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Volume - Fondazione toscana sostenibile

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6. La leva da usare: autoproduzione di conoscenze originali ed esclusive<br />

Per reggere la concorrenza dei paesi emergenti, che ci sostituiscono su certi mercati e<br />

che, comunque, abbassano i prezzi e i margini ricavabili dai nostri prodotti, la soluzione è<br />

una soltanto: fare leva sulle risorse pre-esistenti per avviare processi rilevanti di autoproduzione<br />

di conoscenze originali che rimangano esclusive o che comunque fruttino una<br />

rendita per un certo periodo di tempo, rispetto ai concorrenti low cost.<br />

Non è una cosa impossibile. È quanto hanno fatto e fanno altri paesi che hanno affrontato<br />

questo problema prima di noi (gli Stati Uniti, la Germania, il Giappone; ad esempio).<br />

Per noi la crisi attuale è più severa perché il riposizionamento da realizzare è strategico e<br />

non riguarda questo o quel prodotto, ma l’assetto dei vantaggi competitivi: un vantaggio<br />

nei costi dei fattori deve essere trasformato in un vantaggio che si appoggia invece alla<br />

disponibilità di conoscenze originali e (temporaneamente) esclusive, frutto di corrispondenti<br />

investimenti in intelligenza immateriale (progettazione, design, controllo, organizzazione,<br />

governo della filiera, logistica, informatica, comunicazione, marchi, rete commerciale,<br />

sistemi di garanzia, servizio al cliente, ecc.).<br />

7. Sopravvivere con l’euro a 1,30 sul dollaro<br />

Certamente, l’euro a 1,30 sul dollaro è una iattura, per i margini e per le vendite. E una<br />

follia, dal punto di vista di chi dirige (o dovrebbe dirigere) la politica economica europea.<br />

Ma, in parte, è anche una di quelle astuzie della storia che porta risultati non voluti. In<br />

regime di euro forte, la vera e propria “cura da cavallo” che si sta imponendo al nostro<br />

sistema produttivo obbliga le aziende ad una rapidissima conversione verso soluzioni ad<br />

alta produttività (o, all’indietro, l’accettazione di margini e remunerazioni “fuori mercato”).<br />

Non solo: per accrescere la produttività, l’alterazione monetaria dei costi relativi induce a<br />

sostituire produzioni proprie (o nazionali) come importazioni di materiali, componenti, macchine,<br />

prodotti finiti e servizi da aree extra-euro. Infine (altro adattamento importante), l’euro<br />

induce anche a cambiare la geografia complessiva della filiera produttiva: la produttività,<br />

infatti, può crescere dilatando la filiera -in alcune fasi essenziali- con lo spostamento di fasi<br />

in paesi in aree extra-euro, perché gli investimenti in queste aree sono “avvantaggiati” di un<br />

30% (un’enormità), rispetto ai costi che avrebbero in condizioni di parità col dollaro.<br />

Attenzione: l’alterazione del metro monetario non vale solo -come spesso si dice- per<br />

la concorrenza sui mercati dell’area extra-euro, ma anche per il mercato tedesco o francese<br />

che sono nel cuore dell’Europa. I fornitori italiani che hanno servito per anni committenti<br />

tedeschi o francesi (o anche italiani) si trovano oggi di fronte alla concorrenza -sul mercato<br />

“domestico”- di fornitori che usano lo “sconto” del 30% sui loro costi per abbattere i prezzi<br />

o aumentare le quote del loro mercato, penetrando in Europa proprio grazie al vantaggio<br />

monetario di cui godono.<br />

Il cambio euro-dollaro, dunque, è un potente, per quanto perverso, stimolatore della<br />

produttività delle imprese, qualunque sia il mercato a cui si rivolgono. Ne sono esenti,<br />

forse, solo le imprese che servono mercati locali o nazionali in qualche modo protetti dal-

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