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L’ESISTENZA DI DIO<br />

Conoscenza di Dio naturale, soprannaturale, beatifica<br />

Quanto abbiamo detto fin qui si riferisce alla conoscenza di Dio naturale, cioè secondo la luce<br />

della nostra ragione.<br />

Dio però si può conoscere anche in modo soprannaturale, in un modo in questa vita e in un altro<br />

nella vita futura.<br />

In questa vita si conosce per mezzo della Rivelazione.<br />

S. Tommaso dice che ciò che conosciamo per scienza non lo possiamo avere sotto lo stesso<br />

aspetto, come oggetto di fede. Per conseguenza quando diciamo «Credo in Dio» più che esprimere un<br />

articolo di fede, secondo i Tomisti, esprimeremmo un presupposto della fede.<br />

Però quando pur presupponendo che Dio ha parlato, noi diciamo «Io credo in Dio» possiamo<br />

compiere questo atto di adesione a Dio sotto un altro aspetto. La ragione mi ha detto che Dio esiste, ma<br />

la sua parola me ne dà conferma e allora, anche riguardo, semplicemente alla sua esistenza, lo vengo a<br />

conoscere anche come Autore dell’ordine soprannaturale, ciò che la semplice ragione non mi dice.<br />

L’adesione diventa fermissima, più che sulla semplice conoscenza scientifica e anche questo è un aspetto<br />

differente.<br />

Né si dica che c’è un circolo vizioso. Avuta coi segni certissimi della Apologetica la certezza della<br />

esistenza di Dio e che Dio ha parlato, emettiamo l’atto di fede, basandoci, come abbiamo studiato, sulla<br />

sua autorità. La sua parola aggiunge una luce nuova che fa brillare più ancora al nostro intelletto la sua<br />

esistenza, e ci fa aggiungere una adesione con cui ci appoggiamo sicuramente sulla sua autorità.<br />

Perciò, quanto ha detto S. Tommaso resta vero: sotto un aspetto abbiamo la certezza con la<br />

nostra ragione che Dio c’è ed ha parlato: e qui siamo ancora nei preamboli della fede: e sotto un altro<br />

aspetto invece il credere in Dio diventa un vero e proprio atto di fede, come ci richiede la Chiesa nei suoi<br />

Simboli: «La fede cattolica è questa: che adoriamo un solo Dio» (Simbolo Atanasiano). «Credo in un solo<br />

Dio» (Simbolo Niceno-Costantinopolitano) «Io credo in Dio» (Simbolo Apostolico). Questo, come ogni atto<br />

di fede, è soprannaturale: 1) - perché emesso dall’intelletto sotto l’influsso della volontà aiutata dalla<br />

grazia; 2) - perché l’oggetto materiale è Dio; 3) - l’oggetto formale l’autorità di Dio che rivela; 4) - perché<br />

il fine è la vita eterna, cioè la visione intuitiva di Dio; 5) - perché quando la fede è formata l’anima che la<br />

emette è elevata nello stato di grazia.<br />

L’altra cognizione soprannaturale di Dio, la più perfetta per noi, è quella che avremo nella vita<br />

futura, e cioè la visione intuitiva o beatifica. Ma su questo punto non ci fermiamo, dovendola studiare<br />

nell’ultimo trattato.<br />

I NOMI DI DIO<br />

Dio è «incomprensibile e ineffabile» (Conc. Later. IV, D. B. 428), cioè con nessuna parola si può<br />

esprimere in modo adeguato. I nomi perciò che abbiamo detto, guidati dalla Ragione (Causa prima, Essere<br />

necessario, Atto puro, ecc.) come quelli che ci sono stati rivelati nella S. Scrittura, esprimono l’idea in un<br />

modo soltanto imperfetto e analogo. Essi, però, come attributi divini, non sono sinonimi, come<br />

pretendeva il Rabbino Mosè Maimonide, che, per difendere la semplicità divina diceva che tutti i nomi<br />

esprimono la semplicità divina sotto un unico aspetto.<br />

Così cadeva nel nominalismo puro che conduce all’agnosticismo. vero che Dio è Atto puro e la sua<br />

semplicità non ammette divisioni, ma la nostra intelligenza, non potendolo vedere come è in sé stesso, lo<br />

conosce con diversi modi di concepire. (Cfr. S. Th. 1, q. 13, a. 12). Quindi la diversità nel modo di<br />

conoscerlo proviene dalla debolezza della nostra intelligenza che analogicamente dalle perfezioni relative<br />

di quaggiù, considera Dio, assolutamente semplice in sé stesso, quasi per parti.<br />

NELL’ANTICO TESTAMENTO. La parola più antica usata dagli Ebrei e anche dagli altri Semiti è<br />

«EL» al plurale «ELOIM». Il plurale era usato non solo dai politeisti, ma a volte anche dagli Ebrei, come<br />

plurale di maestà, tant’è vero che poi mettevano il verbo e gli aggettivi al singolare. Significa: «Colui che<br />

è potente».<br />

Jehowah che secondo i competenti si deve pronunciare: Jahweh 1 , indica Colui che è, cioè che ha<br />

la pienezza dell’Essere senza nessun limite o dipendenza. Lo rivelò Dio stesso a Mosè quando gli comandò<br />

di portar via dall’Egitto gli Ebrei «Io sono Colui che sono. Poi disse: così dirai ai figli d’Israele:<br />

Colui che è mi ha mandato a voi.., questo è il mio nome in eterno, con questo sarò ricordato per tutte le<br />

generazioni» (Es. 3, 14 s.).<br />

1 Nella Scrittura ebraica antica non si segnavano le vocali, che furono poste più tardi dai «Masoreti». Di qui i due differenti<br />

modi di lettura. Notate nelle due parole le stesse consonanti.<br />

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