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ERZA T PAGINA .<br />
PAGINA<br />
3 .<br />
L'OSSERVATORE ROMANO Sabato 27 Gennaio 2001<br />
Il 27 gennaio 1901 moriva a Milano Giuseppe Verdi<br />
Dalle vette del melodramma alla grande musica spirituale:<br />
un faro luminoso che ancora oggi brilla con straordinaria vitalità<br />
ANTONIO BRAGA<br />
Giuseppe Verdi, a cento anni dalla morte, resta<br />
personaggio centrale della storia della musica<br />
italiana. Si è esitanti nello scegliere da quale<br />
angolazione accentuare la sua importanza nel<br />
melodramma romantico, e non solo: giacché in<br />
lui confluirono i simboli della società italiana<br />
ottocentesca, quelli che gli italiani considerano<br />
positivi, e della sua grandezza a lungo si gonfiarono<br />
le retoriche allocuzioni fatte lui vivente, ed<br />
anche dopo la sua morte.<br />
Con la Prima Guerra Mondiale, a ragione ed<br />
a torto, fu il simbolo dell'antiwagnerismo, quindi<br />
degli umori antigermanici; poi, con il periodo<br />
fascista, si puntualizzò il suo ruolo di patriota.<br />
Dopo la Seconda Guerra, Verdi ha continuato a<br />
riempire i teatri non solo con i suoi melodrammi<br />
più eseguiti, ma anche con quelli che erano<br />
stati messi da parte. Alla fine del XX secolo egli<br />
è stato riascoltato in tutta la sua produzione.<br />
Tanto fervore, unito ad incessanti nuovi studi,<br />
di singoli studiosi o della Società Verdiana,<br />
sono il segno evidente che in suo nome tutti<br />
concordano, in Italia come nel mondo, nell'indicare<br />
un artista di prima grandezza, forse il<br />
maggiore rappresentante dell'opera italiana dopo<br />
il Monteverdi. Come quest'ultimo segnò l'inizio<br />
del melodramma, datato 1600, così quello<br />
morto trecento anni dopo, nel 1901, ne ha rappresentato,<br />
in certo senso, la fine: almeno per<br />
quanto riguarda lo spettacolo popolare, basato<br />
sulla linea melodica, offerta dall'Italia al mondo<br />
da una miriade di ugole d'oro.<br />
Tirando le somme oggi, a cento anni dalla<br />
sua compianta scomparsa, ne dobbiamo affermare<br />
la straordinaria vitalità, ed anche — per<br />
alcune sue melodie —, l'epigrafica attualità del<br />
ricordo storico. Attraverso lui, noi posteri vedia-<br />
mo quello spaccato del<br />
pensiero italiano romantico<br />
che ci piace immaginare,<br />
fatto di idealismo, di sentimenti<br />
forti e nobili, di<br />
quell'arte cristallina che ci<br />
aiuta a rafforzare il quotidiano<br />
impegno contro le<br />
volgarità, le bassezze e le<br />
ipocrisie del nostro tempo.<br />
Una simile figura, che si<br />
rafforza nella lettura delle<br />
sue vicende biografiche —<br />
che sono quelle di un «liberale»,<br />
ossia di un laico che<br />
disprezza tutte le pastoie,<br />
le censure che limitano<br />
l'arte, ma che è fondamentalmente<br />
ancorato ai grandi<br />
principi morali e religiosi<br />
— resta ai nostri giorni,<br />
a noi attoniti osservatori<br />
del costume contemporaneo,<br />
come un faro luminoso,<br />
un punto d'arrivo per<br />
seguire il cammino verso<br />
la bellezza della musica, e<br />
quindi della riflessione che<br />
segue l'ascolto. È come un<br />
santo laico, un re del mon-<br />
do sonoro, visto come punto di approdo dei più<br />
nobili sentimenti. Solo ventitré anni dopo, moriva<br />
Puccini: e quell'opera «verista» che aveva visto<br />
in lui l'ultimo campione della melodia italiana.<br />
Poi, l'opera imboccava la temuta strada<br />
dell'«imbarbarimento» sotto l'urto delle nuove<br />
estetiche provenienti dal resto d'Europa, e perdeva<br />
quel fascino di spettacolo «per tutti» che<br />
aveva raggiunto nel XIX secolo.<br />
Già un secolo prima, grazie al connubio tra<br />
canto popolare e rifacimento colto, l'«opera buf-<br />
fa» italiana aveva fatto discendere dal piedistal-<br />
lo aulico l'opera seria, cara alla vecchia<br />
aristocrazia. E, si noti bene, il<br />
maggiore esponente di quel teatro, era<br />
morto esattamente un secolo prima del<br />
Nostro, l'undici gennaio del 1801: Domenico<br />
Cimarosa aveva, con il suo<br />
«Matrimonio segreto», concluso il cammino<br />
dell'opera buffa «napoletana» del<br />
XVIII secolo. Opera a cui il Verdi sicuramente<br />
pensò, quando già quasi ottantenne<br />
scrisse il «Fastaff», indicando il<br />
cammino della «nuova» opera buffa.<br />
Del Verdi «contadino», nato alle Roncole<br />
di Busseto, presso Parma, il dieci<br />
dicembre del 1813, si è detto quasi tutto.<br />
Più che contadino, il mondo semplice<br />
e sereno in cui nacque, era quello<br />
artigiano, giacché il padre gestiva una<br />
modesta locanda con annesso negozio<br />
di alimentari. Nessun antenato musicista:<br />
ma suo padre Carlo, si riforniva di<br />
derrate dal grossista Antonio Barezzi,<br />
uomo appassionato di musica, e capo<br />
della Società Filarmonica della cittadina:<br />
in quella zona, che è tra le più fertili<br />
di buoni «dilettanti» di musica.<br />
Questo sottile filo che legava il commercio<br />
del padre con quello del Barezzi,<br />
si rivelò il prezioso punto di partenza<br />
del ragazzo, già da piccolo taciturno<br />
e più che introverso, attento ascoltatore<br />
e buon lettore di libri. Infine, con l'acquisto<br />
della prima spinetta, entrava nel<br />
vivo della scelta musicale.<br />
IlBarezziimparavaatrattarlo sempre<br />
più come un figliolo suo, anche perché<br />
sua figlia Margherita aveva un debole<br />
per quel ragazzo di poche parole. Era<br />
necessario provare se le qualità musicali<br />
del giovane fossero davvero degne<br />
di interesse: e fu proprio il futuro suocero,<br />
il «dilettante» Barezzi, a mandarlo<br />
a Milano, perché l'istruzione musicale<br />
data al suo protetto fosse di qualità.<br />
Intanto, giungevano le prime risposte:<br />
pagine e pagine di pezzi per la banda<br />
locale, ouvertures, suites, sinfonie,<br />
rapsodie d'opere, ed altre forme, come<br />
ballabili e melodie, che mandavano in<br />
visibilio i suoi concittadini. Suonava<br />
Tito Ricordi e il musicista<br />
a Milano nel 1892<br />
anche l'organo in chiesa,<br />
oltre a dirigere i vari gruppi<br />
corali e strumentali; tutte<br />
attività che lo ponevano<br />
al centro dell'attenzione, e<br />
che ad altro sarebbero ampiamente<br />
bastate per vivere.<br />
Milano significava l'arte<br />
grande, quella che varca i<br />
confini di casa, quella che<br />
lo avvicinava ai grandi nomi<br />
del momento: Rossini,<br />
Bellini e Donizetti, in primo<br />
luogo. Lo scontro con<br />
quell'ambiente gli diede le<br />
prime delusioni: somma<br />
tra tutte, il rifiuto di accoglierlo<br />
al Conservatorio, da<br />
parte dei maestri giudicanti:<br />
episodio ingigantito nella<br />
memoria del frustrato<br />
giovane, poi radicato in<br />
fondo ai suoi pensieri, sino<br />
a spingerlo, in età matura,<br />
al rifiuto di far apporre il<br />
suo nome a quella Scuola. I rancori del Verdi<br />
«contadino» furono altrettanto forti quanto i<br />
suoi gesti di bontà e di solidarietà umana; ma<br />
era comprensibile che il giovane, ancora «dilettante»,<br />
e modesto pianista, non avesse le qualità<br />
per affrontare gli studi accademici, almeno nella<br />
considerazione degli aulici maestri.<br />
Daquesti rancori, che definirono presto il suo<br />
carattere, ne uscì col tempo solo per la presenza<br />
colta e discreta della Strepponi, sua seconda<br />
moglie.<br />
Per il momento, era necessario tornare a casa,<br />
rinunciando ai sogni di gloria. Tuttavia, un<br />
evento lo tenne agganciato a Milano, prima di<br />
Una recente raccolta di saggi di John Ronald Reuel Tolkien<br />
Quel filo che lega la fantasia al Medioevo<br />
ANDREA COLOMBO<br />
La fantasia ormai è diventata un gigantesco affare:<br />
perfino Il Signore degli Anelli di Tolkien, la saga della<br />
«terra di mezzo» scritta dal filologo di Oxford che<br />
amava descrivere le avventure di draghi, elfi e gnomi,<br />
dopo il lungometraggio a cartoni animati, sta<br />
per essere immortalato in un film hollywoodiano.<br />
Eppure, in origine, la «fantasy», ossia quel genere<br />
letterario del '900 che riportò alla ribalta miti antichi<br />
e inventò i mondi nuovi della fantascienza non era<br />
certo un affare da botteghini. Era piuttosto un'operazione<br />
culturale complessa che tentava di riabilitare<br />
quella fantasia detronizzata nei secoli dominati dal<br />
razionalismo e dall'illuminismo. All'interno di quest'operazione,<br />
sin dagli anni Trenta, ha giocato un<br />
ruolo fondamentale John Ronald Reuel Tolkien.<br />
L'autore del Signore degli Anelli, snobbato dai letterati<br />
di professione, e amato dai lettori piccoli e<br />
grandi di tutto il mondo (tanto che è diventato uno<br />
scrittore famosissimo, con club e associazioni a lui<br />
dedicati) fu soprattutto un creatore di favole, con un<br />
solido bagaglio culturale, radicato nello studio della<br />
letteratura medioevale nordica. Tutt'altro quindi che<br />
uno scrittore improvvisato e senz'arte, come alcuni<br />
critici hanno voluto far credere. Quest'aspetto dell'attività<br />
del narratore inglese emerge chiaramente<br />
dalla raccolta di saggi, fresca di stampa, intitolata «Il<br />
medioevo e il fantastico» (Luni editrice). Nelle pagine<br />
dedicate alla letteratura medioevale, all'arte del<br />
tradurre, alla funzione delle fiabe nella modernità, si<br />
svela la visione del mondo del «cantastorie» della<br />
«terra di mezzo».<br />
Come si evince dal titolo della raccolta se la fantasia<br />
è il motore della creatività tolkeniana, il punto di<br />
riferimento storico è invece il medioevo. Punto di<br />
partenza e di arrivo per il filologo inglese: un momento<br />
storico in cui, nell'Europa cristiana, avviene il<br />
passaggio dalla mitologia pagana al messaggio evangelico.<br />
È proprio in questo riferimento costante al<br />
Una pagina autografa di «Falstaff»<br />
partire: l'aver diretto tre<br />
esecuzioni della «Creazione»<br />
di Haydn, con discreto<br />
successo. Il direttore della<br />
Filarmonica milanese, il<br />
Masini, gli offrì il libretto<br />
dell'«Oberto conte di San<br />
Bonifacio», che il musicista<br />
mise in tasca prima di tornare<br />
a casa. Il ritorno, che<br />
durò tre anni, fu come una<br />
ascesa al successo locale:<br />
nominato direttore della<br />
banda, compositore comunale,<br />
organista della chiesa<br />
dei Francescani, ebbe modo<br />
di inondare la sua terra<br />
di musica sua. E nel '35<br />
sposava la cara Margherita,<br />
che in due anni gli diede<br />
due bambini.<br />
In tanta ammirazione,<br />
con una vita serena, egli<br />
non si sentiva appagato.<br />
Pensava a Milano, voleva<br />
rifarsi della sconfitta, come<br />
egli la considerava, dell'ambiente<br />
milanese. Il libretto<br />
dell'«Oberto» fu il<br />
suo passaporto per tentare<br />
di nuovo la sorte. Coprì di note quelle parole,<br />
con una musica che cancellava, rifaceva, spiava<br />
nei suoi effetti. Voleva vincere.<br />
La sua gente lo spingeva a tentare: era con<br />
lui, compatta, affettuosa. Aveva già venticinque<br />
anni, doveva far presto. A quel tempo, un musicista<br />
iniziava prima dei vent'anni o subito dopo:<br />
oppure mai. Con moglie e figli, aiutato dal<br />
suocero, prese la volta di Milano, con la partitura<br />
dell'«Oberto» nel bagaglio.<br />
Nel nome di Oberto s'aprì non tanto il successo,<br />
quanto il destino del compositore. Giu-<br />
Il contratto<br />
firmato nel 1839<br />
da Verdi e da Ricordi<br />
per l'«Oberto conte<br />
di San Bonifacio»<br />
seppina Strepponi, di due<br />
anni più giovane di lui, era<br />
molto cara all'impresario<br />
della Scala, Merelli. Voce<br />
ottima, coltissima (era figlia<br />
del compositore Feliciano<br />
Strepponi), impose la<br />
sua volontà, e fece eseguire<br />
l'opera per una serata di<br />
beneficenza. Il successo<br />
d'incoraggiamento, aprì le<br />
porte della Scala al giovane<br />
maestro, che fu ingaggiato<br />
per altre due opere: la prima,<br />
buffa, dal titolo «Il finto<br />
Stanislao».<br />
Ma una somma di disgrazie,<br />
sopravvenute dopo<br />
la firma con l'editore Ricordi,<br />
ridusse la vita di<br />
Verdi un cimitero: dall'aprile<br />
al giugno del nefasto<br />
1840 morirono la dolce moglie<br />
e i due figli, mentre ur-<br />
geva lavorare per l'opera<br />
buffa. Quello fu il più terribile insuccesso della<br />
sua vita. Che sollevò anche pena e solidarietà,<br />
in special modo nella Strepponi, che sentiva<br />
verso di lui un sentimento profondo d'amicizia,<br />
che lentamente divenne amore.<br />
Verdi tornò a Busseto, abbracciò il suocero,<br />
cercò di inserirsi tra la sua gente. Non riuscì:<br />
tornò a Milano, vagando attorno al portico della<br />
Scala (non vi era ancora la Galleria, e la piazza<br />
aveva tutt'altro aspetto). Ed in questo quadro,<br />
s'inserì la favola: Merelli incontra Verdi sotto la<br />
neve, gli mette in tasca il libretto del «Nabuccodonosor»,<br />
appena rifiutato dal Nicolai (autore<br />
delle «Allegre comari di Windsor», antenata del<br />
«Falstaff»). Lo stesso compositore ha scritto del<br />
«miracolo» avvenuto: a casa, alla luce di una<br />
candela, si apre la pagina con le parole del coro<br />
«Va', pensiero...».<br />
Una strana febbre s'impossessa del giovane,<br />
teso al riscatto. Inizia a mettere in musica il libretto.<br />
Per la musica, pensa a qualcosa di simile al<br />
«Mosé» del grande Rossini. Il resto è noto: il<br />
«Nabucco» (come venne detto subito) fu il primo<br />
trionfo di Verdi, l'inizio del suo cammino, il<br />
salto di qualità tanto covato in silenzio. Il Solera,<br />
autore di quel testo, viene subito ingaggiato,<br />
da Merelli e dall'editore Ricordi, ormai decisi a<br />
puntare su di lui, a scrivere «I Lombardi alla<br />
Prima Crociata», dove risuona il coro «O Signor,<br />
che dal tetto natìo...». Altro successo.<br />
Dal 1842 al '49, è un flusso continuo di melodie,<br />
di opere che accendono sentimenti profondi,<br />
che fanno urlare il pubblico. Sale ogni anno<br />
di più nella scala dei valori artistici, strappa il<br />
primato a quei compositori che lo hanno preceduto:<br />
Rossini ormai tace da un ventennio e vive<br />
a Parigi circondato di gloria; Bellini è morto nel<br />
'35, e Donizetti agonizza in una clinica per malati<br />
di mente, finché muore compianto nella<br />
sua Bergamo. Attorno a lui, colgono allori Mercadante<br />
e Pacini; molti altri sopravvivono lo<br />
spazio di un mattino.<br />
«Anni di galera», li definisce lui, perché costretto<br />
a scrivere in fretta, a raffinarsi senza<br />
uno spazio pacifico per la meditazione. Eppure,<br />
lo fa: «Ernani», «Macbeth» sono le punte di diamante.<br />
Oggi, si scopre che anche le altre opere erano<br />
degne di essere apprezzate: «I due Foscari»,<br />
«Giovanna d'Arco», «Attila», «I Masnadieri», «La<br />
battaglia di Legnano», «Il Corsaro», «Alzira»,<br />
«Luisa Miller», «Stiffelio», solcano tanti teatri,<br />
da Londra a Venezia a Napoli. La Scala viene<br />
abbandonata, e non vi tornerà che per una<br />
«première» alla fine della carriera, con «Otello»<br />
La casa natale<br />
di Verdi<br />
in un dipinto<br />
di Angelo Formis<br />
medioevo che si può trovare il filo d'Arianna dei bestseller<br />
tolkeniani, dall'Hobbit al Silmarillion.<br />
Così, nelle riflessioni sul poema in inglese antico<br />
«Beowulf», Tolkien scrive che in quei versi, «il Caino<br />
di indubbia ascendenza scritturale è connesso con<br />
eotenas (giganti) e ylfe (elfi). Ciò non è dovuto a una<br />
mera confusione — è piuttosto un'indicazione del<br />
punto preciso in cui l'immaginazione si accese meditando<br />
il vecchio e il nuovo. In questo punto la nuova<br />
Scrittura e la vecchia tradizione si toccarono e presero<br />
fuoco». Individuato il passaggio dal mito pagano<br />
al messaggio cristiano, Tolkien vede in un medioevo<br />
idealizzato quell'età, non certo oscura, che, come<br />
scrisse Regine Pernoud, «aveva visto dischiudersi il<br />
lirismo, sbocciare la letteratura romanzesca e innalzare<br />
le cattedrali di Chartres e Reims».<br />
È in questo contesto che Tolkien traccia il suo elogio<br />
dell'immaginazione, animato da un fondamento<br />
teologico stringente: «La fantasia — scrive — resta<br />
un diritto umano. Noi creiamo a nostra misura e secondo<br />
la nostra modalità derivata, perché siamo stati<br />
creati: e non soltanto creati, ma creati a immagine e<br />
somiglianza di un Creatore». Quindi, da questo punto<br />
di vista, l'uomo, in quanto immagine di Dio, può<br />
diventare, se sviluppa le sue potenzialità, un «subcreatore».<br />
Un creatore di favole appunto: non vane<br />
illusioni, per lo scrittore inglese, bensì sapienti guide<br />
nella realtà. Inventando (e riprendendo dall'antica<br />
mitologia nordica) personaggi immaginari, Tolkien è<br />
convinto di poter descrivere al meglio la realtà e indicare,<br />
in quei grandi affreschi dove va di scena l'eterna<br />
lotta fra le forze del bene e quelle del male, la<br />
via da seguire per non perdersi nei meandri del<br />
«mondo» (nel senso giovanneo del termine, come<br />
tentatore e pericoloso).<br />
In questi scritti Tolkien traccia una vera e propria<br />
«filosofia della fiaba», dove i racconti frutto della fantasia<br />
diventano strumenti per riscoprire, con «una<br />
chiara visione», la realtà, evadere dal «mondo» (inteso<br />
appunto come peccato e male) e consolarsi nella<br />
certezza del lieto fine di tutti gli eventi.<br />
e «Falstaff», le due opere scritte in collaborazione<br />
con il «milanese» Arrigo Boito.<br />
Esce dalla strettoia di lavoro quando può dire<br />
«basta!» a quell'affannoso obbedire ai teatri, all'editore.<br />
Ma lo fa in maniera impercettibile,<br />
quando soggetti a lui pienamente congeniali gli<br />
sono dati, con vero spirito di servaggio, da<br />
Francesco Maria Piave, o da Salvatore Cammarano.<br />
Egli li tortura con una quotidiana corrispondenza,<br />
a volte tenendoli presso di sé — in<br />
specie il Piave — in un dialogo che non permette<br />
fughe: perché egli sa quello che vuole, ma<br />
non sempre trova la parola giusta o la rima.<br />
Il Verdi «contadino», ormai ricco e proprietario<br />
della tenuta di Sant'Agata, suo rifugio preferito,<br />
paga il suo scotto alla iniziale povertà di<br />
cultura,sopratuttoletteraria,chenon ha potuto<br />
avere da giovane. Il Piave gli fa da spalla, lo accontenta,<br />
con una devozione, una umiltà, che<br />
fanno di lui il capro espiatorio del musicista,<br />
ma anche il compartecipe dei trionfi di quel<br />
grande.<br />
Egli procedeva d'istinto nella scelta degli argomenti:<br />
la sua corrispondenza porta in primo<br />
piano questo incessante lavorìo d'idee e di soggetti.<br />
Dopo tutte le opere precedenti, aveva saggiato<br />
il terreno, sapeva cosa lo avrebbe infiammato<br />
e quali sirene respingere. Così, dopo aver<br />
percorso il labirinto di cento storie, messe presto<br />
da parte, s'imbatté in quella che aveva destato<br />
tante battaglie in Francia, nei circoli letterari:<br />
«Le roi s'amuse» ovvero, per suggerimento<br />
di un censore veneziano (l'opera era scritta per<br />
Venezia) «Rigoletto».<br />
Il «Triboulet» di Victor Hugo si trasformava<br />
nell'italico Rigoletto. Coronava il tutto la canzonetta<br />
«La donna è mobile», dal repentino successo<br />
in tutto il mondo. La Corte di Mantova<br />
sostituiva quella francese, invisa alla censura:<br />
La stanza di Verdi all'Hôtel de Milan<br />
in Francia, per il timore che si pensasse all'imperatore,<br />
il dramma di Hugo fu proibito su tutti<br />
i teatri. Hugo vide con invidia trionfare la figlia<br />
proibita del suo testo, l'opera italiana che gli<br />
strappava la fama. Ed a Parigi, finché egli fu vivo,<br />
come in tutta la Francia, questa grande<br />
partitura non fu ascoltata.<br />
Dopo il teatro francese, lo spagnolo: «Il Trovatore»<br />
si trasferì a Roma e fu accolto con un<br />
trionfo memorabile. Tutto l'armamentario romantico<br />
è presente in questa storia, unita a melodie<br />
infocate ed esaltanti: «Di quella pira...» infiammò<br />
tutte le platee nel mondo. Ciò avveniva<br />
Le fiabe, in contrapposizione alle tragedie pagane,<br />
sono secondo Tolkien racconti dell'uomo che assumono<br />
come modello il racconto divino per eccellenza,<br />
il Vangelo, la Buona Novella. «La consolazione<br />
delle fiabe — scrive il filologo — l'improvviso capovolgimento<br />
felice è una grazia improvvisa e miracolosa.<br />
Non nega l'esistenza del dolore e del fallimento:<br />
la possibilità che ciò si verifichi è necessario alla<br />
gioia della liberazione; essa nega la sconfitta finale e<br />
universale, ed è in quanto tale un evangelium, che<br />
fornisce una visione fuggevole della gioia, quella<br />
gioia oltre le muraglie del mondo».<br />
I modelli letterari di Tolkien rimangono quelli delle<br />
sue letture d'infanzia quando, orfano povero nell'Inghilterra<br />
vittoriana di fine '800, scopriva i poemi<br />
epici e cavallereschi. Non vi è cenno in questi saggi<br />
dei dibattiti in corso nella letteratura anglosassone<br />
dell'epoca (la polemica di T.S. Eliot e dei poeti d'avanguardia<br />
contro il romanticismo per esempio) e i<br />
pochi riferimenti al presente sono quasi tutti negativi.<br />
Sarebbe, d'altronde, vano cercare riferimenti letterari<br />
contemporanei in un autore che idealizzava il<br />
medioevo e, in questo sì, si professava quindi come<br />
l'ultimo dei romantici. Tuttavia, nonostante l'impostazione<br />
tradizionalista di Tolkien, la sua opera rimane<br />
oggi, paradossalmente, più attuale che mai.<br />
A conclusione di una vita trascorsa a raccontare le<br />
meraviglie di un mondo immaginario, nel tempo libero<br />
lasciato dall'insegnamento di filologia nella prestigiosa<br />
oxfordiense, il Peter Pan della letteratura osservava:<br />
«Il regno delle fiabe è vasto, profondo, eminente<br />
e colmo di molte cose: vi si trovano animali e<br />
uccelli di ogni genere; mari sconfinati e stelle innumerevoli;<br />
bellezza che incanta e pericolo onnipresente;<br />
gioia e dispiacere taglienti come spade. Un uomo<br />
può, forse, ritenersi fortunato di avervi vagabondato,<br />
ma sono proprio la sua ricchezza e la sua stranezza<br />
a legare la lingua di un viaggiatore che volesse riferirle.<br />
E mentre egli si trova là, è pericoloso porre<br />
troppe domande, perché i cancelli si potrebbero<br />
chiudere all'improvviso, e perdersene le chiavi».<br />
a partire dal 1851, fino al '53. In quell'anno nasceva<br />
a Venezia «La Traviata», tratta da un altro<br />
dramma francese, di Dumas: «La Signora<br />
delle camelie». Una storia d'amore, un poeta ed<br />
una fanciulla morta precocemente del «mal sottile»,<br />
che fu quello che falciò il maggior numero<br />
di esseri umani nell'Ottocento.<br />
Non fu un successo, al primo apparire: una<br />
tubercolotica impersonata da una cantante bene<br />
in carne! E, sopra tutto, una protagonista «immorale»,<br />
che non sapeva vivere secondo i cànoni<br />
giusti. Anche se la morte la riscattava dal<br />
peccato, nel perdono divino. Eppure, questa risorta<br />
«Traviata» oggi è un pilastro del teatro<br />
musicale. Ancora una volta, Verdi non aveva<br />
sbagliato, a seguire il suo istinto.<br />
Dopo questa trilogia «romantica» sembrò al<br />
Nostro difficile superarsi: ma non si scoraggiò.<br />
Tecnica e maturazione artistica potevano sopperire<br />
alla geniale virata di bordo. L'eclettica partitura<br />
del «Vespri siciliani» risente del clima parigino<br />
del «grand-opéra», vi aleggia lo spirito<br />
grandioso ed esteriore di Meyerbeer, idolatrato<br />
dai francesi a lui contemporanei.<br />
«Simon Boccanegra» compare col suo triste<br />
dramma, ancora a Venezia, senza raggiungere<br />
la fama delle consorelle. «Il ballo in maschera»<br />
lo trasse a Roma, poi a Genova: città che in<br />
vecchiaia diveniva la sua residenza sul mare<br />
preferita. Con lui sempre, come un'ombra, la<br />
carissima moglie, «Peppina», la compagna da<br />
una vita, Giuseppina Strepponi.<br />
E con lei si traveste da «lupo della steppa»:<br />
una fotografia da Pietroburgo li ritrae comicamente<br />
infagottati in pellicce e colbacchi russi: è<br />
la creazione della «Forza del destino», presa da<br />
un dramma spagnolo abbastanza complicato,<br />
come piaceva a quei tempi. Quel dramma farraginosoproduce<br />
una musica eclettica, con la presenzadifra'Melitone,<br />
grande intuizione che precede<br />
il «Falstaff». Corre poi a Parigi per un altro<br />
dramma di ambiente spagnolo, ma tratto da<br />
Schiller, il «Don Carlos», più volte rimaneggiato,<br />
nelle due versioni in francese ed in italiano.<br />
Tutto questo lavoro — davvero instancabile<br />
— rende il Nostro un monumento di sé stesso<br />
già in vita. Accetta questo ruolo senza falso orgoglio,<br />
e neppure senza falsa umiltà. Il suo<br />
cammino ormai s'intreccia, a livello europeo,<br />
con un oppositore che è il suo esatto contrario,<br />
Richard Wagner. Eppure, i due grandi si scrutano<br />
senza toccarsi.<br />
Nascono i wagneriani ed i verdiani, due categorie<br />
sempre più rissose e determinate, in Italia<br />
ed in Europa. La Francia sta in mezzo, ma dopo<br />
la morte di Meyerbeer non ha che Gounod:<br />
ne beneficia il «Faust» di questi, che sulle scene<br />
dell'Opéra galoppa in pochi decenni verso la<br />
millesima rappresentazione.<br />
Con l'apertura del canale di Suez, opera del<br />
Lesseps, la Francia, non potendo prendere uno<br />
dei suoi musicisti, chiama Verdi: sarà «Aida» su<br />
un soggetto pseudo-egizio del Mariette, steso dal<br />
Du Locle in francese, e dal Ghislanzoni in italiano.<br />
Quest'opera è il trionfo della musica da<br />
«grand-opéra»:nulladi tanto semplice e grandioso<br />
come la marcia trionfale, o di tanto geometricamente<br />
perfetto quanto la scena del trionfo.<br />
Ma, dietro di quelle scene, il dramma umano<br />
di Aida si sente come nuovo, avvolto da una<br />
palpitante vita melodica e brillante di una stupefacente<br />
strumentazione. La tenzone col Wagner<br />
sembra avere apportato i suoi frutti: alcuni<br />
contemporanei già parlano di lui come «wagneriano».<br />
Oggi sappiamo che non era così; ma che<br />
il Nostro aveva saputo rinnovarsi, accettare alcuni<br />
suggerimenti scaturiti dalla rivoluzione<br />
wagneriana, restando sé stesso.<br />
L'avvicinamento ad Arrigo Boito è il momento<br />
successivo, quello che gli darà negli ultimi<br />
anni la possibilità di perfezionarsi ancora e di<br />
aprire le porte del nuovo melodramma<br />
italiano: «Otello» e «Falstaff», nate da<br />
quella collaborazione, sono, nel nome<br />
di Shakespeare, le grandissime partiture<br />
che vengono nel segno della estrema<br />
perfezione, del raffinamento completato.<br />
Il vegliardo ha ottant'anni nel '93,<br />
quando si affaccia al proscenio della<br />
Scala a ringraziare un pubblico delirante,<br />
formato in gran parte dagli italiani<br />
che si sono andati formando, una<br />
generazione dopo l'altra, al suono dei<br />
suoi canti. Gli ultimi anni passano nel<br />
chiudersi in sé stesso, tra pochi e fedeli<br />
amici. La gloria si ferma fuori dal cancello<br />
di Sant'Agata, dove si rifugia con<br />
la sua «Peppina». Altra donna lo serve,<br />
a fianco della cara moglie: è Teresa<br />
Stolz, accettata come una fresca mano<br />
che aiuta il vegliardo a superare le ansie<br />
della vecchiezza. La cantante e donna<br />
incantevole si avvicina al Maestro,<br />
sta ai suoi piedi, gli offre compagnia,<br />
anche dopo la scomparsa della carissima<br />
«Peppina».<br />
È il momento di prepararsi al pensiero<br />
della morte: già la «Messa da Requiem»<br />
per la morte di Alessandro<br />
Manzoni, altro vegliardo da lui amatissimo<br />
e venerato, aveva, dopo «Aida»,<br />
aperta la via alla grande musica spirituale.<br />
La religiosità dell'uomo è fuori<br />
discussione: il suo intimo colloquio con<br />
il Creatore si completa negli ultimi<br />
giorni con alcuni pezzi sacri, che rivelano<br />
il suo credo cristiano, profondamente<br />
in lui radicato.<br />
La sua preghiera si unisce a quella<br />
che egli definì «la sua opera più bella»:<br />
la Casa di Riposo per i Musicisti, fatta<br />
da lui erigere a Milano, ed erede dei<br />
suoi diritti d'autore. Sicuramente ad<br />
essa pensò, quando rese lo spirito a<br />
Dio, nella notte tra il 26 ed il 27 gennaio<br />
del 1901: si spense a pochi passi<br />
dalla Scala, nell'Hôtel de Milan, da lui<br />
preferito. La via sottostante era stata<br />
coperta da paglia, perché il calpestìo<br />
dei cavalli, trainanti le carrozze, non<br />
raggiungesse il Grande morente.