Volume - Fondazione toscana sostenibile
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mento, si profila una virtualità espansiva di quella nozione di “coordinamento” statale della<br />
finanza pubblica e del sistema tributario (che compare tra le “materie” di legislazione concorrente<br />
all’art. 117 co.3. Anche se questa funzione - più che “materia” - è a doppia faccia:<br />
nel senso che essa risulta esercitabile dalle regioni, questa volta soggetto attivo di coordinamento<br />
nei confronti della fiscalità degli enti locali):<br />
Tuttavia, la seriazione delle sentenze della Corte ha fatto chiarezza su tutta la gamma<br />
di concetti racchiusi nell’art. 119 Cost.: il concetto stesso di “autonomia finanziaria di<br />
entrata e di spesa”; quello di “tributo proprio”; quello di unicità del “sistema tributario”;<br />
quello di “vincolo di destinazione”; quello di “indebitamento” e “investimento”; quello di<br />
“risorse aggiuntive” e quello connesso al “divieto di procedere in senso inverso” a quanto<br />
prescritto dall’art. 119 Cost., (sopprimendo, senza sostituirli, gli spazi di autonomia già<br />
riconosciuti dalle leggi statali).<br />
Di particolare rilievo nella giurisprudenza costituzionale risulta l’individuazione di<br />
uno spazio regionale “di programmazione e di riparto” dei fondi aggiuntivi statali all’interno<br />
del proprio territorio, quando i finanziamenti riguardino ambiti di competenze regionali.<br />
Quello che la Corte costituzionale chiama il “filtro” dei programmi regionali è considerato<br />
infatti necessario per evitare che il ricorso a finanziamenti da parte dello Stato diventi uno<br />
strumento di ingerenza nelle funzioni degli enti territoriali, determinando la “sovrapposizione”<br />
di politiche e di indirizzi governati centralmente a quelli legittimamente decisi dalle Regioni<br />
negli ambiti materiali di propria competenza.<br />
Il terzo degli elementi positivi che si possono identificare per un concreto aggancio<br />
della progettualità regionale è la svolta recente nelle procedure comunitarie relative alla<br />
c.d. strategia di Lisbona. Le decisioni del Consiglio europeo del 14 marzo 2005 e le successive<br />
iniziative della Commissione hanno permesso di delineare una precisa<br />
procedimentalizzazione intorno a questa programmazione europea che si era finora affidata<br />
al volontarismo degli Stati membri e al semplice dato comparativo offerto dal grado di<br />
realizzazione degli indicatori strutturali. Il ciclo di tre anni (2005-2008) che parte dal rapporto<br />
strategico della Commissione, si articola con gli indirizzi integrati del Consiglio (sia<br />
per la macro-economia sia per l’occupazione) e ha il suo punto di concretizzazione nei<br />
programmi nazionali di riforma.<br />
Questi programmi saranno definiti sotto la responsabilità degli Stati membri e dovranno<br />
essere oggetto di consultazione con tutte le parti interessate “a livello regionale” e<br />
nazionale. È previsto che gli Stati membri rafforzino il loro coordinamento interno, eventualmente<br />
con la nomina di un “coordinatore nazionale”. A seguito di tali programmi nazionali,<br />
la Commissione presenterà infine un “programma comunitario di Lisbona”, comprendente<br />
l’insieme delle azioni da intraprendere a livello comunitario, tenendo conto della<br />
necessità di convergenza delle politiche nazionali.<br />
Sono a questi tre elementi di positività che deve subito guardare, al di là delle gravissime<br />
criticità e incertezze, la progettualità regionale. Ognuno di essi offre infatti una direzione<br />
di ordinata processualità politica. Sia che si tratti di intese e concertazioni con le altre<br />
regioni per il migliore esercizio delle proprie funzioni e la cura degli interessi interregionali:<br />
con particolare attenzione allo scopo di “favorire comuni orientamenti dello Stato e dell’Unione<br />
europea” (art. 68 St.T., commi 1 e 3). Sia che si tratti di individuare concretamente<br />
spazi ed obiettivi della programmazione esecutiva di provvedimenti nazionali e comunitari<br />
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