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Volume - Fondazione toscana sostenibile

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penetrante: poche attività e poche imprese ne sono rimaste esenti. Non bisogna guardare<br />

solo alle imprese che sono uscite dal mercato, ma anche al fatto che rimanenti, per tutta<br />

una serie di motivi, hanno ormai il fiato grosso.<br />

Avere il senso della discontinuità che sta maturando è il primo passo per adottare una<br />

visione strategica, di lungo periodo, che cominci a lavorare su alcuni degli elementi di<br />

fondo del vantaggio competitivo locale e delle formule imprenditoriali. Non bisogna dimenticare,<br />

infatti, che queste formule hanno preso forma qualche decennio fa, quando la situazione<br />

era totalmente diversa.<br />

Il sentiero seguito finora, dunque, è diventato di fatto non più proponibile per il prossimo<br />

futuro. Come abbiamo detto, il “motore” della crescita non gira più, per due ragioni<br />

diverse e complementari:<br />

a) La crescita è implosa perché è finita la “benzina” dei fattori a basso costo, che alimentavano<br />

lo sviluppo quantitativo conosciuto in passato;<br />

b) la situazione internazionale è cambiata in modo radicale con l’arrivo di paesi emergenti<br />

che cominciano a fare cose non troppo dissimili da noi (anche di buona qualità), ma<br />

con costi del lavoro (e dell’ambiente) infinitamente minori.<br />

5. Crescita quantitativa addio<br />

La crescita quantitativa -che replica la stessa conoscenza molte volte, aumentando rapidamente<br />

il numero degli addetti e il numero delle imprese in un certo settore e in un certo<br />

luogo- rimane nella memoria dei più. Ma oggi è un riferimento illusorio, che non ha futuro.<br />

Ci sono alcuni nostalgici che non se ne sono accorti, ma occorre dirlo: lo sviluppo<br />

quantitativo è finito, e non tornerà più. Per produrre valore e crescita del reddito pro capite,<br />

bisogna cercare un’altra leva, un altro approccio.<br />

Prima di tutto, bisogna avere ben presente un fatto: nel corso del tempo, e per effetto della<br />

crescita che c’è stata, si sono esauriti i fattori produttivi (lavoro, spazi, ambiente, infrastrutture),<br />

la cui abbondanza iniziale ha innescato lo sviluppo estensivo, basato su conoscenze, importate<br />

dall’esterno o prodotte a basso costo dal learning by doing e dalla innata creatività dell’imprenditore<br />

locale. Grazie al basso costo dei fattori di base, queste conoscenze in passato -nel<br />

distretto e nei sistemi locali- potevano essere replicate su scala sempre maggiore, moltiplicando<br />

per cento la stessa idea di prodotto e la stessa soluzione di processo, a costo nullo o quasi.<br />

Oggi, tutti i dati ci avvertono che questo processo non paga più.<br />

Da un lato, infatti, non ci sono più lavoratori liberi, spazi disponibili, infrastrutture accessibili<br />

da mettere al lavoro (non ci sono e, dato il calo demografico, non ci saranno nemmeno<br />

in futuro).<br />

Dall’altro, l’importazione a costo nullo o comunque basso di conoscenze prodotte da<br />

altri non basta a difenderci dalla concorrenza dei paesi emergenti che, come noi, possono<br />

comprare macchine, acquisire licenze di uso della tecnologia, copiare o imitare quello che<br />

fanno i produttori più avanzati.<br />

La conseguenza è che diventa necessario riposizionare il nostro sistema produttivo,<br />

identificando fattori di vantaggio competitivo diversi dal passato.<br />

Quali?<br />

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