Facultatea de Istorie - Universitatea Alexandru Ioan Cuza

Classica et Christiana, 2, 2007, 211-215
POSTILLA A VIRGILIO AEN. 1, 630
Luca VENTRICELLI
(Bari)
Scorrendo l’Index locorum, che chiude il dotto volume di Folco
Martinazzoli 1 , la presenza dei tragici greci, in rapporto ai possibili modelli
di Virgilio Aen. 1, 630, si limita a brani tratti rispettivamente dall’Edipo a
Colono e dalle Supplici, loci semplicemente attestanti la vitalità del tÒpoj
della conoscenza che deriva dall’esperienza del dolore 2 . Oggetto di questo
1 F. Martinazzoli, Sapphica et vergiliana. Su alcuni temi letterari della tradizione
poetica classica, Bari, 1958. Lo studioso dedica il secondo dei suoi saggi (81-141) alla
discussione ed esegesi di VERG. Aen. 1, 630: non ignara mali miseris succurrere disco. Il
verso, come è noto, è uno dei più emblematici della Weltanschaaung virgiliana: la regina
cartaginese, volendo rassicurare Enea, gli trasmette la sua piena e simpatetica comprensione
delle umane sofferenze, riconoscendo così di esercitare nei confronti dei profugi troiani una
solidarietà che le pare doverosa sul piano umano, ancor prima che su quello della sacralità
in hospites. Rinviando alle persuasive pagine del Martinazzoli per un approfondimento
della storia di un verso, la cui corretta interpretazione è stata quasi condizionata dalla sua
eccezionale fortuna come proverbiale sententia, ci limitiamo qui a ricordare la rigorosa
messa a fuoco del corretto valore da assegnare al non incipitario: l’usus scribendi d’autore,
testimoniando la costante frequenza dell’impiego di haud rispetto a non come negazione
davanti ad attributo, di contro alla presenza di non da riferire a verbo, pur se in coppia con
aggettivo, induce a ritenere infatti la negazione in questo verso come afferente l’attributo
ignara solo positionis verborum causa, mentre essa va effettivamente a influenzare il presente
che chiude il brano; quindi ignara, sganciato dal non, accentuerebbe ancor più la sua
già perspicua valenza predicativa. Il senso del verso, come suggerisce il Martinazzoli,
perciò sarebbe: „Non apprendo (solo ora) a soccorrere gli infelici, (quasi fossi) ignara della
sventura”. Virgilio insomma, nel suo tributo alla Ðmoiop¦qeia, connota sin da subito il
personaggio della regina cartaginese destinata a tragica fine con sfumature di modestia e
umiltà: Didone, pur alludendo ad una sua esperienza del dolore già avvenuta (ossia, la
violenta perdita del marito Sicheo, l’abbandono della patria), in quel momento è portata a
sentire e confessare umana pietà per la sorte dei Troiani.
2 Tale tÒpoj percorre tutta la letteratura classica, spaziando fra i genera, dall’epica
alla tragedia all’epigrammatica (per cui cfr. Martinazzoli, op. cit., 109-112), rivelandosi
anzi in uno dei suoi momenti più significativi documento e traccia di riflessione etica e filosofica:
alludiamo ovviamente ad Aeschylus, Agamemnon, v. 177: … p£qei m£qos...,
„conoscenza attraverso sofferenza”. Per un primo approccio alle problematiche speculative