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Scarica il pdf - Associazione Nazionale Magistrati

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Un progetto per la giustizia<br />

Ogni giudice che lavora in queste condizioni vede quotidianamente sospesa su<br />

di sé la “spada di Damocle” del procedimento disciplinare, che, a prescindere dal<br />

suo esito, costituisce un indubbio “disturbo” della serenità che dovrebbe caratterizzare<br />

ed indirizzare l’esercizio della funzione giurisdizionale.<br />

Anche in questo caso, dunque, la determinazione del carico di lavoro sostenib<strong>il</strong>e<br />

eviterebbe l’"ipocrisia” di un’azione disciplinare esercitata indistintamente, nel<br />

vano tentativo di risolvere a questo livello, sanzionando <strong>il</strong> singolo magistrato, le incongruenze<br />

dell’intero sistema, attualmente non calibrato, sotto <strong>il</strong> prof<strong>il</strong>o organizzativo,<br />

per garantire la ragionevole durata dei processi.<br />

Limitando, conseguentemente, l’esercizio dell’azione disciplinare alle ipotesi di<br />

gravi ritardi verificatisi nella gestione di un carico di lavoro ritenuto sostenib<strong>il</strong>e, i<br />

criteri indicati nella citata sentenza della Sezione disciplinare sarebbero correttamente<br />

applicati per una verifica “seria”, effettiva, rigorosa dell’attività concretamente<br />

svolta dal magistrato.<br />

Il parametro del “giusto carico” consentirebbe, in tal modo, di individuare situazioni<br />

di ritardi realmente “patologici”, perché determinati effettivamente da<br />

scarsa laboriosità del magistrato, rendendo efficace l’attività diretta a colpire tali<br />

condotte negative.<br />

Anche con riferimento alla valutazione di professionalità è impensab<strong>il</strong>e prescindere<br />

da una preventiva determinazione del carico di lavoro sostenib<strong>il</strong>e, stante<br />

l’indubbia e r<strong>il</strong>evante incidenza di un’eccessiva gravosità dei ruoli su importanti parametri<br />

di valutazione.<br />

Lavorare sotto la pressione di un numero esorbitante di processi, senza alcun<br />

effettivo supporto da parte del personale di cancelleria e, dunque, in una condizione<br />

di assoluta “solitudine organizzativa” e, normalmente, senza alcuna specializzazione,<br />

impone necessariamente, per garantire un “minimo” di funzionalità<br />

all’Ufficio, di sv<strong>il</strong>uppare “specifiche” capacità di sintesi e di velocità nella redazione<br />

dei provvedimenti, che va chiaramente a discapito della «chiarezza e completezza<br />

espositiva».<br />

Ma, d’altra parte, delle due l’una: se si vuole <strong>il</strong> “bel” provvedimento in queste<br />

condizioni di lavoro si deve rinunciare anche a quel “minimo” di produttività garantito,<br />

e viceversa.<br />

Richiedere, poi, in sim<strong>il</strong>i contesti, sempre ai fini della valutazione della capacità,<br />

eventuali «pubblicazioni di provvedimenti giudiziari o di altri contributi aventi r<strong>il</strong>ievo<br />

scientifico» significa non avere alcuna precisa conoscenza di queste realtà lavorative<br />

e, nello stesso tempo, indirizzare le energie verso una direzione che inciderebbe<br />

ancora più gravemente sull’efficienza complessiva dell’Ufficio.<br />

Nello stesso tempo, si crea, altresì, di fatto, una ingiustificata sperequazione,<br />

con riferimento al parametro della capacità, fra magistrati costretti a lavorare con<br />

ruoli sovraccarichi e magistrati con carichi adeguati o sottodimensionati e, magari,<br />

specializzati.<br />

Anche <strong>il</strong> «numero di procedimenti e processi definiti per ciascun anno», in relazione<br />

al parametro della laboriosità, è in realtà un dato “distorto” e “fuorviante” in<br />

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