Volume - Fondazione toscana sostenibile
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2. La querelle sul declino italiano<br />
Il dibattito in corso sul declino dell’industria italiana 2 mi ha convinto che, nell’affrontare il<br />
tema delle prospettive dei distretti industriali, toscani o italiani che siano, la discussione è gravata<br />
da una serie di incomprensioni di alcuni aspetti di fondo del problema. In particolare mi pare<br />
che molti politici, locali, regionali e nazionali, ma anche non pochi studiosi, non abbiano compreso<br />
le vere, peculiarissime, radici del successo dei distretti 3 . Individuandole esclusivamente<br />
nei lasciti professionali della storia passata e/o nelle mere economie di agglomerazione, essi<br />
giungono alla conclusione che, essendosi quelli esauriti e queste assai attenuate, il declino di<br />
questa forma organizzativa territoriale della produzione è -deve essere, a rigor di logica- imminente<br />
e sicuro. Da quelle incomprensioni discendono previsioni e prescrizioni, che, sebbene<br />
coerenti con quelle premesse, sono, come vedremo, analiticamente lacunose e politicamente<br />
nocive. Mi propongo quindi, in questa breve nota, di avviare a chiarimento -non più di ciò,<br />
purtroppo!- alcuni aspetti di fondo del problema 4 .<br />
Un primo punto, che apparentemente sfugge in tutti i confronti fra i settori e le zone di<br />
grande e piccola impresa, sta nel fatto che non si considera la maggiore vicinanza della<br />
grande impresa alle fonti del potere politico e finanziario. Per far solo un esempio, quando<br />
si decidono rottamazioni per l’auto, la moto o gli elettrodomestici si riduce ceteris paribus,<br />
la domanda di abiti, di scarpe, ecc.. Cioè si altera quel meccanismo di mercato di cui ci si<br />
professa sostenitori. Una recentissima testimonianza dell’Ing. De Benedetti lascia intravedere<br />
una selva di aiuti dello Stato alla maggiore impresa italiana. Ebbene, nella valutazione<br />
delle performances comparate dei diversi settori si dovrebbe, in qualche modo, tener<br />
conto di ciò.<br />
Un’interessante testimonianza in proposito ci viene da un recente articolo di Ferruccio<br />
de Bortoli, Direttore de Il Sole 24 ore:” Le piccole imprese in Italia (…)sono svantaggiate<br />
nel rapporto con il credito, che quando non è raro è costoso. La politica le trascura. I mass<br />
media non le vedono. Nelle grandi organizzazioni sono presenti a tratti, a volte come semplici<br />
figuranti o comparse” E ancora: “Il futuro del Paese dipende dalle piccole imprese<br />
(…)perché svolgono due compiti essenziali. Assicurano una discreta, ma preziosa, coesione<br />
sociale là dove sono protagoniste e cuore di una comunità. (È chiaro che si riferisce<br />
alle imprese dei distretti industriali). Danno senso di appartenenza e orgoglio di identità a<br />
parti del Paese spazzate dal vento gelido della concorrenza globale e dell’apatia declinista.<br />
Sono antidoto alla depressione economica e al disinteresse di una classe dirigente cieca<br />
ed egoista.”<br />
*Ringrazio per osservazioni a precedenti stesure di questa nota, Stefano Casini Benvenuti, Fulvio Coltorti e Gabi Dei Ottati.<br />
Nessuno di loro è responsabile, tuttavia, delle posizioni ch’io assumo in questo scritto.<br />
1 Preferisco questa espressione, che ricavo da N. Georgescu Roegen (1971) all’espressione pigouviana di benessere generale,<br />
contrapposto al benessere puramente economico, derivante, questo, dal consumo dei beni forniti da mercato.<br />
2 Cfr. Bianchi P. 2002,:Gallino L. 2003, Nardozzi G.G. 2004, Onida F. 2004.<br />
3 Un successo, quello dei distretti industriali, ormai ampiamente riconosciuto, che ha consentito all’Italia, coi rilevanti saldi<br />
valutari positivi prodotti fin dall’inizio degli anni ‘50, di risalire molte posizioni nella graduatoria dei paesi industrializzati.<br />
Rinviamo qui, per brevità a due soli lavori: Becattini G. e Coltorti F. (2004) e Becattini G. e Dei Ottati G. In corso di pubblicazione.<br />
4 Un chiarimento più esteso non mi è consentito dallo spazio qui a disposizione.