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Volume - Fondazione toscana sostenibile

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patrimonio che si rinnova e si evolve.<br />

Quel capitale sociale - come il linguaggio - è proprietà indivisibile del luogo e di chi ci<br />

vive e lavora e non può essere appropriato da alcun singolo agente. Combinandosi, come<br />

vedremo, colle modalità del governo locale, esso definisce un ambiente sociale che presenta<br />

le seguenti caratteristiche: a) combinando, nella produzione dei suoi beni e servizi<br />

tipici, le risorse culturali del passato (es. know how tradizionale) colle tecniche più aggiornate,<br />

tende a mantenersi nei pressi della frontiera della tecnica produttiva specifica; b)<br />

mostrando che la correttezza “paga”, tende a riprodurre il clima di fiducia reciproca fra gli<br />

agenti del sistema; c) innalzando il “tenore” di vita senza strappi violenti nello “stile” di vita<br />

del luogo, tende a produrre un buon livello di benessere percepito 17 ; c) innovando continuamente<br />

prodotti e processi dei suoi prodotti tipici tende a proteggere nel mercato mondiale,<br />

con “barriere all’entrata” di tipo culturale, la propria “nicchia” di mercato.<br />

I prodotti di punta del distretto hanno più da temere dai cambiamenti culturali generali,<br />

che non dalla concorrenza di prezzo di nuovi produttori. Ad es. il maggior pericolo per le<br />

cucine di Pesaro non è rappresentato dai concorrenti, ma da cambiamenti nella filosofia<br />

dell’abitare che riducano il ruolo della cucina.<br />

Il vantaggio competitivo specifico del distretto dipende dunque da tre fattori: a) la tendenza<br />

degli agenti del distretto a rispettare gli impegni, anche se non fissati contrattualmente,<br />

più spiccata che in altri ambienti produttivi e l’accelerazione tendenziale delle<br />

specializzazioni di fase che ne consegue; b) un di più di attenzione e cura, nelle fasi difficilmente<br />

controllabili, degli agenti distrettuali interni all’impresa (lavoratore) o esterni ad essa<br />

(sub-fornitore); c) una capacità diffusa di rimescolare il sapere produttivo, innestando le<br />

conoscenze tecniche più aggiornate sul know how produttivo tradizionale; d) un adattamento<br />

particolarmente fine alle esigenze delle diverse specializzazioni produttive, dovuto<br />

alla concentrazione spaziale di manodopera e imprenditorialità, con tante, diverse, combinazioni<br />

di destrezza, forza fisica, preparazione tecnica, ecc..<br />

Quei fattori sono completati e potenziati dal fatto che il buon livello di “benessere percepito”,<br />

corrispondente, ripeto, ad un innalzamento del “livello”, senza sconvolgimento dello “stile”, di<br />

vita, contribuisce a smussare i contrasti fra i ceti principali del distretto, agendo così positivamente<br />

su tutte le prestazioni produttive. Si può anche dire, riassuntivamente, che il distretto<br />

industriale trasforma in produttività e competitività il di più di coesione sociale che lo caratterizza<br />

rispetto ad altre forme di organizzazione sociale della produzione.<br />

È inutile dire che questa descrizione del modello distrettuale è idealtipica e non corrisponde esattamente<br />

a quanto accade in nessun concreto distretto industriale. Essa serve, tuttavia, anche in quelle<br />

che possono apparire esasperazioni “teoriche”, per mettere a fuoco le differenze autentiche fra un<br />

distretto industriale vero e proprio e un banale agglomerato territoriale (cluster) di imprese. La cosa<br />

merita di essere rilevata, perché in molte diatribe sul declino dei distretti, non si distingue chiaramente<br />

fra i sistemi territoriali di imprese, o cluster, e i distretti industriali.<br />

17 Questo risulta chiaramente dal lavoro IRPET. Cfr. Bacci, 2002.<br />

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