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vol I 685 [PDF] - Compagnia di San Paolo

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mancanza <strong>di</strong> una tutela maschile e in situazioni <strong>di</strong> <strong>di</strong>fficoltà della famiglia <strong>di</strong>origine.Infatti, poiché l’onestà della donna era considerata in pericolo in ognisituazione in cui mancava la tutela maschile, la sola con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> orfana <strong>di</strong>padre, o <strong>di</strong> vedova, o <strong>di</strong> moglie abbandonata dal marito era sufficiente pergettare un’ombra <strong>di</strong> sospetto sulla sua reputazione. In questi casi si <strong>di</strong>rebbeche la donna stessa, oltre che la famiglia, viveva l’internamento come una soluzionenecessaria per mantenere integra la sua reputazione. Inoltre, essendol’uomo il bread-winner per eccellenza, nel momento in cui veniva a mancarela sua figura non era raro che la famiglia cadesse in oggettive <strong>di</strong>fficoltà economiche.È perciò inevitabile che i due aspetti, ideologico e pratico, si presentinostrettamente collegati e che l’istituzione finisca per agire con un dupliceobiettivo: da un lato preservando l’onore della donna, e dall’altro consentendoal nucleo famigliare in <strong>di</strong>fficoltà <strong>di</strong> scaricare all’esterno del proprio bilancioil costo <strong>di</strong> un membro della famiglia. Non era necessaria una con<strong>di</strong>zione<strong>di</strong> in<strong>di</strong>genza per trovarsi in un tale bisogno, ma piuttosto il pericolo <strong>di</strong> caderenella vergogna <strong>di</strong> non riuscire a mantenere il livello <strong>di</strong> vita adeguato al cetosociale <strong>di</strong> appartenenza.Fin verso la metà del XVIII secolo, l’internamento costituì dunqueun’aspirazione dettata da una con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> bisogno al tempo stesso economicoe morale. Man mano che avanziamo nel secolo tuttavia, le <strong>di</strong>fficoltàeconomiche e la tutela morale delle giovani <strong>di</strong>vennero elementi secondari,presenti con saltuarietà, e via via sempre più assenti. Troviamo ancora riferimentioccasionali a questi fattori nella gestione delle piazze dell’opera. Nel1759 ad esempio, davanti al caso <strong>di</strong> una certa Ollivero con «buone qualitàpersonali» ma i cui parenti non potevano più pagare la pensione, si decise <strong>di</strong>tenerla senza assegnarle una piazza e <strong>di</strong> sfruttare le sue «abilità nella professione<strong>di</strong> speciaro» nella preparazione <strong>di</strong> acque me<strong>di</strong>cinali 172 . Nelle piazze <strong>di</strong>fondazione privata invece, il legame parentale prese il sopravvento su ognialtro requisito, fino a <strong>di</strong>venire <strong>di</strong> per sé motivo sufficiente per l’ammissione.Lo sviluppo <strong>di</strong> queste piazze, e soprattutto la creazione delle piazzeCrosa, imposero un’ulteriore “virata” dell’opera verso il ceto civile: questaera infatti la categoria sociale a cui dovevano andare le piazze. A questo puntoperò, e soprattutto a partire dagli anni Settanta del XVIII secolo, <strong>di</strong>versielementi mettono in evidenza un’aspirazione all’ingresso non più dettata dalbisogno ma dalla percezione dell’ammissione come <strong>di</strong> un privilegio e <strong>di</strong> un172ASSP, I, CSP, Repertori dei lasciti, 163, s.v. «Soccorso», or<strong>di</strong>nato del 23 <strong>di</strong>cembre 1759.107

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