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Scarica il pdf - Associazione Nazionale Magistrati

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Mariano Sciacca<br />

Fissare <strong>il</strong> carico sostenib<strong>il</strong>e significa incidere su questa incongruenza, consentendo<br />

al singolo magistrato ed all’ufficio di lavorare nell’ambito e con riferimento<br />

alle loro effettive, concrete possib<strong>il</strong>ità di gestione dei procedimenti.<br />

Al contrario, la mancata individuazione del carico di lavoro consente soltanto di<br />

riversare sul singolo magistrato la responsab<strong>il</strong>ità delle disfunzioni e delle incoerenze<br />

dell’intero sistema.<br />

L’attuale determinazione delle piante organiche degli uffici giudiziari effettuata<br />

senza alcun riferimento al concreto carico di lavoro che ciascun magistrato, nell’ambito<br />

di un determinato settore, può realmente sostenere, di per sé “determina”,<br />

in realtà, proprio le condizioni dell’inevitab<strong>il</strong>e inefficienza dell’intero sistema, costruito<br />

sulla “sabbia” di dati che prescindono dagli obiettivi che, in teoria, si vorrebbero<br />

perseguire.<br />

L’individuazione di questo parametro consentirebbe, altresì, di rendere “omogeneo”<br />

<strong>il</strong> carico di lavoro di ciascun magistrato nei diversi uffici del territorio nazionale,<br />

caratterizzati ora, nel settore civ<strong>il</strong>e, da osc<strong>il</strong>lazioni dell’entità dei rispettivi<br />

carichi anche notevoli (dai 200 ai 2000 procedimenti per magistrato), con evidente<br />

incidenza sulle modalità e sulle condizioni di espletamento del medesimo “mestiere”<br />

di giudice.<br />

A livello tabellare, poi, senza questo importante parametro di riferimento, i capi<br />

degli uffici provvedono attualmente all’assegnazione dei magistrati - destinati al<br />

proprio ufficio per effetto di un aumento di organico - al settore penale o ad al settore<br />

civ<strong>il</strong>e secondo valutazioni sostanzialmente discrezionali, che possono anche<br />

prescindere dalla considerazione del relativo carico di lavoro (che, appunto, costituisce<br />

un’entità non meglio precisata).<br />

Nell’ambito delle varie Sezioni ugualmente alcuni ruoli eccessivamente carichi<br />

vengono “ereditati” dai diversi magistrati che si alternano nel medesimo ruolo nel<br />

corso degli anni, senza neanche che venga avvertita, in mancanza di un parametro<br />

certo, la necessità di interventi correttivi all’interno della medesima Sezione (diretti<br />

a riequ<strong>il</strong>ibrare <strong>il</strong> carico dei diversi ruoli) o dell’ufficio (mediante l’assegnazione di<br />

ulteriori magistrati, togati e non, alla Sezione interessata ai fini di una ridistribuzione<br />

dei ruoli sovraccarichi).<br />

Anche l’apporto del nuovo Ufficio per <strong>il</strong> processo sarà vanificato se non si incide<br />

in modo significativo sui carichi di lavoro, atteso che, comunque, spetterà al<br />

singolo giudice l’attività più r<strong>il</strong>evante e più impegnativa per la definizione di ogni<br />

processo, e cioè lo studio, l’individuazione della soluzione giuridicamente corretta e<br />

la redazione materiale della relativa sentenza: attività questa che richiede <strong>il</strong> maggior<br />

tempo, spesso anche superiore a quello richiesto allo stesso giudice per l’istruzione<br />

del processo, e che va, pertanto, calibrata con riferimento ad un determinato carico<br />

di lavoro, per non causare comunque ritardi ed inefficienze.<br />

L’individuazione del “carico di lavoro” esigib<strong>il</strong>e già effettuata dal Csm in sede<br />

disciplinare non è affatto sufficiente sotto <strong>il</strong> prof<strong>il</strong>o organizzativo.<br />

Invero, <strong>il</strong> carico di lavoro di cui si parla nella sentenza n.8/2002 della Sezione<br />

disciplinare del Csm si riferisce ad un orario di lavoro svolto dal magistrato (36 ore<br />

settimanali), desumib<strong>il</strong>e dall’attività espletata (sostanzialmente provvedimenti ed<br />

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