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Volume - Fondazione toscana sostenibile

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Se esistono quindi, come pare, problemi di competitività del nostro sistema produttivo è<br />

semplicistico ricondurli prevalentemente alla prevalenza di piccole dimensioni aziendali specializzate<br />

nelle produzioni più tradizionali, dimenticando che nelle economie moderne la competitività<br />

è sempre più un fatto di sistema.<br />

1.4<br />

Prossimo futuro: quali i possibili problemi<br />

Alla luce delle tendenze passate e di quelle in atto si pongono alcune questioni che vanno<br />

oltre il ciclo strettamente congiunturale.<br />

La prima riguarda l’Europa, l’Italia e, al loro interno, le regioni più aperte ai mercati extra-europei:<br />

esse stanno perdendo competitività, non riuscendo a inserirsi nei nuovi spazi di un mercato che si sta<br />

allargando? E, allo stesso tempo, subiscono l’aggressività dei nuovi competitori?<br />

Naturalmente in questo ambito è importante sapere quanto crescerà la domanda mondiale<br />

nei prossimi anni, dal momento che, come abbiamo visto, se lo scenario internazionale rimanesse<br />

fortemente espansivo, come lo è stato negli anni novanta, vi sarebbero forse spazi per<br />

una crescita delle esportazioni europee e italiane sufficienti a garantire un adeguato aumento<br />

del PIL. Ricordiamo, infatti, che alle condizioni attuali una crescita delle esportazioni del 2,4% in<br />

termini reali garantirebbe da sola -ferme restando le altre componenti esogene della domanda<br />

finale (spesa pubblica ed investimenti)- un aumento del PIL dell’1%.<br />

La seconda riguarda l’evoluzione del moltiplicatore dell’economia, il quale è andato tendenzialmente<br />

riducendosi proprio per il fatto che la maggiore internazionalizzazione ha indotto<br />

sempre più a decentrare in altri paesi fasi del processo produttivo di molte nostre produzioni<br />

(anche con processi di delocalizzazione); la conseguenza è stata che, aumentando il contenuto<br />

di importazione, il moltiplicatore della domanda si è costantemente ridotto. Questo processo,<br />

come abbiamo visto, è stato tuttavia largamente compensato dal crescente peso che le esportazioni<br />

hanno acquisito sulla domanda finale, tanto che oggi è sufficiente un minor aumento<br />

relativo delle esportazioni per ottenere lo stesso risultato in termini di crescita del PIL.<br />

In realtà, però, il processo di delocalizzazione non ha assunto sino ad oggi dimensioni considerevoli<br />

per il nostro Paese, per cui vi è da domandarsi se nei prossimi anni esso troverà un impulso<br />

maggiore facendo, con questo, lievitare le nostre importazioni e riducendo, quindi, in modo più consistente<br />

il moltiplicatore. Se così fosse, la crescita delle esportazioni necessaria per garantire un adeguato<br />

aumento del PIL dovrebbe intensificarsi rispetto a quella degli anni più recenti.<br />

Una terza questione riguarda proprio gli effetti della crescente internazionalizzazione, con<br />

eventuale ulteriore accentuazione anche dei fenomeni di delocalizzazione da parte delle imprese<br />

del nostro Paese. Vi è stato in effetti un aumento consistente del numero di imprese che<br />

hanno deciso di acquisire il controllo di stabilimenti produttivi al di fuori dei confini nazionali: il<br />

numero delle imprese investitrici in altri Paesi è decuplicato nell’arco degli ultimi venti anni; la<br />

consistenza delle partecipazioni italiane all’estero è cresciuta, in termini di addetti all’estero, di<br />

oltre tre volte nell’arco dello stesso periodo; in particolare sono cresciute le partecipazioni in<br />

imprese localizzate nell’Europa Centro orientale (Tab. 1.7).<br />

Sui possibili effetti di tali processi non vi è ad oggi una visione comune. Da un lato, emergono<br />

le considerazioni più negative di coloro che mettono in evidenza la perdita di produzione e di<br />

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