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324<br />

ESISTENZA DEL SACRAMENTO DELLA PENITENZA<br />

non ha dato né agli Angeli né agli Arcangeli»; e dopo aver detto che questo potere di legare è un vincolo<br />

che giunge fino alle anime conclude che «Dio ratifica la loro sentenza».<br />

Riguardo alla estensione del «potere delle chiavi» la Chiesa ha avuto sempre chiara la coscienza<br />

che si estendeva a tutti quanti i peccati. La testimonianza del Conc. di Nicea al principio del sec. IV, che<br />

fra poco porteremo, riguardo alla remissione di tutti i peccati, e quelle dei Ss. Cornelio e Cipriano a metà<br />

del III che affermano la remissione dei peccati concessa agli adulteri e agli omicidi, non sono una<br />

innovazione nella disciplina ecclesiastica, come vorrebbero i Protestanti e i Modernisti, ma piuttosto un<br />

richiamo a quella che è la dottrina apostolica.<br />

Alcuni autori cattolici asseriscono che nei primi due secoli la Chiesa, pur con la consapevolezza di<br />

poter rimettere tutti i peccati, tuttavia di fatto non assolveva coloro che avevano commesso certi peccati<br />

più gravi. (Così Funk, Battifol, Vacandard ecc.), Studi più approfonditi oggi, (Hurter, Galtier Boyer,<br />

Piolanti, ecc.) dimostrano che pure di fatto la Chiesa assolveva tutti i peccati. Solo in alcune Chiese<br />

particolari era invalsa disciplina più rigida, riprovata poi dal Conc. di Nicea.<br />

Come già nel I secolo gli Apostoli tenessero questa norma lo rileviamo dalla stessa S. Scrittura. A<br />

tutti i peccatori o concedono o promettono il perdono, purchè tornino a penitenza; anche per i peccati più<br />

gravi: vedi, ad esempio, il caso di Simon Mago (Atti 8,22-24); degli apostati e fornicatori (Ap. 2,21- 23);<br />

del peccatore di Corinto (2 Cor. 2,5); ecc.<br />

Nel II secolo Ermas, fratello di S. Pio I, scrisse un libro dal titolo «Il Pastore» che è tutta una<br />

esortazione ai peccatori alla penitenza. In esso è espresso ripetutamente il pensiero che qualunque<br />

peccato può essere rimesso per mezzo della Chiesa. Pure insieme a brani di difficile interpretazione<br />

questo concetto è manifestato tanto esplicitamente, che più tardi, Tertulliano, divenuto Montanista,<br />

tenterà di relegare fra gli apocrifi questo libro.<br />

Nel III secolo troviamo confermata questa dottrina dallo stesso Tertulliano e in due modi<br />

differenti: prima come Cattolico, poi come Montanista. E ci spieghiamo sotto quale aspetto differente.<br />

Come Cattolico scrisse il «De Paenitentia» in cui espressamente dice che «a tutti i delitti, commessi con<br />

la carne o con lo spirito, con l’azione o con la volontà» è promesso «il perdono per mezzo della<br />

penitenza» (4, 1-2).<br />

Enumera in particolare alcuni peccati, gravissimi e di tutti assicura la remissione per mezzo del<br />

ministero della Chiesa, chiamando la Penitenza un «secondo Battesimo», una «seconda tavola di salvezza»<br />

e dicendo: «Se credi che il cielo sia ancora chiuso ricordati che il Signore ha lasciato le sue chiavi a Pietro<br />

e per lui, alla Chiesa». (Scorpiace 10).<br />

Come Montanista ha scritto un altro lavoro, il «De pudicitia». Anche qui indirettamente ed anzi<br />

proprio per combatterla, ci dice quale fosse la dottrina e la pratica della Chiesa. Parlando di un certo<br />

Pontefice Massimo che è «Vescovo dei Vescovi» 1 , contraddicendo a quanto aveva asserito nel «De<br />

Paenitentia», si scaglia contro una sua frase, che diceva così: «Io rimetto a coloro che ne fanno penitenza<br />

i delitti di adulterio e di fornicazione».<br />

Nello stesso secolo S. Ippolito prete romano, che prima si era separato dalla Chiesa e poi vi aveva<br />

fatto ritorno subendo il martirio, nell’opera «Filosofumena» pure in mezzo ad errori, afferma la pratica<br />

della Chiesa di rimettere anche i peccati di omicidio e di infanticidio.<br />

S. Cipriano difende il ritorno alla Chiesa dei Lapsi, cioè di coloro che di fronte al martirio avevano<br />

apostatato. Questa era la pratica costante delle Chiese sia Romana che Orientali, pratica che non viene<br />

infirmata da qualche eccezione locale di rigore usato specialmente verso coloro che erano caduti nella<br />

apostasia una seconda volta.<br />

C) I documenti della Chiesa. Il Conc. di Nicea comanda di riammettere alla comunione con la<br />

Chiesa «i caduti nella persecuzione» e «tutti quelli che la chiedevano» (D. B. 55,27), senza fare eccezione<br />

per nessun peccato.<br />

Il Conc. di Trento definendo la Penitenza «un vero e proprio Sacramento, istituito da Gesù Cristo»,<br />

precisa che è «per i fedeli, quante volte dopo il Battesimo cadono nei peccati per riconciliarli con Dio» (D.<br />

B. 911). Definisce pure che le parole di Gesù «A chi rimetterete i peccati, ecc.» debbono essere intese<br />

riguardo alla potestà di rimettere o di ritenere i peccati nel Sacramento della Penitenza, «come sempre<br />

fin da principio ha inteso la Chiesa» (D. B. 915) e dalla potestà di predicare il Vangelo (D. B. 913); che solo<br />

il Sacerdote e non i fedeli hanno il potere di assolvere dai peccati (D. B. 920).<br />

S. Pio X ripete l’insegnamento nel decreto «Lamentabili» contro i Modernisti.<br />

1 In quel tempo questo titolo non si usava riservano al Sommo Pontefice, ma poteva venir dato anche a un Primate. Più<br />

probabilmente Tertulliano l’ha usato in questo senso per un Vescovo di Cartagine.

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