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Un progetto per la giustizia<br />

come diverse concezioni del diritto penale, dell’intervento penale a “governo”,<br />

appunto, di fenomeni sociali - in questo caso non di rado drammatici<br />

- trasferiscano, o abbiano idoneità a trasferire sulla giurisdizione, <strong>il</strong><br />

peso di tutte le tensioni che <strong>il</strong> fenomeno stesso genera nella società, e, atteso<br />

l’impatto, anche numerico, dei casi che la scelta di criminalizzazione<br />

implica, a trasferire, dunque, sulla giurisdizione, <strong>il</strong> quasi ovvio esito fallimentare:<br />

migliaia di procedimenti pendenti, con la solita, inalterata incapacità<br />

strutturale di farvi fronte, in questo caso ovviamente accresciuta.<br />

Ed allora, nella logica della valutazione di “efficienza”, gli esiti di una<br />

sim<strong>il</strong>e scelta potranno essere fac<strong>il</strong>mente imputati alla giurisdizione: al giudice<br />

che libera immediatamente <strong>il</strong> clandestino, “vanificando”, come si dice<br />

spesso, <strong>il</strong> lavoro delle forze di polizia, al pm che non individua e/o non<br />

identifica <strong>il</strong> clandestino, lasciandolo libero per <strong>il</strong> Paese… alla “giustizia”<br />

nel suo insieme, che non lavora nella direzione che la comunità si aspetta e<br />

non dà le risposte nei tempi e nei modi che la politica ha promesso al Paese.<br />

Più in generale, c’è dunque <strong>il</strong> problema del forte impatto<br />

sull’ordinamento, e sulla giurisdizione, delle scelte politiche di fondo, in<br />

un’epoca che vede emergere diverse e profonde inquietudini sociali, in<br />

parte autentiche, in parte artificiosamente alimentate. E non a caso, è stata<br />

di recente ut<strong>il</strong>izzata, da un importante studioso americano, Jonathan Simon,<br />

la formula “governo attraverso la criminalità” - acutamente contrapposta<br />

al “governo della criminalità” - ad indicare, con la prima formula,<br />

patologiche e pericolose torsioni della stessa democrazia, laddove le sue<br />

strutture portanti - nel nostro caso, la giurisdizione - subiscono distorsioni,<br />

talvolta drammatiche, derivanti da scelte politiche frequentemente emergenziali.<br />

Anche nel corso del nostro Congresso, non più tardi di questa mattina,<br />

abbiamo avuto un’ulteriore dimostrazione dell’esistenza e r<strong>il</strong>evanza di questo<br />

problema: mi riferisco ad un passaggio dell’intervento del Ministro della<br />

Giustizia, on. Alfano, di cui mi ha colpito un passaggio, che credo di<br />

aver annotato testualmente, laddove - anche rispondendo alle numerose<br />

critiche formulate in relazione alle annunciate misure in materia di immigrazione,<br />

ad iniziare dalla proposta di introduzione del reato di immigrazione<br />

clandestina - sostiene che «l’intervento del legislatore nella materia<br />

dell’immigrazione nasce dal fallimento del sistema delle espulsioni». Pur<br />

ovviamente rispettando <strong>il</strong> merito della scelta, ed apprezzando persino la<br />

chiara enunciazione della volontà politica ad essa sottesa, non si può non<br />

evidenziare che un sim<strong>il</strong>e assunto muove da un’idea del processo penale<br />

profondamente sbagliata: governare un “fenomeno sociale” - nel caso di<br />

specie, quello drammatico dell’immigrazione - laddove non vi è riuscita<br />

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