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Scarica il pdf - Associazione Nazionale Magistrati

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Un progetto per la giustizia<br />

In questo quadro gli standard medi di rendimento che l’art. 11 del d.lgs<br />

160 come riformulato dalla l. 111 del 2007 prevede come uno degli indicatori<br />

del parametro della laboriosità non indicano né un minimo sufficiente<br />

scendendo al di sotto del quale si viene puniti, né la soglia di un premio di<br />

produzione, magari imposto dall’efficientismo ottuso di un dirigente ambizioso<br />

che vuole fregiarsi di qualche medaglia. Esso esprime un rapporto tra<br />

<strong>il</strong> lavoro del magistrato e le condizioni complessive in cui egli lo svolge. Nella<br />

legge la laboriosità è ancorata alla produttività (che è numero e qualità) e<br />

al tempo di definizione. Non è un lapsus <strong>il</strong> fatto che nella circolare si parli<br />

non tanto di standard di rendimento, ma di standard di «definizione dei<br />

procedimenti», perché in tale formulazione, per quanto possa sembrare solo<br />

una sfumatura terminologica, sembra meglio compresa non solo quella variab<strong>il</strong>e<br />

tempo che può rimanere estranea ad un mero rendimento numerico,<br />

ma perché essa è in sintonia con <strong>il</strong> senso complessivo della costruzione di<br />

un sistema di valutazione della professionalità (e a ricaduta di conferimento<br />

della dirigenza, di analisi dei flussi, di formazione delle tabelle) che tenga<br />

conto della finalità del servizio giustizia che non è quella di produrre atti, ma<br />

di definire procedimenti, di dare cioè risposte in termini di risoluzione di<br />

controversie o di valutazione di responsab<strong>il</strong>ità.<br />

Tutto <strong>il</strong> circuito fisiologico della giustizia deve perciò tendere ad aumentare<br />

l’efficienza, facendo leva sull’autogoverno diffuso e riferimento a quello<br />

centrale. Ogni sforzo deve essere diretto verso lo stesso risultato, che è<br />

quello di un miglior servizio reso in condizioni migliori anche per i giudici.<br />

Il circuito disciplinare non c’entra niente con la fisiologia, sia pure di un<br />

organismo così malandato come quello del sistema giudiziario, esso attiene<br />

alla patologia non degli uffici, ma delle condotte dei singoli. Il sistema disciplinare<br />

non è mai stato e non può diventare un mezzo per incrementare<br />

l’efficienza del servizio o una sorta di “controllo di produzione punitivo”,<br />

anche quando sanziona i ritardi.<br />

A me sembra che si faccia, nei fatti, dell’allarmismo ingiustificato quando<br />

si cerca di stab<strong>il</strong>ire un corto circuito tra standard di rendimento, obbligatorietà<br />

dell’azione disciplinare e tipizzazione dell’<strong>il</strong>lecito, costruendoli come<br />

anelli di una catena che vuol far ricadere sul più debole la responsab<strong>il</strong>ità di<br />

disservizi che sono strutturali. C’è chi sta facendo, nella magistratura, la stessa<br />

operazione di quelli che, in chiave protezionistica e securitaria, nel Paese<br />

amplificano strumentalmente l’allarme sulla sicurezza.<br />

Stiamo alle norme: l’art. 18 della legge delle guarentigie richiedeva la lesione<br />

del prestigio dell’ordine o della credib<strong>il</strong>ità del giudice, che poteva discendere<br />

anche solo da un, purché r<strong>il</strong>evante ed eclatante, ritardo; l’art. 2<br />

comma 1, lett. q) del d.lgs 109, tipizzando gli <strong>il</strong>leciti, richiede che <strong>il</strong> ritardo

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