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366<br />

MARIA GIOVANNA TURUDDA<br />

na del villaggio, <strong>in</strong>fatti, quoti<strong>di</strong>anamente cresce il numero degli <strong>in</strong>terlocutori<br />

<strong>di</strong> Pietro che tenta, mentre, par <strong>in</strong>ter pares, beve con essi<br />

v<strong>in</strong>o avvic<strong>in</strong>ando le sue labbra a ciascun bicchiere ( 15 ), <strong>di</strong> combattere<br />

Pietro (61), si sancisce quella che l’eroe def<strong>in</strong>isce una “parentela delle anime”, si<br />

offre, <strong>in</strong>f<strong>in</strong>e, complicità, confidenza, amicizia, ospitalità (160-162: <strong>in</strong> filigrana<br />

quasi una piccola Cena; cfr. anche pp. 61, 186, 188, 321, 337). La con<strong>di</strong>zione<br />

‘etica’ per gustarlo o per avere il privilegio <strong>di</strong> apprezzarlo è che si abbia il cuore sereno,<br />

come afferma fra’ Gioacch<strong>in</strong>o (p. 162); non è un caso che chi non possiede<br />

questa qualità morale non riesca a berlo: don Angelo, che ha scelto il basso profilo<br />

verso il regime <strong>in</strong> polemica con don Benedetto e con don Paolo, non riesce a bere<br />

il v<strong>in</strong>o che il sagrestano ha versato nel suo bicchiere:<br />

Don Angelo era seduto davanti al suo bicchiere <strong>di</strong> v<strong>in</strong>o <strong>in</strong>tatto. Egli chiuse gli occhi,<br />

come preso da una subitanea vertig<strong>in</strong>e… “Dio mio, Dio mio” egli mormorò “perché<br />

vuoi farmi paura?” (p. 307)<br />

( 15 ) “tutti offrirono da bere al prete. Egli r<strong>in</strong>graziò, cercò <strong>di</strong> scusarsi, ma <strong>in</strong>f<strong>in</strong>e dovette<br />

accettare <strong>di</strong> fare il giro della stanza e <strong>di</strong> avvic<strong>in</strong>are le labbra a ogni bicchiere, secondo il<br />

costume”. (p. 179)<br />

Il titolo del romanzo, del resto, giustifica la sua assidua presenza nel testo come<br />

elemento catalizzatore <strong>di</strong> tutti i valori simbolici ambivalenti attribuitigli dalla tra<strong>di</strong>zione<br />

iconologica: per il suo colore associato al sangue e al sacrificio, è la bevanda<br />

simbolo della conoscenza e dell’<strong>in</strong>iziazione (<strong>di</strong> Pietro ad un nuovo ‘vangelo’, dei cafoni<br />

alla speranza e alla solidarietà, <strong>di</strong> Bianch<strong>in</strong>a alla morigeratezza, <strong>di</strong> Murica al sacrificio),<br />

dell’ebbrezza e dello smarrimento, dell’immortalità e della solidarietà (nell’ultima<br />

Cena, Gesù <strong>di</strong>ce. “Questo è il mio sangue dell’alleanza”, con allusione al sacrificio<br />

sangu<strong>in</strong>oso descritto nell’Esodo, 24, 8: il v<strong>in</strong>o è il sangue del grappolo d’uva,<br />

così come il pane è prodotto dai chicchi della spiga <strong>di</strong> grano. I genitori <strong>di</strong> Pietro<br />

Murica piangono la morte del figlio ripercorrendo momenti dell’Ultima Cena: durante<br />

la veglia funebre il vecchio padre offre ai presenti pane e v<strong>in</strong>o <strong>di</strong>cendo:<br />

“È lui che mi ha aiutato a sem<strong>in</strong>are… a mietere… a mac<strong>in</strong>are il grano <strong>di</strong> cui è fatto questo<br />

pane. Prendete e mangiate, quest’è il suo pane.”… “È lui che mi ha aiutato a potare…<br />

vendemmiare la vigna dalla quale viene questo v<strong>in</strong>o. Bevete, quest’è il suo v<strong>in</strong>o.” (368)<br />

Pietro Sp<strong>in</strong>a commenta da un punto <strong>di</strong> vista laico e ideologico questo rito<br />

adottando le immag<strong>in</strong>i del mondo dei cafoni:<br />

“Il pane è fatto da molti chicchi <strong>di</strong> grano… Perciò esso significa unità. Il v<strong>in</strong>o è fatto da<br />

molti ac<strong>in</strong>i d’uva, e anch’esso significa unità. Unità <strong>di</strong> cose simili, uguali, utili. Qu<strong>in</strong><strong>di</strong><br />

anche verità e fraternità, sono cose che stanno bene <strong>in</strong>sieme.”<br />

parole che un vecchio contad<strong>in</strong>o chiosa <strong>in</strong> chiave simbolica:<br />

“Il pane e il v<strong>in</strong>o della comunione”… “Il grano e l’uva calpestati. Il corpo e il sangue.”<br />

L’<strong>in</strong>terpretazione metaforica del sacrificio <strong>di</strong> Pietro Murica, martire laico della<br />

fede rivoluzionaria, passa attraverso l’evocazione dell’archetipo cristiano e trova <strong>in</strong><br />

esso ulteriori agganci: nove mesi (contati dalla madre dell’ucciso all’<strong>in</strong>verso, specularmente<br />

al ritmo del tempo agricolo) servono a una donna (la vite, lo stelo <strong>di</strong><br />

paglia) per partorire un figlio (il grappolo, la spiga), nove ne occorrono perché<br />

matur<strong>in</strong>o il grano e l’uva.

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