Questa considerazione deve indurre a non enfatizzare eccessivamente il significato di una minore dinamica delle esportazioni di alcuni paesi rispetto ad altri e della conseguente perdita di quote di mercato, dal momento che, sotto certe condizioni, tale perdita potrebbe anche essere irrilevante dal punto di vista della crescita del PIL. Naturalmente, nel caso di economie simili per dimensioni e caratteristiche, come parte di quelle europee, il confronto torna a essere significativo; non a caso, per molte di esse la crescita delle esportazioni necessaria a garantire una crescita del PIL dell’1% è di analoga entità (attorno al 2,5%) (Graf. 1.3). 6% 5% 4% 3% 2% 1% 0% Austria Grafico 1.3 CRESCITA DELLE ESPORTAZIONI NECESSARIA PER GARANTIRE UNA CRESCITA DEL PIL DELL’1% Un confronto tra Paesi Fonte: elaborazioni IRPET su dati ISTAT Belgio Germania Danimarca Spagna Finlandia Francia UK Su questa tendenza all’aumento della elasticità del PIL rispetto alle esportazioni potrebbe, tuttavia, incidere negativamente la progressiva, completa e reciproca liberalizzazione del mercato mondiale e l’abbandono delle protezioni in ambito manifatturiero da parte dell’Europa rispetto ai paesi di nuova industrializzazione dell’Asia; tutto questo potrebbe, infatti, produrre un balzo in alto della dipendenza dall’esterno, determinando un’ulteriore riduzione del moltiplicatore. In tal caso si renderebbe di nuovo necessaria una maggiore espansione delle vendite all’estero per garantire una stessa crescita del PIL. L’impressione è, infatti, che la reciprocità, ancora non acquisita, possa comunque accentuare in Europa gli effetti di sostituzione dei prodotti europei con quelli dei paesi emergenti, specialmente se dovesse essere allargata ai beni agricoli e agro-alimentari. I primi esiti del venir meno dell’accordo Multifibre sembrerebbero, in effetti, andare in questa direzione, mostrando secondo dati, a dire il vero ancora molto incerti, una impennata delle importazioni europee di prodotti del tessile ed abbigliamento dalla Cina. 1.2 Le conseguenze sull’economia italiana La tendenziale perdita di quote sul commercio mondiale da parte dell’Italia, da tutti denunciata come il segno più evidente della perdita di competitività del nostro Paese, è in realtà un Grecia ITALIA Giappone Olanda Norvegia Portogallo Svezia USA 39
fenomeno relativamente recente. Nella prima metà degli anni novanta infatti, contrariamente a quanto è accaduto a paesi vicini e simili per sviluppo raggiunto (Francia e Germania), il peso delle esportazioni italiane sul commercio mondiale è addirittura aumentato passando dal 4,2% del 1990 al 4,7% del 1995 (Tab. 1.4). Tabella 1.4 ESPORTAZIONI DEI PRINCIPALI PAESI DEL MONDO Quote per 1.000 e variazioni % Fonte: Model BTM INFORUM (Interindustry Forecast at University of Maryland) Quote sul totale export mondiale Tassi di variazione annua 1990 1995 2000 1995/1990 2000/1995 2000/1990 Canada 42,9 39,3 40,5 4,4 6,1 5,2 USA 116,8 119,9 120,8 6,8 5,6 6,2 Messico 9,2 16,2 25,8 18,9 15,8 17,3 Austria 12,5 11,6 12,7 4,6 7,4 6,0 Belgio 35,4 33,4 29,5 5,0 2,9 4,0 Francia 59,3 57,4 47,6 5,6 1,6 3,5 Germania 125,1 102,7 95,0 2,1 3,8 3,0 ITALIA 42,3 46,8 37,6 8,4 1,0 4,6 Spagna 13,8 18,1 20,4 12,3 8,0 10,1 UK 54,6 50,7 52,0 4,7 6,0 5,3 Giappone 102,7 85,0 74,7 2,3 2,7 2,5 Cina 19,5 28,6 45,5 14,7 15,7 15,2 Corea 17,5 24,0 32,9 13,2 12,3 12,7 Taiwan 21,8 27,5 32,8 11,2 9,3 10,3 Resto OEC 139,8 140,6 123,3 6,4 2,7 4,5 Resto del Mondo 186,6 198,4 208,8 7,6 6,5 7,0 TOTALE 1.000,0 1.000,0 1.000,0 6,3 5,4 5,8 Naturalmente, per una corretta valutazione del fenomeno occorre considerare che, in questa fase, l’Italia ha operato in un contesto favorevole a causa della costante rivalutazione del dollaro e delle altre monete (anche a seguito degli effetti delle ripetute svalutazioni della lira a partire dal 1992). La situazione cambia significativamente se si considera, invece, il periodo successivo (1996- 2001), quando l’Italia perde i suoi vantaggi relativi rispetto ai paesi europei, ma mantiene - assieme ad essi- i vantaggi che derivano dalla costante rivalutazione del dollaro: in questo periodo la crescita media annua delle esportazioni è appena dell’1%, inferiore anche a quella di tutti i principali paesi europei, e questo porta la quota italiana sul commercio mondiale al 3,8%, determinando una perdita che è superiore anche a quella degli altri paesi europei (Graf. 1.5). Negli anni successivi (2001-2003) il quadro peggiora ulteriormente a seguito di una delle più lunghe congiunture negative attraversate dall’economia italiana sui mercati internazionali, evidentemente più danneggiata degli altri partner europei dalla svalutazione del dollaro. Come nel resto dell’Europa, il venir meno della spinta esterna ha inciso sulla evoluzione della domanda interna anche per la prosecuzione di una politica fiscale restrittiva orientata al rispetto degli obblighi imposti dal trattato di Maastricht: l’economia italiana, così come quella europea, resta dunque ancora largamente export-led, non in grado quindi di fornire un impulso autonomo alla propria crescita. In questo mutato scenario internazionale la crescita tendenziale dell’economia italiana rallenta ulteriormente passando dal 3,6% degli anni settanta al 2,4% degli anni ottanta e appena all’1,4% degli anni novanta; in questo trend declinante, i primi quattro anni del 2000 hanno segnato una crescita di appena lo 0,6% e le previsioni oggi disponibili non indicano di qui alla fine del decennio crescite superiori alla crescita tendenziale degli anni novanta. 40
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