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Volume - Fondazione toscana sostenibile

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fenomenologia sociale non si presenta molto diversa da quella descritta dai Marshall:<br />

urbanizzazione e industrializzazione, formazione di capitali e afflusso d’immigrati, hanno proceduto<br />

insieme, anche se con passo disforme, investendo, a grado a grado, un’area sempre più<br />

ampia e risalendo le filiere produttive verso la meccanica strumentale ai settori finali sviluppati<br />

(macchine tessili, macchine per il legno, ecc..). Se vuole avvalersi degli automatismi del mercato,<br />

l’intervento pubblico deve secondare, correggendolo, quel movimento.<br />

Un aspetto dell’analisi di questi fenomeni che considero fondamentale è l’ordine logico.<br />

Il motore del processo è economico, ma l’ordine logico, giusta la definizione di economica<br />

riportata in epigrafe, va dalla costellazione di comunità (il discorso sull’uomo) ai sistemi di<br />

imprese (lo studio degli affari). Questo ordine è essenziale, se non si vogliono confondere<br />

i mezzi coi fini: il mezzo è la “costruzione” del territorio, il fine è la joie de vivre della gente.<br />

I punti deboli più manifesti dei sistemi di PMI distrettuali sono quelli in cui il distretto<br />

deve confrontarsi con la grande impresa senza disporre dell’ingranamento di quest’ultima<br />

nella macchina della società. Mi limiterò a tre aspetti, d’altronde emblematici. Ma ce ne<br />

sono altri che non affronto.<br />

La grande impresa presidia il proprio mercato con un trade mark che ne differenzia il<br />

prodotto da altri simili. La tipica piccola impresa distrettuale non ne può disporre, quanto<br />

meno in misura paragonabile. Ne discende che un possibile riequilibramento passa per un<br />

marchio di luogo, sponsorizzato e garantito dall’autorità pubblica. Il passaggio dal marchio<br />

d’impresa al marchio di luogo è denso di significati che andrebbero esplorati, ma che qui<br />

non mi è possibile fare.<br />

La piccola dimensione media delle imprese dei distretti genera svantaggi essenzialmente<br />

nel reperimento e nel costo dei capitali e nei costi dell’energia e delle materie prime. La mancanza<br />

di economie di scala pesa poco, invece, per merci differenziate prodotte in serie corte.<br />

La risposta non sta nell’aumento dimensionale della singola impresa - che, date le<br />

circostanze, apre altri problemi di non facile soluzione - ma piuttosto in forme di “approvvigionamento<br />

associato”.<br />

A parte le materie prime, che, per una produzione molto differenziata come la nostra,<br />

sono molto diversificate, peculiari e, spesso, tenute gelosamente riservate, per l’energia<br />

sono possibili “contratti di acquisto di distretto” a prezzi adeguatamente ridotti (la Edison è<br />

già su questo piano da anni) e per il credito (v.2.3) esistono progetti di “cartolarizzazione<br />

dei prestiti alle PMI”, appoggiati al Fondo Europeo degli Investimenti (la Spagna, la Germania<br />

e forse altri paesi, hanno già interessanti esperienze in proposito), che consentono<br />

un ampliamento della base di quei prestiti.<br />

Il senso politico generale, infine, di quanto detto, per quel che ne capisco, è che la<br />

sinistra, che dello sviluppo distrettuale porta parte non piccola di merito e di responsabilità,<br />

dovrebbe capire che l’accettazione della lettura aziendalistica del distretto industriale,<br />

è, essa stessa, una causa fra le maggiori della crisi che si pretende di risolvere.<br />

La sinistra, succube dell’ideologia economicistica dominante, sembra non rendersi conto<br />

che la formula distrettuale prefigura ed esemplifica, un capitalismo di tipo speciale (io lo<br />

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