Volume - Fondazione toscana sostenibile
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Una variante recente della diatriba sui distretti ci dice che, se anche la dimensione media<br />
non cresce, o cresce poco, ma alcune imprese del luogo, già piccole, svettano sulle altre, per<br />
giro di affari, presenza sui mercati, profitti, investimenti, ecc., il sistema locale prospera, anche<br />
se a prezzo delle sue caratteristiche distrettuali. Vi è certamente del vero in queste affermazioni,<br />
ma dal punto di vista della diatriba sui distretti, esse sono gravate da alcuni equivoci.<br />
In sostanza il processo in esame descrive una situazione di privatizzazione di una<br />
parte del capitale sociale del distretto. L’impresa leader - magari, come si usa dire, “multinazionale<br />
tascabile” - è partita, non dimentichiamolo, come ogni altra impresa distrettuale,<br />
dal vantaggio competitivo locale, che ha sfruttato a lungo, per aprirsi la strada nella giungla<br />
dei mercati, ma che, da un certo punto in poi, ha cercato di fare proprio. Questo implica,<br />
tuttavia, un mutamento del suo ruolo nella dinamica del distretto industriale: da fattore di<br />
traino del sistema nel suo insieme, com’era nella fase della crescita, l’impresa leader diventa,<br />
nella fase della sua maturità, un ostacolo allo sviluppo di concorrenti interni.<br />
Il riferimento retorico alle “radici” resta a lungo - finché serve - ma in realtà l’impresa leader<br />
entra a far parte di un mondo diverso, dove l’impresa non è più un progetto di vita, da difendere<br />
accanitamente dagli assalti altrui, per tramandarla, possibilmente, a figli e nipoti, conquistandosi<br />
una nicchia nella piccola storia del distretto, ma è semplicemente una merce che si compra e<br />
si vende sul mercato, in parte o in toto, senza particolari batticuori.<br />
A quel punto, quando il sistema locale è trainato, polarizzato e condizionato da una, o<br />
poche, imprese leader, il distretto, propriamente parlando, non c’è più. La metamorfosi da<br />
una comunità che, semi-consapevolmente, insegue la propria autosufficienza e difende il<br />
proprio stile di vita, accorpando tutte le energie intellettuali e morali attorno ad una filiera<br />
produttiva, che, pur prolungando il suo passato, accetta la sfida della contemporaneità, in<br />
un mero luogo di addensamento delle attività industriali, è ormai completata.<br />
Niente di male, si dirà, avrebbe potuto andar peggio; certo è, comunque, che le componenti<br />
tipiche del vantaggio competitivo distrettuale non sono più la leva del suo sviluppo.<br />
Ad esse si sono aggiunte e/o sostituite le due componenti abituali dell’espansione capitalistica:<br />
l’accumulazione del capitale e il progresso scientifico-tecnico. Rispettabilissime,<br />
per carità, ma tutt’altra cosa.<br />
Il conflitto sociale, ch’è normalmente un fattore d’indebolimento della competitività di<br />
un sistema produttivo, dipende, com’è noto, dal fatto che il lavoratore non possiede, di<br />
norma, i mezzi di produzione appropriabili e quindi deve locare le proprie capacità lavorative<br />
a chi quei mezzi possiede. Se tuttavia consideriamo parte integrante del processo<br />
produttivo distrettuale, il capitale sociale di cui sopra, giungiamo, per quel tipo di società<br />
locale, ad una diversa conclusione. Nella misura in cui la competitività del distretto industriale<br />
dipende da quei fattori, la contrapposizione degli interessi sbocca, infatti, oggettivamente,<br />
in una collimanza -beninteso parziale, ma non trascurabile- d’interessi fra i maggiori<br />
protagonisti: imprenditori finali e di fase, lavoratori dipendenti, amministratori pubblici,<br />
ecc.. La maggioranza della popolazione stabile, di tutti i ceti, ha interesse all’evolversi<br />
graduale di uno “stile di vita” che comprende sia l’atmosfera di correttezza negli affari, sia<br />
la prassi di solidarietà parentale e vicinale, che, infine, la valorizzazione del sapere<br />
contestuale maturato nel tempo. Si potrebbe anche dire che l’“abitante rappresentativo” ha<br />
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