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Paola Di Nicola
Il clima politico e sociale nel nostro Paese è cambiato, tanto che costituisce
oggetto dell’agenda politica la rivisitazione dei diritti sanciti nella prima
parte della Costituzione repubblicana, senza che nessuno si faccia sentire.
Il rapporto con le istituzioni si è sfilacciato perché la cattiva politica ha
sostituito e inquinato il gioco della rappresentanza; altri soggetti e nuovi diritti
si affacciano nel proscenio e rivendicano visibilità.
Le sfide della globalizzazione e del suo costo ambientale ci interrogano a
tutti i livelli.
Al diritto viene chiesto sempre più di interferire nella sfera morale ed intima
di ciascuno (procreazione assistita, eutanasia, ecc.).
Poteri occulti e fiumi di denaro controllati e fittiziamente costruiti
dall’alta finanza hanno preso il posto del tradizionale sistema di produzione
e non consentono di fissare regole riconoscibili ed efficaci.
Il Terzo e il Quarto Mondo urlano ai nostri confini.
Questo sinteticamente il contesto che deve essere tenuto presente se si
vuole evitare di vivere in una torre d’avorio sorda alle istanze reali in cui opera.
Non deve sfuggire che l’Anm ha una posizione del tutto particolare perché
non è un sindacato, ma è l’organismo di rappresentanza di un’istituzione,
l’istituzione giudiziaria.
Le spinte sindacalistiche e rivendicative non possono appiattire il quadro
di riferimento generale in cui si collocano, altrimenti l’Anm diventa né più
né meno che una corporazione.
Così come l’alto progetto istituzionale che deve guidare le scelte
dell’organo associativo non deve formarsi tra i pochi fedeli delle correnti,
ma coinvolgere a tutti i livelli ciascuno di noi.
La critica che muovo alla mia associazione è la sua burocratizzazione, che
troppo spesso le ha fatto perdere il contatto con la realtà degli uffici, con le
difficoltà ambientali del meridione in cui operano gran parte dei colleghi,
con le inefficienze che nascono non tanto e non solo dalla mancanza di carta
e di toner ma da alcuni dirigenti degli uffici giudiziari incapaci, preoccupati
di assumersi le responsabilità o collegati in modo promiscuo all’affarismo
e alla politica.
Basta uno di loro per far perdere il senso della legalità, dello stato di diritto,
della coerenza, della fiducia nelle istituzioni, a migliaia di persone che vivono
in un territorio e per screditare il lavoro degli altri magistrati.
È sul coraggio della denuncia di queste situazioni che l’Anm deve puntare;
è sul far sentire ai colleghi, ovunque essi siano, che la magistratura è unita
nell’obiettivo di sradicare al proprio interno centri di potere, neghittosità,
incapacità, inefficienze, promiscuità e opacità; è nel non lasciare nessuno di
noi solo a combattere e a resistere.
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