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Vito D’Ambrosio<br />

fenomeni particolarmente tragici, come <strong>il</strong> terrorismo e la criminalità organizzata.<br />

La conclusione di una riflessione collettiva di quanti si occuparono<br />

professionalmente di queste due emergenze fu che l’apparto repressivo tradizionale<br />

non sarebbe stato in grado di fronteggiarle efficacemente se non<br />

fosse stato affiancato da uno sforzo massiccio nell’ambito della società civ<strong>il</strong>e<br />

(ricordo solo le riflessioni di Dalla Chiesa, Falcone, Borsellino, nonché dei<br />

colleghi più impegnati nelle indagini sul terrorismo, da Caselli ad Alessandrini,<br />

a D’Ambrosio). E la tesi, per quanto riguarda la criminalità organizzata,<br />

è stata sempre più condivisa con <strong>il</strong> passare del tempo e <strong>il</strong> rafforzarsi delle<br />

strutture criminali, mentre per <strong>il</strong> terrorismo la vicenda ha seguito una traiettoria<br />

diversa.<br />

Pur trattandosi di tematiche non più di moda, o meglio tornate di moda<br />

in una versione preoccupante, alcune conclusioni di allora sono ancora valide,<br />

e vanno ricordate anche oggi, che <strong>il</strong> rapporto tra giustizia e politica si<br />

muove su un terreno particolarmente accidentato.<br />

Così a me non interessa dare una risposta alla domanda che si legge sui<br />

giornali in questi giorni, se cioè la magistratura è in pace o in guerra con <strong>il</strong><br />

potere politico, sia perché questo è <strong>il</strong> modo peggiore di porre <strong>il</strong> problema,<br />

sia perché io continuo ad essere convinto che la questione reale della giustizia<br />

in Italia, cioè <strong>il</strong> pessimo funzionamento di un servizio pubblico essenziale<br />

in una democrazia effettiva, può essere avviata a soluzione solo con una<br />

leale collaborazione tra istituzioni, principio cardine della giurisprudenza costituzionale.<br />

E voglio spiegarmi con <strong>il</strong> massimo di chiarezza.<br />

Stando alle regole classiche dell’organizzazione e del funzionamento dei<br />

poteri in una democrazia, a magistratura e potere politico spettano compiti<br />

profondamente diversi. Il nostro compito, quello della magistratura che «costituisce<br />

un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere», secondo<br />

l’articolo 104 della Costituzione, è duplice: infatti ai magistrati non spetta<br />

solo l’applicazione della legge, come si pensa generalmente, ma anche lo<br />

stimolo per una verifica di fondatezza su eventuali dubbi di contrasto della<br />

legge con la Costituzione (e questo secondo compito non è meno importante<br />

del primo).<br />

Però, in quello spazio grigio che precede l’approvazione di una legge, abbiamo,<br />

e conserviamo e dobbiamo mantenere la voglia, la capacità, la responsab<strong>il</strong>ità,<br />

non politica ma istituzionale, di fornire al legislatore una serie<br />

di osservazioni, una serie di nostre valutazioni, se vogliamo anche una serie<br />

di suggerimenti, che poi ovviamente <strong>il</strong> legislatore potrà ascoltare o ignorare,<br />

ma che comunque abbiamo <strong>il</strong> dovere di fornirgli se non altro per concretizzare<br />

quel dovere di reale collaborazione tra le istituzioni cui la Corte costitu-<br />

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