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Claudio Viazzi<br />

Claudio Viazzi<br />

presidente di Sezione, Tribunale di Genova<br />

Sono un poco sconcertato dalle cose negative che ho appena sentito dire<br />

in generale sull’<strong>Associazione</strong> perché mi sembra che proprio l’andamento di<br />

questo dibattito sia la migliore dimostrazione che stiamo facendo quello che<br />

Bruno Tinti esattamente ci imputa di non fare. Stiamo infatti discutendo dei<br />

problemi dell’organizzazione giudiziaria, che rappresenta la prima delle tre<br />

sessioni di questo Congresso, e che colloca al centro esattamente <strong>il</strong> tema dei<br />

carichi di lavoro; <strong>il</strong> che significa affrontare qualche cosa di ben più ampio,<br />

ovvero le condizioni generali in cui si svolge <strong>il</strong> nostro lavoro, cominciando<br />

dall’organizzazione degli uffici, al funzionamento dei quadri direttivi e via<br />

discorrendo fino al funzionamento del governo autonomo della magistratura.<br />

La questione organizzativa è sicuramente al centro della crisi di inefficienza<br />

e inefficacia dei processi evidenziando nessi strettissimi e intrecci plurimi<br />

tra le tre sessioni di questo Congresso: i riti e le norme, le disfunzioni<br />

organizzative, la professionalità delle categorie coinvolte nel pianeta giustizia.<br />

Nel ribadire la centralità della questione organizzativa, peraltro, si deve<br />

avere presente l’assoluta necessità di approcci completamente nuovi su due<br />

piani complementari che a loro volta si intrecciano: <strong>il</strong> solito piano dell’autoriforma,<br />

vale a dire <strong>il</strong> piano di quello che dobbiamo fare all’interno della giurisdizione,<br />

nonostante <strong>il</strong> quadro normativo dato, a tutti i livelli istituzionali,<br />

dal governo centrale, autonomo, al Ministero, tutti gli uffici, i singoli, perché<br />

l’autogoverno prima di tutto siamo noi, singoli, nei nostri uffici, nel nostro<br />

lavoro personale quotidiano; per passare poi all’altro piano, quello della riforma<br />

normativa indispensab<strong>il</strong>e per rendere più gestib<strong>il</strong>i i nostri uffici, per<br />

rendere la durata dei processi corrispondente a quel proclama altrimenti<br />

vuoto che sta nell’art. 111 della Costituzione. Su questi terreni abbiamo da<br />

qualche tempo, nel dibattito interno alla magistratura, una novità importantissima,<br />

ineludib<strong>il</strong>e, vera: <strong>il</strong> problema dei carichi. Mi limito a dire “carichi”,<br />

senza precisare ancora massimi, minimi, medi, perché qui sento ancora una<br />

certa confusione nella riflessione e nelle proposte, che probab<strong>il</strong>mente sottintendono<br />

modelli e concezioni diverse del ruolo del giudice. Alcuni parlano<br />

di massimi, altri di minimi, altri di medi e non è certo la stessa cosa, anzi:<br />

occorre allora fare chiarezza e la chiarezza passa solo attraverso la conoscenza<br />

e l’approfondimento del problema, evitando in primo luogo (perché<br />

questo sarebbe davvero deleterio) che questa questione diventi una questione<br />

di schieramenti. Ma siamo matti? Parliamo di un problema centrale<br />

dell’organizzazione e vogliamo farlo diventare un problema parrocchiale di<br />

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