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Volume - Fondazione toscana sostenibile

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saper produrre a costi bassi ed essere flessibili, occorre anche disporre dei mezzi e delle<br />

competenze per attuare una sistematica politica di innovazione di prodotto e sviluppare strutture<br />

e politiche di collegamento e interconnessione a valle con i distributori ed i consumatori.<br />

Non si tratta di campi di attività alla portata delle comuni, più tradizionali, microimprese<br />

che popolano i nostri distretti, ma accessibili soltanto alle imprese che sono capaci di<br />

strutturarsi per uscire da una pura dimensione di unità di produzione.<br />

In questo quadro, la crescita dimensionale -soprattutto per vie esterne, tramite<br />

accorpamenti, fusioni e integrazioni tra imprese- viene a costituire una pre-condizione fondamentale<br />

per un disegno strategico di cambiamento del sistema industriale toscano. Solo<br />

le imprese che hanno certe dimensioni ed una struttura organizzativa adeguata riescono<br />

infatti a dotarsi di competenze qualificate, compiere investimenti in innovazione e marketing,<br />

ed esprimere una propria capacità di introduzione e presenza sui mercati internazionali.<br />

Non si tratta di prendere posizione pro o contro le piccole imprese ma di riconoscere<br />

consapevolmente che mentre prima, in un contesto competitivo favorevole, il “collettivo<br />

distrettuale” come tale poteva vincere, oggi ci vogliono al suo fianco, come sua parte integrante<br />

e sinergica, imprese che siano strutturalmente idonee a crescere e competere sul<br />

mercato globale.<br />

Far crescere dimensionalmente le imprese e favorire la nascita, con opportuni interventi<br />

di policy, di “imprese guida” non significa mettere a rischio il “capitale sociale” dei<br />

distretti. Piuttosto è una via da seguire per consentire la salvaguardia e valorizzazione del<br />

patrimonio distrettuale attraverso imprese che sappiano mettere in atto politiche di innovazione<br />

e politiche di marketing e comunicazione che non rientrano nelle facoltà né del ‘collettivo<br />

distrettuale’, né delle micro-imprese che ne fanno parte.<br />

La formula distrettuale della suddivisione del lavoro tra varie tipologie di piccole imprese,<br />

specializzate per singole fasi, mentre è stato un fattore vincente per l’organizzazione<br />

efficiente e flessibile della produzione, denuncia evidenti limiti nella sua applicabilità ai<br />

processi di innovazione, di marketing-distribuzione e di internazionalizzazione, per il semplice<br />

motivo che non sono tecnicamente frazionabili per fasi tra diverse piccole imprese<br />

distrettuali. Per questo, se si vogliono attivare tali processi che concorrono a formare e<br />

alimentare il “patrimonio immateriale”, che è cruciale per la competitività, è necessario<br />

puntare su dimensioni aziendali decisamente più elevate di quelle prevalenti e su imprese<br />

adeguatamente strutturate.<br />

La stessa delocalizzazione produttiva verso paesi con bassi costi del lavoro -dall’Europa<br />

dell’Est ai paesi del Nord Africa, per non parlare della Cina, dell’India e di altri paesi<br />

asiatici- può assumere valenze diverse a seconda dell’impresa che la pone in essere.<br />

Nell’ambito dei distretti le operazioni di delocalizzazione e outsourcing sono di frequente<br />

praticate da parte di imprese che mirano a ricercare al di fuori temporanei risparmi nei costi<br />

di produzione, mettendo anche a rischio la loro flessibilità ed elasticità nell’adattarsi al<br />

mercato. Si tratta a mio giudizio di espedienti con scarse possibilità di successo nel tempo<br />

mentre possono procurare facili arricchimenti a breve considerate le enormi differenze tra<br />

prezzi di acquisto e prezzi di rivendita dei prodotti provenienti da paesi terzi.<br />

Di fatto soltanto le imprese strutturate e con dimensioni adeguate stanno dimostrando<br />

di poter utilizzare, in modo appropriato e con benefici non limitati e transeunti, le opportu-<br />

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