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Scarica il pdf - Associazione Nazionale Magistrati

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Un progetto per la giustizia<br />

copyright da tutelare o di strumentalizzazioni correntizie? Di questo pensavo<br />

e speravo ci parlasse Tinti, che da tempo si segnala per parlare tanto di<br />

degenerazioni correntizie: del fatto cioè che questa questione dei carichi esigib<strong>il</strong>i<br />

stia diventando un problema di una corrente che la vuole affrontare,<br />

mentre le altre non la vogliono. Ma stiamo scherzando? Allora <strong>il</strong> discorso<br />

deve partire anche da questa richiesta, da questi stimoli, rispetto ai quali giustamente<br />

questa mattina Marcello Matera ci invitava a una grande capacità<br />

di ascolto, perché io non minimizzo assolutamente quel dato che ci richiamava<br />

poco fa Mariano Sciacca: un documento firmato da 140 colleghi, da<br />

persone che vivono tutte in determinate realtà, ben diverse da quelle che viviamo<br />

noi che facciamo i giudici in luoghi fortunatamente meno disgregati,<br />

ragion per cui troppo fac<strong>il</strong>mente a volte i temi affrontati da quel documento<br />

finiscono quasi snobisticamente per diventare temi poco r<strong>il</strong>evanti.<br />

La questione ci deve interessare invece tutti, ma solo se la inseriamo in<br />

un discorso più ampio, in una prospettiva cioè globale di organizzazione alternativa<br />

a quella tradizionalmente ereditata da tutti noi.<br />

Alternativa cioè ad un assetto individualistico ed anarcoide, indifferente<br />

ai risultati ed alle priorità, insensib<strong>il</strong>e ai tempi ed ai costi delle procedure,<br />

parcellizzato ed irrazionalmente distribuito sul territorio. Allora ha un senso<br />

confrontarci, ragionare, portare avanti anche questa sacrosanta esigenza di<br />

affrontare <strong>il</strong> tema dei carichi esigib<strong>il</strong>i. Ma lo si deve fare solo all’interno di<br />

un discorso più ampio, altrimenti restiamo impantanati nella dimensione individualistica<br />

del problema, che costituisce <strong>il</strong> limite ed <strong>il</strong> rischio più evidente:<br />

a volte per <strong>il</strong> dato oggettivo, per la realtà dell’ufficio in cui operiamo che ci<br />

costringe ad essere individualisti, ad essere anarchici, ad essere isolati, ad essere<br />

abbandonati in balia degli eventi con capi che se ne fregano dei carichi<br />

che ci vengono riversati, che avallano o addirittura favoriscono o impongono<br />

<strong>il</strong> nonnismo giudiziario. Ma badate (e mi rivolgo soprattutto ai giovani)<br />

non crediate che <strong>il</strong> nonnismo giudiziario ci sia solo in certi uffici meridionali:<br />

è una regola generale, della nostra organizzazione che da sempre pensa<br />

che con <strong>il</strong> maturare dell’anzianità e dell’esperienza anziché avere, con l’età<br />

più matura, anche carichi maggiori e più impegnativi, al contrario questo<br />

procedere nella carriera deve comportare l’effetto opposto, e questo solo<br />

perché trent’anni prima, o venti o dieci l’hanno fatto a noi, noi allora dobbiamo<br />

perpetuarlo all’infinito sui nuovi arrivati. Vi sembra anche questo un<br />

modo saggio di affrontare i problemi della nostra organizzazione?<br />

Allora io dico che dobbiamo superare questa visione “leibniziana” del<br />

nostro lavoro, ovvero che ciascun magistrato sia una monade, chiusa rispetto<br />

agli altri, chiusa a quello che succede nell’ufficio, nella sezione, ecc.<br />

E allora queste spinte e questo disagio montante che stanno venendo<br />

fuori in tanti uffici e su cui dobbiamo riflettere tutti (perché <strong>il</strong> problema dei<br />

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