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Luca Poniz<br />

l’amministrazione; criminalizzare comportamenti, peraltro, numericamente<br />

r<strong>il</strong>evantissimi - come se fosse l’annuncio della sanzione a fungere da deterrente….<br />

- e, dunque, trasferire sul processo penale <strong>il</strong> compito di porre<br />

fine a comportamenti ritenuti socialmente forieri di insicurezza, come se<br />

non fosse stato sufficiente <strong>il</strong> già acclarato fallimento di sim<strong>il</strong>i pregresse<br />

scelte in materia (ognuno conosce, crediamo, le assurdità praticheapplicative<br />

determinate dal reato previsto dall’art. 14 co. 5 ter del decreto<br />

286/98, introdotto dalla legge 189/2002). L’effetto, si sa, è quello di inondare<br />

Procure e Tribunali di centinaia di migliaia di ipotesi di reato, attendere<br />

dal processo un’ipotetica condanna dell’immigrato, confidare - non si<br />

sa su quali presupposti - che essa risolva <strong>il</strong> problema dell’irregolarità<br />

dell’immigrato, immaginare che ad essa consegua l’espulsione - che è proprio<br />

ciò a cui tende l’odierna scelta, come chiaramente annunciato dal Ministro<br />

- come se fosse <strong>il</strong> processo ad operarla, e non quell’amministrazione<br />

(dell’Interno, nel caso di specie) dal cui pregresso “fallimento”, per usare<br />

le stesse parole del Ministro, muove <strong>il</strong> presupposto stesso della norma….Un<br />

evidente circolo vizioso, ove la scelta politica - certo legittima, è<br />

chiaro - ha una marcata valenza simbolica, muove da un (solo dichiarato)<br />

rigorismo sanzionatorio, aspettando da questo esiti di efficienza sulla gestione<br />

del problema-immigrazione, in realtà impossib<strong>il</strong>i per l’inidoneità del<br />

processo a garantirli. Con l’ulteriore effetto, drammaticamente paradossale,<br />

di chiamare poi un giorno la giurisdizione a rispondere, ed a vederle<br />

imputato, un fallimento dell’intervento che è persino naturale attendersi al<br />

momento stesso del compimento della scelta legislativa.<br />

Ed a fronte della scelta, mai politicamente neutra, ovviamente, di trasferire<br />

sulla giurisdizione compiti sempre nuovi e, in alcuni casi, assai r<strong>il</strong>evanti<br />

per <strong>il</strong> loro impatto sulla società e, si badi, sulle aspettative della società<br />

civ<strong>il</strong>e, aspettative alimentate dalla dichiarata o forse per meglio dire pretesa<br />

efficacia risolutiva, non si assiste mai - lo potremmo dire senza tema<br />

di smentita almeno per gli ultimi quindici anni - ad un parallelo intervento<br />

sulle strutture che dovrebbero sopportare un sim<strong>il</strong>e impatto: la giurisdizione<br />

nel suo complesso, le sue dotazioni, gli strumenti, insieme organizzativi<br />

e processuali.<br />

A fronte di una crescita smisurata dell’intervento penale, ad una sua<br />

ormai indiscutib<strong>il</strong>e eterogeneità, a fronte dell’emergere e del crescere di<br />

fenomeni criminali nuovi e per molti tratti diversi, lo strumento fondamentale<br />

del processo penale rimane quello di un modello oramai indecifrab<strong>il</strong>e,<br />

un codice che sembra concepito in odio alle indagini ed al processo.<br />

L’elenco delle gravi inadempienze della politica rispetto alla giurisdizione<br />

è lungo, e credo ben noto: rimarcarlo, qui, serve a supportare l’idea, che<br />

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