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Volume - Fondazione toscana sostenibile

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Su attivi (che rappresentano l’offerta di lavoro) da un lato e occupati dall’altro (rappresentativi<br />

della domanda) agiscono poi gli elementi rappresentati nei rettangoli bianchi<br />

dello schema che costituiscono i fattori che favoriscono od ostacolano l’equilibrio, aumentando<br />

o diminuendo la differenza fra le grandezze.<br />

In senso lato essi costituiscono le componenti della politica del lavoro ovvero la politica<br />

pensionistica, le politiche attive del lavoro (i servizi alla famiglia, il part-time), le politiche di<br />

welfare in genere. Da una parte riforme pensionistiche che introducano criteri più restrittivi,<br />

interventi di sostegno alle madri e ai padri che lavorano, attività formative particolarmente efficaci<br />

aumentano l’offerta di lavoro, dall’altra riduzioni dell’orario di lavoro o più ampia diffusione<br />

del part-time aumentano -a parità di monte ore domandate- il totale degli occupati.<br />

140<br />

8.2<br />

Crescita economica e produttività del lavoro<br />

Crescita economica e andamento della domanda di lavoro sono grandezze tra loro<br />

intimamente legate; in particolare è l’evoluzione del produttività del lavoro che definisce la<br />

quantità di lavoro necessaria per sostenere un determinato livello di valore aggiunto (implicitamente<br />

si assume una definizione impropria della produttività del lavoro misurata qui<br />

come rapporto tra valore aggiunto e unità di lavoro). Il legame, tuttavia, è tutt’altro che<br />

meccanico, dal momento che se è vero che, a parità di crescita, un maggior aumento<br />

della produttività del lavoro genererà un minor numero di posti di lavoro, è anche vero che<br />

un aumento più rapido della produttività spingerà il sistema ad essere più competitivo<br />

favorendone la crescita e quindi determinando, per questa via, l’aumento della domanda<br />

di lavoro.<br />

Un profilo di crescita economica, come quello delineato nel Capitolo 3, che, anche<br />

nelle ipotesi migliori (aumento del PIL attorno all’1,8% annuo), non è particolarmente brillante,<br />

avrebbe ricadute in termini di domanda di lavoro apprezzabili solo a condizione di<br />

una crescita della produttività del lavoro molto bassa. Una condizione questa tutt’altro che<br />

inverosimile visto che la tendenza di lungo periodo è stata proprio verso una costante<br />

riduzione del suo tasso di crescita, passato dal 2,6% medio annuo del decennio 1970-79<br />

allo 0,85% del decennio 1994-2003.<br />

Questa dinamica di lungo periodo, considerata spesso come una delle principali cause<br />

della graduale perdita di competitività dell’economia italiana, è in realtà riconducibile<br />

ad almeno due diversi fenomeni. Innanzitutto il fatto che il processo di terziarizzazione<br />

dell’economia incide in modo rilevante su tale andamento: il terziario è infatti un settore in<br />

cui la produttività del lavoro è sottoposta a dinamiche più lente (e così è stato negli anni<br />

passati). In effetti, se l’osservazione non la si limitasse al complesso dell’economia, ma la<br />

si estendesse a singoli settori, questa regola della tendenziale riduzione del ritmo di crescita<br />

della produttività non verrebbe sempre confermata.<br />

Inoltre, a partire dalla seconda metà degli anni novanta, il mercato del lavoro ha subito<br />

profonde trasformazioni andando verso una crescente flessibilità; ciò ha cambiato la base<br />

su cui viene calcolata la produttività, oggi rappresentata da lavoratori non equivalenti a

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