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Volume - Fondazione toscana sostenibile

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nità dell’internazionalizzazione produttiva e commerciale. Si tratta delle imprese medie e<br />

medio-grandi che avendo un business model, già adattato all’era neo-industriale, puntano<br />

a risparmiare per poter contenere i costi, non come obiettivo, ma come strumento per<br />

avere margini operativi più alti e quindi maggiori risorse da investire nell’innovazione. Per<br />

un rafforzamento della loro brand image. Queste imprese hanno superato la fase della<br />

dipendenza dal made in Italy o dal made in Tuscany, come fatto distintivo unico dei loro<br />

prodotti. Di fatto esse dispongono di marchi forti e riconosciuti, tali da non compromettere<br />

la percezione di qualità e di immagine dei loro prodotti, anche se parzialmente fabbricati<br />

fuori dall’Italia o dalla Toscana.<br />

Da parte di queste imprese la delocalizzazione e l’outsourcing dall’estero riguardano<br />

essenzialmente tipologie di componenti e lavorazioni ad alto contenuto di manodopera e<br />

standardizzate, per cui il rischio di un depauperamento del tessuto manifatturiero e artigianale<br />

locale può essere limitato e contenuto, anche se va messo nel conto. È un rischio che<br />

può essere contenuto solo se la Toscana si attrezza per spostare decisamente la sua<br />

capacità di concorrenza sulla qualità e sulla creatività, accettando conseguentemente, per<br />

la concorrenza sui costi, di far ricorso a nuovi paesi, capaci di contribuire a conseguirla.<br />

La Toscana è largamente sottodotata in fatto di imprese medie, strutturate secondo il<br />

modello prima tratteggiato. E questo costituisce un grave handicap nel quadro della crescente<br />

integrazione globale dell’economia, dell’industria, dei servizi e dei mercati.<br />

Ne deriva che gli interventi di policy dovrebbero essere prioritariamente indirizzati al<br />

rafforzamento strutturale e dimensionale delle imprese, quale pre-condizione fondamentale<br />

per una loro rivitalizzazione innovativa, organizzativa, manageriale e competitiva.<br />

Fermo restando quanto fin qui prospettato, come ambito prioritario di interventi, va da<br />

sé che il futuro industriale della Toscana non può comunque essere affidato soltanto ai<br />

settori tradizionali e alla popolazione distrettuale di microimprese, cioè alle parti più esposte<br />

al rischio di un declino. Per rispondere con mezzi adeguati alle sfide del terzo millennio,<br />

la Toscana non può rinunciare a mettere in atto azioni mirate per quella transizione ad una<br />

economia fondata sulla conoscenza, ben evidenziata dall’agenda Lisbona della Comunità<br />

Europea, che in Italia ed in Toscana sta procedendo troppo lentamente, tra molte difficoltà<br />

e senza il necessario convincimento dei policy makers.<br />

Dotarsi di un piano strategico di transizione all’economia neo-industriale rappresenta<br />

un atto di lungimiranza politica che trova solido fondamento nel fatto che la Toscana, più di<br />

altre regioni, ha la possibilità di farne un effettivo strumento di governo della sua futura<br />

crescita economica e sociale.<br />

Di frequente purtroppo si ha l’impressione che non ci siano in Toscana ancora le sensibilità<br />

giuste per capire dove sta il suo ‘futuro diverso’, per cui manca la tensione necessaria<br />

per sviluppare e creare le aggregazioni di consensi e risorse che servono.<br />

Eppure la Toscana ha le carte per giocare questa partita. Essa gode dell’indubbio vantaggio<br />

comparato costituito da una ricca e articolata rete di risorse intangibili, che costituiscono<br />

il nerbo della società neo-industriale (centri di ricerca di eccellenza, istituti di alta<br />

formazione, elevata qualità della vita, un patrimonio artistico e museale di assoluta rilevanza<br />

mondiale, una immagine positiva in campo internazionale, condizioni climatiche invidiabili<br />

ecc.). Si tratta di fattori unanimemente riconosciuti come potenti attrattori non solo di cor-<br />

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