Volume - Fondazione toscana sostenibile
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Se dovessi riassumere il nocciolo del discorso fatto fin qui, direi che si tratta di combinare<br />
il mutamento graduale di un modo di vita locale che assegna valore ai rapporti fra le<br />
persone, oltre che al livello del reddito pro capite, con uno stile di pensiero produttivo e<br />
mercantile proiettato nella più audace contemporaneità. Non è facile, ma la nostra storia<br />
recente mostra che è possibile.<br />
5. Problemi e prospettive dei distretti industriali, con particolare riguardo<br />
a quelli toscani<br />
Se è vero che il perno di tutto il discorso sullo sviluppo locale è dato dall’esistenza e<br />
dalla riproduzione del “capitale sociale locale” sopra definito, ogni discorso sulle prospettive<br />
dei distretti, deve partire da lì. Le domande da porsi sono quindi tutte di carattere<br />
sistemico: a) si sta riducendo il differenziale di fiducia fra gli imprenditori distrettuali rispetto<br />
a quelli esterni? b) il processo di suddivisione progressiva del lavoro è in panne? c) l’osmosi<br />
fra sapere codificato e contestuale presenta difficoltà? d) il clima sociale del distretto si sta<br />
deteriorando? e) le giovani generazioni hanno interesse per il tipo di attività produttiva<br />
tipico del distretto? E così via. Si tratta di domande che investono la società locale nel suo<br />
tessuto culturale e che quindi, volendo restare all’interno dell’analisi economica, trovano<br />
difficilmente risposte esaurienti. Esse richiedono all’economista, audaci sconfinamenti sul<br />
terreno antropologico, sociologico, psicologico, politologico, ecc., nonché approfondimenti<br />
storici mirati. La domanda da porsi, dunque, è: come agiranno, presumibilmente, i supposti<br />
scenari esterni, su quei capisaldi della competitività distrettuale e sulla loro interazione<br />
sistemica?<br />
Un modo sicuramente riduttivo - ritengo - di affrontare il problema, è di abbandonare la<br />
prospettiva analitica del sistema locale, per tornare a quella aziendalistica, trattando l’impresa<br />
distrettuale come se fosse un’ impresa qualsiasi e non una parte integrante di un<br />
sistema produttivo ben preciso. Se l’impresa distrettuale media si ingrandisce -si usa diresignifica<br />
che il distretto si sviluppa; se invece non cresce, o non cresce abbastanza, allora<br />
-si dice- c’è da preoccuparsi.<br />
Ora, se si riflette sul meccanismo di progressiva scomposizione delle fasi sopra illustrato,<br />
si capisce subito che il criterio della dimensione media, sic et simpliciter, può condurre<br />
fuori strada. In ambiente distrettuale, un’accelerazione della scomposizione delle<br />
fasi, segna, di norma, la fuoriuscita di tecnici e lavoratori dalle vecchie imprese integrate<br />
per svolgere in proprio la funzione che si è rivelata isolabile. Questo processo di<br />
proliferazione organica della popolazione d’imprese, non può essere giudicato negativamente,<br />
neppure quando si accompagni ad una riduzione della dimensione media d’impresa.<br />
In fondo, come possono nascere le nuove imprese distrettuali di fase se non piccole? 18<br />
E non è forse vero che la produttività del processo distrettuale nel suo insieme cresce<br />
tipicamente proprio con l’articolazione crescente delle fasi del processo tipico?<br />
18 Per un maggiore sviluppo della critica alle accuse generiche di nanismo dell’industria italiana, rinvio a Becattini G. e<br />
Bellandi M. (2003).<br />
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