti, la democrazia moderna non ha legami organici con la democrazia ellenica contenente gli schiavi e incapace di stabilire rapporti al di fuori della polis in quanto nell'impossibilità di riconoscere e di fondare l'eguaglianza tra gli uomini. La concezione del limite È la concezione del limite, infatti, che rende possibili quella legittimazione e quella giustificazione del potere senza il quale esso si riveste di quei caratteri assolutistici che hanno caratterizzato (e perduto) il fascismo e il comunismo. Comesottolineagiustamentelostesso Mazower, la formazione di una dottrina o di un'ideologia si riferisce sempre al lungo periodo: la catastrofe del processo nazionale presso gli italiani e i tedeschi nell'Ottocento mostra infatti che cosa possa comportare la forzatura dei tempi nella storia. Nella lunga, complessa e tormentata storia della proposta democratica è percepibile l'impronta di quel cristianesimo che sostiene che «tutti sono chiamati e pochi gli eletti». Come nella sfera principale tale affermazione prefigura l'ingresso nel Regno di Dio attraverso la perfezione spirituale, così nella sfera mondana in cui si trasferisce per il metodo cristiano dell'incarnazione essa prefigura un metodo che comporta il progresso dell'uomo, come persona e come membro della società anche nell'ambito culturale, politico, economico e sociale. La consapevolezza di questa potenzialità è del resto presente nel lancio della proposta di un'area democratica a livello mondiale da parte di Leone XIII con le encicliche emanate tra il 1885 e il 1891 (Immortale Dei, Libertas, Rerum novarum) e con l'invito rivolto nel 1892 ai cattolici francesi di liberarsi dal peso di nostalgie monarchiche ormai fuori luogo e fuori tempo. Occorre però anche considerare che Leone XIII, dopo aver presentato la consonanza della democrazia con il cristianesimo, si preoccupa successivamente, nell'enciclica Graves de communi del 1901 (finora non esaminata secondo questa prospettiva) di chiarire l'incompatibilità della «democrazia cristiana» con la «democrazia sociale», ossia con il socialismo non in quanto esigenza profondamente cristiana di permeare la società di valori come la giustizia economica e sociale, bensì in quanto frutto di quella traduzione in termini soltanto materiali di quello che fu l'universo cristiano, facendo di esso un olismo (in cui ogni parte risulta eguale a se stessa) suscettibile di trasformare il progresso di cui parla san Paolo in una «tautologia» in cui né il pensiero né l'azione siano in grado di muoversi dalla posizione iniziale, nonostante la conclamata «dialettica» che resta per questo soltanto un'illusione. Che il chiarimento di Leone XIII colga nel segno è la stessa storia del socialismo a mostrarlo quando fallisce nel momento in cui tenta di realizzarsi in modo autonomo e alternativo alla democrazia. Ciò equivale a dire che la democrazia male si intende e peggio si realizza quando la si vuole costruire non solo contro ma anche solo indipendentemente dal cristianesimo. Davanti a questa esigenza si arrestano però molti, compreso lo stesso Mazower, che mai comprende la religione, con il suo grado di penetrazione e di influenza nella vita dell'uomo e della società, tra i fattori della storia contemporanea. È comprensibile ed anzi in qualche modo giustificabile la reticenza dell'A., che su questo punto ha ben presente, come gli storici del nostro tempo, i guasti e gli orrori delle guerre religiose intercristiane che hanno insanguinato l'Europa nel Cinquecento e nel Seicento. È anzi comprensibile come, secondo queste considerazioni, anche i responsabili culturali, politici ed economici dell'Europa e, più in generale, del mondo che fu arato dal cristianesimo abbiano diffidato delle proposte in questo senso che sono venute prima da Leone XIII e poi, cinquant'anni più tardi, da Pio XII. Ma ormai, per quanto riguarda la Chiesa Cattolica, il Concilio Vaticano II ha persuasivamente chiarito come il messaggio cristiano confluisca per via diretta nella sfera spirituale che è propria della Chiesa e per via indiretta nella sfera della vita civile con lo stesso metodo che è quello dell'amore che, concretamente, è quello del rispetto attivo per tutti gli uomini, per ogni uomo che viene sulla terra, e per tutte le sue esigenze. L'apporto del Cristianesimo D'altra parte, una proposta «spessa e viva» che viene da un contenuto concreto e incarnato come il cristianesimo non può essere sostituita in alcun modo dal ricorso della libertà, di cui si dimentica troppo facilmente che è un vettore che, se è via necessaria di perfezione per il vero e per il bene, può anche condurre al dispotismo e alla distruzione quando sia contraddittoriamente assolutizzata a favore di posizioni particolari. Lo dimostra la storia di quei totalitarismi che Mazower ha così bene descritto nel suo volume. Rosvita: il grande teatro di una suora del Medioevo Rosvita Dialoghi drammatici Garzanti A distanza di quindici anni vengono riproposti ne «I grandi libri Garzanti» i Dialoghi drammatici di Rosvita con testo a fronte, introduzione, traduzione e note di Ferruccio Bertini. Composti in latino sul finire del primo millennio dalla canonichessa benedettina di Gandersheim, scoperti nel 1494 da Conrad Celtis nel monastero di s. Emmerano a Ratisbona e pubblicati nel 1501, vennero accolti con entusiasmo dai primi umanisti e dagli uomini del Rinascimento, entusiasmo destinato a rinnovarsi nel corso dei secoli. Si pensi ad Erasmo di Rotterdam o a Le piacevoli notti di Straparola e, nel Settecento, ad uno dei più grandi illuministi tedeschi, Johan Christoph Gottsched. Per l'Ottocento basti ricordare Anatole France che s'ispirò al dramma rosvitiano «Conversione della prostituta Taide» per la sua Thaïs, e per il Novecento è sufficiente accennare ai club sorti in onore di Rosvita a Londra e New York, nonché alle recite dei suoi drammi nella piazza della cattedrale di Gandersheim. Come scrive nella Prefazione ai Drammi, Rosvita — nata nello stesso anno 936 in cui Ottone I sale al trono di Sassonia — decide di cambiare genere letterario, passando dalle leggende ai drammi, nel timore che molti cristiani, attratti dal fascino e dallo stile di Terenzio, cui lei stessa si sentiva debitrice, abbandonassero la lettura dei testi sacri per dedicarsi a quelli profani e che, allettati dalla forma, finissero col provare eccessivo interesse per il contenuto. Nascono così i sei Dialoghi drammatici - «Conversione di Gallicano, comandante dell'esercito», «Martirio delle sante vergini Agape, Chionia e Irene», «Risurrezione di Drusiana e Callimaco», «Caduta e ravvedimento di Maria, nipote dell'eremita Abramo», «Conversione della prostituta Taide» e «Martirio delle sante vergini Fede, Speranza e Carità» — nei quali Rosvita fonde realtà e simbolo, fede e leggenda, elementi che, grazie all'amalgama di ingenuità e cultura, santità ed esperienza del peccato, conferiscono a queste «azioni» sacre e nel contempo pagane un innegabile ruolo di mediazione tra la drammaturgia del passato e quella cristiana. (francesco licinio galati) Rosvita, Dialoghi drammatici, Milano, Garzanti, 2000, pp. 313, L. 22.000 Per una didattica dei beni culturali Cosimo Laneve Pedagogia e didattica dei beni culturali La Scuola Appare opportuno leggere il libro tenendo presenti il Primo rapporto sull'economia dell'arte e dello spettacolo della Fondazione Agnelli, secondo il quale l'Italia oggi «possiede più di 40 milioni di opere d'arte», e il quadro delle nuove lauree triennali (tra le quali quella in scienze dei beni culturali) e delle specializzazioni previste dai provvedimenti di riforma dei corsi universitari. Osserva Cosimo Laneve, docente nell'Università di Bari e all'Istituto Suor Orsola di Napoli, nell'Introduzione (alla nota n. 10): «Nel novembre scorso hanno preso servizio 412 assistenti di museo. È una figura professionale inedita nella pubblica amministrazione: giovani specializzati che parlano bene l'inglese, conoscono perfettamente il museo che devono illustrare ai visitatori (...); ma assolutamente privi di competenze pedagogiche». Laneve, Nardelli, Pagano, Perla illustrano il concetto di bene culturale, affrontando in termini di dibattito l'aspetto estetico, quello storico e culturale, quello giuridico e della tutela; e soprattutto richiamano l'attenzione sulla necessità di diffondere una «cultura» dei beni culturali. La scuola si deve far carico del problema: ma occorre ricordare che la sua opera, anche la più adeguata, non è sufficiente. «È il mondo della “memoria” che deve condividere la responsabilità dell'educare. Spetta infatti a musei, biblioteche, archivi, pinacoteche, cineteche, teatri, fototeche ecc. migliorare la fruibilità dei Beni culturali, ma anche promuovere una didattica dei Beni culturali, mediante i laboratori, gli education service, gli atelier e così via» (p. 43). E gli autori ci accompagnano in un lungo viaggio nella memoria e nell'arte, nel territorio e nell'ambiente e nel paesaggio, nei luoghi dell'educare. Le prospettive affascinanti che ci lasciano intravedere fanno appello al senso di responsabilità di cittadini e di istituzioni. (francesco pistoia) Cosimo Laneve (a cura di), Pedagogia e didattica dei beni culturali, Roma, La Scuola, 2000, pp. 192, L. 30.000
I Quaderni de «L'OSSERVATORE ROMANO» I dieci volumi della collana dedicati al Grande Giubileo del 2000 N. 28 Verso il Grande Giubileo del 2000 Per una lettura della «Tertio Millennio adveniente» - Testo e commenti N. 37 MARCO IMPAGLIAZZO Gli Anni Santi nella storia 1300-1983 N. 44 ALFREDO MARRANZINI Lo Spirito Santo forza della Chiesa N. 47 Incarnationis Mysterium Bolla di Giovanni Paolo II per l'indizione del Grande Giubileo dell'Anno 2000 N. 51 Eucaristia Porta Santa Giubilare Presentazione di S. E. Card. Camillo Ruini (pp. 200 - L. 25.000) N. 35 ALFREDO MARRANZINI Il Grande Giubileo Cammino con Cristo verso il Padre sotto la mozione dello Spirito Ordinazioni possono essere effettuate presso Messaggero Distribuzione: PADOVA, via Orto Botanico, 11 - 35123 PD - Tel. 049658288 - Fax 0498754359 ROMA, via del Fontanile Arenato, 295 - 00163 RM - Tel. 0666166173 - Fax 0666167503 — MILANO, via Amendola, 7/A - 20096 Pioltello (MI) - Tel. 0292143585 - Fax 0292143611 Per informazioni rivolgersi a: UFFICIO Marketing & Diffusione – Tel. 06.69899470/471 - Fax 06.69882818 N. 41 ALFREDO MARRANZINI Gesù Cristo unico Salvatore del mondo ieri, oggi e sempre Spunti dal Vangelo di Giovanni N. 46 Nei «luoghi di Dio» Lettera del Papa sul pellegrinaggio ai luoghi legati alla storia della salvezza N. 50 Alle radici della fede e della Chiesa Il pellegrinaggio giubilare di Giovanni Paolo II nei «luoghi» di Dio: da Ur dei Caldei, al Sinai, alla Terra Santa N. 53 La Giornata Mondiale della Gioventù del Grande Giubileo del Duemila Testi e discorsi del Santo Padre e fotografie