Volume - Fondazione toscana sostenibile

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1.1 Le tendenze recenti nello scenario internazionale Negli ultimi 25 anni il commercio mondiale ha registrato tassi di crescita annuali molto variabili, tuttavia l’andamento di fondo è stato continuamente in aumento (Graf. 1.1). In particolare, gli anni novanta hanno rappresentato un periodo eccezionale dal punto di vista degli scambi commerciali tra paesi, favorito, da un lato, dalla espansione dell’economia statunitense e, dall’altro, dalla crescente presenza dei paesi dell’Asia, le cui economie hanno realizzato (e continuano a realizzare) incrementi particolarmente intensi. 16 14 12 10 8 6 4 2 0 -2 -4 1980 1981 1982 1983 1984 1985 1986 1987 Grafico 1.1 IL COMMERCIO MONDIALE NEGLI ANNI Tassi di variazione su anno precedente Fonte: dati OCSE 1988 1989 1990 1991 1992 Tutte le cose che ora si credono antichissime furono nuove [Tacito, Annali V] L’affermarsi dei paesi asiatici rappresenta senza dubbio, per caratteristiche e dimensioni, il fenomeno emergente degli ultimi anni; il rapido processo di industrializzazione che ha coinvolto tali paesi, ha inciso considerevolmente sulla loro offerta, ma anche sulla loro domanda, modificando i flussi di scambio del commercio mondiale. L’affacciarsi di queste economie nel commercio internazionale ha parzialmente modificato la divisione internazionale del lavoro, ridefinendo, a scala mondiale, il sistema dei prezzi relativi delle materie prime, dei beni manufatti finali, di quelli intermedi. In realtà, anche il Nord America ha contribuito positivamente all’espansione del commercio mondiale, a seguito di un periodo eccezionalmente lungo (circa 10 anni) di crescita dei consumi 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 37
e degli investimenti (stimolato dalla bolla della new economy), attivando in tal modo le esportazioni europee, favorite da un cambio che si è regolarmente apprezzato, perlomeno fino al 2001. Successivamente, la crescita USA è stata trainata dal doppio deficit (commerciale e pubblico), ma in presenza di un dollaro indebolito rispetto all’euro (Tab. 1.2). Nonostante il traino americano, tuttavia, la dinamica europea è rimasta contenuta anche prima dell’inversione del ciclo del 2001, imbrigliata dal processo di costruzione dell’unione monetaria e dalla conseguente particolare attenzione al riassetto dei conti pubblici. Tutto ciò ha certamente influito sull’evoluzione della domanda interna, che è rimasta di basso profilo, mantenendo l’economia europea ancora fortemente export led. Proprio per questo motivo la dinamica espansiva del PIL è ulteriormente rallentata a partire dal 2001, quando la svalutazione del dollaro -di quasi il 40% in tre anni- ha inciso in modo considerevole sulla competitività dei prodotti europei, in un periodo di accentuazione della concorrenza a livello internazionale. L’allargamento del commercio mondiale -avvenuto in larga misura all’interno delle aree regionali- ha condotto dunque a una redistribuzione delle quote a vantaggio dei paesi di nuova industrializzazione dell’Asia, che in effetti hanno assorbito gran parte della crescita del commercio mondiale. In queste condizioni di forti modifiche del quadro di riferimento, la perdita di quote relative non può, tuttavia, essere intesa di per sé come indice di perdita di competitività rispetto all’equilibrio precedente, dal momento che i nuovi paesi, proprio perché emergenti, hanno spazi di espansione ben più ampi. Vale la pena richiamare, a questo proposito, come una stessa crescita percentuale delle esportazioni abbia effetti sulla crescita del PIL ben diversi a seconda del grado di apertura delle diverse economie; un grado di apertura che è andato regolarmente aumentando negli anni con la crescente internazionalizzazione dell’economia mondiale. In effetti, questo processo dura oramai da decenni e sta conducendo a una costante intensificazione degli scambi, la cui crescita è rimasta regolarmente superiore a quella del PIL. Queste tendenze possono generare effetti di segno opposto: da un lato, l’aumento del peso delle esportazioni sulla domanda finale rende via via più incisivo uno stesso aumento percentuale delle esportazioni sulla crescita del PIL; dall’altro, l’aumento delle importazioni riduce l’effetto espansivo di uno stesso ammontare di domanda finale (di esportazioni). È dalla combinazione delle due diverse dinamiche che si può cogliere l’effetto moltiplicativo che l’internazionalizzazione ha giocato sulle singole economie. Nel caso dell’Italia, ad esempio, negli anni settanta, per avere un aumento del PIL dell’1% era necessario un aumento delle esportazioni vicino al 5%; oggi basta un incremento inferiore al 3%. 38 Tabella 1.2 TASSI ANNUI DI CRESCITA DEL PIL NEL PERIODO 1991-2004 Fonte: OCSE, IFM Mondo 3,5 Stati Uniti 3,3 7 Grandi paesi industrializzati 2,4 Giappone 0,9 UEM 1,8 Africa non mediterranea 2,2 Germania 1,2 America Latina 2,6 Francia 1,8 Europa Centrale 3,0 Regno Unito 2,7 Ex Unione Sovietica -1,6 Spagna 2,7 Cina e Subcontinente indiano 8,1 ITALIA 1,4 Paesi del Pacifico 4,8
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