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J. Lotman e I. Silone: Lo spazio e l’eroe <strong>in</strong> V<strong>in</strong>o e Pane e La volpe e le camelie<br />

<strong>di</strong>gnità e rispetto. Il colloquio con la figlia che s<strong>in</strong>o a questo momento<br />

egli ha sentito a sé aff<strong>in</strong>e, è illum<strong>in</strong>ante:<br />

387<br />

“Mi auguravo per te un uomo non banale…”<br />

“Un eroe?”…<br />

“No, semplicemente un uomo onesto.”<br />

“Non credo che l’uomo da me scelto sia <strong>di</strong>sonesto.”<br />

“Gli è consentito <strong>di</strong> andare e venire attraverso questa maledetta frontiera,<br />

con passaporto regolare. Mi basta per farmene un’idea.”<br />

“Egli non si occupa <strong>di</strong> politica.”<br />

“Sotto una <strong>di</strong>ttatura è uno dei più como<strong>di</strong> mo<strong>di</strong> <strong>di</strong> essere <strong>di</strong>sonesto.” (109)<br />

La delusione non ferma la lotta, fa aumentare la <strong>di</strong>ffidenza (mai<br />

abbandonata neppure dentro le pareti domestiche) che f<strong>in</strong>isce per <strong>di</strong>ventare<br />

esplicita – “In questo lavoro non mi sono mai fidato <strong>di</strong> nessuno,<br />

se lo vuoi sapere. Neppure delle mie figlie. Ho sempre fatto tutto<br />

da me.” (p. 141) – mettendo <strong>in</strong> crisi il suo rapporto con l’universo familiare<br />

e il suo vigore ideologico: la responsabilità <strong>di</strong> capofamiglia<br />

contrasta con la sua libertà d’azione politica poiché famiglia e podere<br />

gli legano le mani, l’imprigionano al luogo, <strong>di</strong>sperdono la sua tensione<br />

alla lotta che ha bisogno <strong>di</strong> impegno e <strong>di</strong> de<strong>di</strong>zione totali:<br />

“Io non posso mica cambiare <strong>di</strong> nuovo residenza. Ho una famiglia a carico,<br />

un podere.”<br />

“Ecco perché” proseguì Agost<strong>in</strong>o sul tono recrim<strong>in</strong>atorio “secondo certuni,<br />

la rivoluzione non possono farla che gli scapoli e i poveri.” (144)<br />

La <strong>di</strong>ffidenza si trasforma <strong>in</strong> ira e <strong>in</strong> sfiducia quando Daniele s’accorge<br />

che l’ospite, penetrato nella sua casa subdolamente, è sparito.<br />

La sua violenza evoca quella <strong>di</strong> Ludovico contro i libri sopravissuti al<br />

primo rogo: il fuoco con cui Daniele brucia la stampa clandest<strong>in</strong>a<br />

evoca il falò dei libri <strong>di</strong> Silvia, sua madre; il gesto con cui sono dati<br />

alle fiamme gli opuscoli compromettenti riporta alla mente quello <strong>di</strong><br />

Ludovico contro le manie fantastiche della moglie; <strong>in</strong> entrambi i<br />

casi, <strong>in</strong>f<strong>in</strong>e, il narratore parla <strong>di</strong> autodafè:<br />

La signora Silvia assistette ai preparativi dell’autodafè senza pronunciare<br />

una parola, pallida ed esterrefatta; i suoi occhi erano fissi su Daniele. (16)<br />

L’autodafè durò mezz’ora. (134)<br />

Ma l’effetto più devastante è dato dal senso d’<strong>in</strong>utilità che Daniele<br />

(come Agost<strong>in</strong>o) prova: la sfiducia che sentiva nei confronti della sua<br />

famiglia (tutte donne, peraltro: la moglie Filomena, le due figlie, Silvia<br />

e Luisa) sembra travolgere conv<strong>in</strong>zioni politiche e motivazioni <strong>di</strong>

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