Volume - Fondazione toscana sostenibile
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Inoltre non va sottovalutato un fattore demografico: l'uscita verso il pensionamento di<br />
coorti in cui c'era una minore partecipazione femminile, sostituite da generazioni in cui vi è<br />
una più equa ripartizione di oneri famigliari fra uomini e donne ha provocato uno spostamento<br />
dell'effetto di composizione che si traduce in una crescita dell'occupazione.<br />
Infine, alla crescita dell'occupazione senza crescita economica ha contribuito anche<br />
l'introduzione di forme contrattuali più flessibili.<br />
• Dal Pacchetto Treu in poi<br />
Il disegno riformatore cominciato nel 1997 con il “Pacchetto Treu” ha visto un succedersi<br />
di interventi “al margine” del mercato del lavoro, riforme che hanno cambiato lo statuto solo<br />
dei nuovi assunti, introducendo nuove figure contrattuali. Oggi abbiamo 43 diverse figure<br />
contrattuali, 5 delle quali introdotte recentemente dalla Legge Biagi (decreto 279/2003).<br />
L'introduzione di forme contrattuali flessibili ha spinto le imprese a modificare il proprio<br />
comportamento in materia di assunzioni. L'impresa che deve misurarsi con i costi degli<br />
eventuali licenziamenti tende a stabilizzare il proprio livello occupazionale su di un livello<br />
intermedio, subottimale quando le cose vanno bene e la domanda per i propri prodotti è<br />
forte, ed eccessivo quando le cose invece vanno male, quando ci sarebbe bisogno di<br />
avere meno lavoratori all'interno dell'azienda e abbattere i costi in modo più consistente.<br />
Come molte ricerche empiriche hanno confermato, l'impresa stabilizza l'occupazione ad<br />
un livello intermedio, che provoca una minore fluttuazione dell'occupazione, e un minor<br />
turn-over all'interno dell'impresa.<br />
Se in una situazione come quella appena descritta s'introducono delle tipologie contrattuali<br />
diverse, più flessibili, è prevedibile che l'impresa che ha a che fare con i costi da<br />
licenziamento sarà portata ad accumulare uno stock di lavoratori “flessibili”, per creare un<br />
cuscinetto d'aggiustamento da utilizzare nel caso di peggioramento dei mercati. Sarà soprattutto<br />
di questi lavoratori che l'impresa si disferà nel caso di evoluzione negativa della<br />
domanda per i propri prodotti, semplicemente non rinnovando loro il contratto alla scadenza.<br />
Si avrà perciò una fase di transizione, che non è destinata a durare molto a lungo, in cui<br />
effettivamente l'organico dell'impresa aumenta perché al numero fisso dei lavoratori protetti<br />
si aggiunge un certo numero di lavoratori soggetti a minore protezione; è in questa<br />
fase intermedia che l'occupazione cresce anche se il prodotto non aumenta. È la “luna di<br />
miele” della flessibilità al margine, un fenomeno che non sembra destinato a durare a<br />
lungo.<br />
• I costi sociali della flessibilità<br />
Dal punto di vista dei lavoratori invece, la flessibilità non è una scelta ottimale ma, al<br />
contrario, è spesso una soluzione di ripiego, certamente preferita alla condizione di disoccupato.<br />
Il reddito da lavoro, la possibilità di inserirsi con continuità in un ambiente di lavoro,<br />
investire anche in formazione specifica all'impresa e garanzie di durata sono tutti aspetti<br />
che la flessibilità al margine non può assicurare ad un lavoratore.<br />
Un mercato del lavoro dinamico, tuttavia, può riuscire a trasformare l'occupazione flessibile<br />
in una sorta di periodo probatorio esteso al termine del quale il lavoratore verrà<br />
assunto con tipologie contrattuali più stabili. Questo non avviene sempre: dove il mercato<br />
del lavoro è debole il livello di conversione dei contratti flessibili in forme più stabili è molto<br />
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