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Antonello Ardituro<br />

dei programmi organizzativi degli uffici ad opera del Csm, nonché quelle<br />

che hanno introdotto per legge incisivi poteri di controllo nell’assegnazione<br />

dei procedimenti e nell’emissione delle misure cautelari, fino a giungere<br />

alla norma manifesto del Procuratore della Repubblica quale titolare esclusivo<br />

dell’azione penale.<br />

In questo ambito, anche <strong>il</strong> rafforzamento della distinzione delle funzioni<br />

e <strong>il</strong> divieto di assegnazione degli uditori giudiziari alle Procure sono<br />

funzionali a un isolamento sempre più marcato fra pubblici ministeri e<br />

giudici, foriero dell’introduzione della agognata divisione del Csm in due<br />

distinte sezioni.<br />

Si tratta di un complesso di interventi che mirano a ridimensionare <strong>il</strong><br />

potere diffuso che negli anni si è radicato nel nostro ordinamento in capo<br />

ai magistrati del pubblico ministero, proprio perché ritenuto <strong>il</strong> più alto<br />

strumento idoneo a garantire l’obbligatorietà dell’esercizio dell’azione penale<br />

e l’eguaglianza di tutte le persone di fronte alla legge, nonché la tutela<br />

dei soggetti più deboli.<br />

Occorre muovere innanzitutto dall’abrogazione dell’art. 7 ter co. 3 della<br />

previgente legge di ordinamento giudiziario che, nell’interpretazione ed<br />

applicazione del Consiglio superiore della magistratura, consentiva, dopo<br />

un’evoluzione ermeneutica e regolamentare faticosa e non senza contraddizioni,<br />

un penetrante controllo sui programmi organizzativi delle Procure,<br />

alla stregua ormai di quanto tradizionalmente previsto per le tabelle degli<br />

uffici giudicanti. Si è iniziata di conseguenza, ed è ancora in corso, soprattutto<br />

in virtù del recente avvio dei nuovi Consigli giudiziari, una riflessione<br />

sulla residualità di un qualche potere di controllo in capo agli organi<br />

di autogoverno, da recuperare sulla base del dettato costituzionale. Sul<br />

punto particolarmente avanzato è <strong>il</strong> tentativo elaborato dal Consiglio giudiziario<br />

di Roma nella precedente cons<strong>il</strong>iatura. Il punto dovrà essere affrontato<br />

nuovamente dai Consigli giudiziari al fine di sollecitare nuove riflessioni<br />

al Csm: la partecipazione dei laici e dell’avvocatura ai Consigli<br />

giudiziari, nella materia dell’organizzazione degli uffici, fortemente voluta<br />

dal legislatore, sarebbe incoerentemente menomata dalla drastica riduzione<br />

dei poteri di controllo proprio sull’organizzazione degli uffici requirenti.<br />

Il Consiglio superiore, nella fondamentale risoluzione del 12 luglio<br />

2007, ha richiamato la giurisprudenza costituzionale e la precedente normativa<br />

regolamentare per riaffermare, a riforma vigente, <strong>il</strong> proprio ruolo<br />

di tutela dell’autonomia interna dei sostituti e di verifica della violazione<br />

dell’assetto costituzionale del potere diffuso dei magistrati requirenti, in<br />

relazione al concreto esercizio dei poteri del Procuratore di autoassegnazione<br />

degli affari e di revoca dell’assegnazione ai sostituti. Inoltre<br />

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