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Pasquale D’Ascola<br />

se chiamate nella medesima udienza, si rivela ingestib<strong>il</strong>e laddove <strong>il</strong> giudice<br />

non abbia competenza specializzata. A questo fenomeno sembra opportuno<br />

rispondere in modo articolato ma chiaro: a) appare a molti che nuovi interventi<br />

sul processo in assenza di massicci investimenti nelle strutture e nelle<br />

risorse siano privi di effetto, non potendo incidere significativamente sulla<br />

durata dei giudizi civ<strong>il</strong>i; b) è quindi urgente metter mano prima alle riforme<br />

strutturali sulla revisione delle circoscrizioni, sulle modalità di organizzazione<br />

dei servizi, di cui si parla in altra sessione congressuale, di ricezione e<br />

verbalizzazione degli atti difensivi, informatizzazione di tutti gli atti processuali,<br />

per comprendere se tali investimenti, assistiti da un orientato sostegno<br />

economico possano risollevare le condizioni dell’apparato. In proposito appare<br />

insufficiente un incremento a pioggia delle disponib<strong>il</strong>ità finanziarie: è<br />

bene scegliere interventi mirati con i quali puntare a risultati concreti<br />

nell’andamento di uffici e servizi.<br />

Quanto alla proliferazione di riti (C. Consolo e M. De Cristofaro, Evoluzioni<br />

processuali fra translatio iudicii e riduzione della proliferazione dei riti e dei ritualismi,<br />

in Corr giur., 2007, 745) una risposta va però data: deve essere indiscutib<strong>il</strong>mente<br />

nel segno della semplificazione e della unificazione. Il rito<br />

competitivo del 2005 ha in parte raggiunto l’obiettivo di accorpare udienze e<br />

scansare in alcuni casi quelle inut<strong>il</strong>i (è definito dagli autori testé citati rito nudo,<br />

ossuto e senza fronzoli dopo la modifica del 2006): come tutte le normative<br />

a scansione rigida o comunque non fac<strong>il</strong>mente maneggiab<strong>il</strong>e (si pensi all’incedere<br />

dei tre termini temporali previsti per <strong>il</strong> deposito di scritti difensivi in<br />

corso di causa) non soddisfa le esigenze di dutt<strong>il</strong>ità di cause complesse o<br />

pluriparti; soprattutto, però, essendo stato eluso in troppe materie sensib<strong>il</strong>i,<br />

non ha modo di esplicare le potenzialità di adattamento che pure avrebbe,<br />

ove <strong>il</strong> giudice potesse applicarsi solo ad esso per attuare le differenziazioni<br />

del caso. In dottrina, ma anche negli auspici del Cnf oltre che dei documenti<br />

Anm, sono state proposte varie forme di ricompattamento dei riti di trattazione<br />

ordinaria (così C. Consolo, Il coordinamento tra <strong>il</strong> nuovo art. 183 ed altre disposizioni<br />

sul processo civ<strong>il</strong>e. Il mancato ricompattamento dei riti, in Corr. giur., 2007,<br />

1761), auspicate al fine di restituire efficacia all’azione del giudice, ma <strong>il</strong> tramonto<br />

della legislatura ha per ora fermato l’incedere di questo progetto.<br />

L’intuizione che sembra preferib<strong>il</strong>e è, secondo chi scrive, quella, autorevolmente<br />

tratteggiata (A. Proto Pisani, Dai riti speciali alla differenziazione del rito<br />

ordinario, in Foro it., 2006, V, 85), di ritornare tendenzialmente a un rito<br />

ordinario che assorba le controversie sin qui distinte sulla base della situazione<br />

sostanziale oggetto di lite (locazione, rapporto societario, sanzioni<br />

amministrative, infortunistica), lasciando al giudice la differenziazione, nel<br />

senso di allentare la trattazione, autorizzare memorie, consentire un più ampio<br />

sv<strong>il</strong>uppo difensivo in relazione alla concreta complessità della causa, se-<br />

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