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GIANNETTA MURRU CORRIGA<br />

allo sfruttamento dell’energia idraulica. La spiegazione del mancato<br />

impianto dei mul<strong>in</strong>i va dunque cercata altrove, forse nelle con<strong>di</strong>zioni<br />

produttive e nelle pratiche alimentari della regione, dove una popolazione<br />

scarsa e <strong>di</strong>stribuita <strong>in</strong> comunità isolate fra loro si alimentava<br />

<strong>in</strong> grande misura, ancora nella prima metà del Novecento, del prodotto<br />

<strong>di</strong> una cerealicoltura povera, <strong>in</strong>tegrata dalla panificazione delle<br />

ghiande. Dove, cioè, l’esiguità della quantità annua <strong>di</strong> cereali da mac<strong>in</strong>are<br />

non era tale da giustificare l’abbandono della strumentazione<br />

tra<strong>di</strong>zionale, a favore <strong>di</strong> un’<strong>in</strong>novazione tecnologica ad alto tasso <strong>di</strong><br />

<strong>in</strong>vestimenti (Da Re, 1990).<br />

La mac<strong>in</strong>a idraulica, si sa, produce sfar<strong>in</strong>ati più sottili rispetto alla<br />

mac<strong>in</strong>a ad as<strong>in</strong>ello. Per quanto nulla sia emerso <strong>in</strong> proposito dalle testimonianze<br />

orali, si può forse anche ipotizzare che la <strong>di</strong>versa forma e<br />

consistenza fra carasau e pistoccu, a sfoglie gran<strong>di</strong> e sottili l’uno, a<br />

sfoglie piccole e spesse l’altro, abbia una qualche relazione con le <strong>di</strong>fferenze<br />

prodotte nel mac<strong>in</strong>ato dai <strong>di</strong>versi sistemi <strong>di</strong> molitura.<br />

Sia <strong>in</strong> Barbagia sia <strong>in</strong> Ogliastra la panificazione dell’orzo presupponeva<br />

l’uso del lievito d’orzo: su ghimisone per l’orgiathu e su pane’onu<br />

per il pistoccu. Al <strong>di</strong> là dei mo<strong>di</strong> <strong>di</strong>versi <strong>di</strong> denom<strong>in</strong>arlo, si<br />

tratta fondamentalmente dello stesso tipo <strong>di</strong> fermento, la cui preparazione<br />

poteva però comportare operazioni <strong>in</strong> parte <strong>di</strong>verse.<br />

A forma <strong>di</strong> grande focaccia, su ghimisone si ottiene col semplice impasto,<br />

non lavorato, <strong>di</strong> semola ed acqua. Si <strong>in</strong>forna nel forno molto<br />

caldo, ma senza fiamma o braci, f<strong>in</strong>o alla formazione <strong>di</strong> una crosta<br />

bruna. Si lascia raffreddare, per giorni, al lento raffreddarsi delle pareti<br />

del forno, e <strong>in</strong>f<strong>in</strong>e si mette a “maturare” dentro un canestro coperto da<br />

teli <strong>di</strong> lana. Si ottiene, con questo lungo processo, nella parte <strong>in</strong>terna e<br />

morbida del ghimisone, la fermentazione <strong>di</strong> microrganismi e l’attivazione<br />

<strong>di</strong> enzimi che mescolati all’impasto <strong>di</strong> semola e acqua lo renderanno<br />

manipolabile ed elastico, e atto alla panificazione.<br />

Un ghimisone, che normalmente aveva il peso <strong>di</strong> c<strong>in</strong>que chilogrammi,<br />

era sufficiente per panificare due starelli <strong>di</strong> orzo (80 kg), e il<br />

numero <strong>di</strong> ghimisones variava a seconda della quantità complessiva <strong>di</strong><br />

semola da confezionare.<br />

Il pane’onu, ottenuto anch’esso da un impasto non lavorato <strong>di</strong> semola<br />

(farigu) e acqua, aveva forma <strong>di</strong> pagnotta. Variava la tecnica <strong>di</strong><br />

cottura: a Urzulei, <strong>in</strong>fatti, come <strong>in</strong> Barbagia, si usava farlo cuocere al<br />

forno, a Baunei e a Talana, <strong>in</strong>vece, si faceva cuocere <strong>in</strong> su testu (Baunei)<br />

o preda’e pane’onu (Talana), piccola lastra <strong>di</strong> granito collocata<br />

sopra un treppiede e riscaldata alla brace.<br />

Confezionato con un chilogrammo <strong>di</strong> semola, un pane’onu era<br />

sufficiente per lavorare <strong>di</strong>eci chilogrammi <strong>di</strong> far<strong>in</strong>a, da cui si ricava-

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