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vol I 685 [PDF] - Compagnia di San Paolo

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un ambiente più ricco dal punto <strong>di</strong> vista educativo, con attività <strong>vol</strong>te a migliorarela qualità della vita delle alunne stesse.Lungi dal <strong>vol</strong>er fare indebite comparazioni con altre istituzioni che, seppurcon mandato <strong>di</strong>verso, raccoglievano un bacino <strong>di</strong> utenza molto vicino pergenere ed età a quello dell’istituto stu<strong>di</strong>ato, interessa sottolineare come, dallalettura dei primi articoli del regolamento, emergesse un’attenzione al concetto<strong>di</strong> educazione e <strong>di</strong> “soggetto da educare” che andava ben al <strong>di</strong> là del pur essenzialebisogno <strong>di</strong> istruire le persone, e che si esplicava soprattutto nell’impegnoa formare donne che al termine del percorso sarebbero risultate dotate <strong>di</strong> tuttiquegli strumenti che avrebbero consentito loro <strong>di</strong> ricoprire un determinatoruolo sociale. Ancora una <strong>vol</strong>ta emerge la ricchezza dei contenuti <strong>di</strong> tali normee la definizione sempre più univoca del target a cui si ri<strong>vol</strong>geva l’istituzione:alle ormai “<strong>di</strong>menticate” giovani in pericolo <strong>di</strong> perdere l’onore, si sostituivanodonzelle <strong>di</strong> civile con<strong>di</strong>zione che attraverso una buona educazione morale, intellettualee fisica si apprestavano a <strong>di</strong>venire buone madri <strong>di</strong> famiglia.Quest’ultimo aspetto non deve essere sottovalutato, soprattutto sesi pensa che l’educazione e l’istruzione erano concepite in modo <strong>di</strong>verso aseconda dei ceti sociali a cui si ri<strong>vol</strong>gevano: per i figli dei nobili, come perquelli delle famiglie definite <strong>di</strong> «civile con<strong>di</strong>zione», educazione e istruzioneerano funzionali al ruolo che gli stessi avrebbero ricoperto nella società e alleresponsabilità cui sarebbero stati chiamati; per i ceti popolari, invece, offrireuna forma <strong>di</strong> educazione, che poteva tradursi nell’istruzione, era ritenutaopera <strong>di</strong> carità più che <strong>di</strong>ritto della persona e come tale sembrava esseremaggiormente appannaggio della beneficenza che delle pubbliche autorità 69 .Riconoscendo all’educazione la facoltà <strong>di</strong> preparare il soggetto a ricoprireun particolare ruolo sociale, vi si attribuiva una grande responsabilità, taleper cui l’educazione ricevuta <strong>di</strong>ventava requisito essenziale per accedere omantenere una determinata posizione sociale.Educare donzelle <strong>di</strong> «civile con<strong>di</strong>zione» era dunque <strong>di</strong>verso da occuparsi<strong>di</strong> giovani “pericolanti”, non solo perché <strong>di</strong>versa era la dotazione <strong>di</strong> partenza,ma soprattutto perché le stesse erano destinate a ruoli <strong>di</strong>fferenti. Nel casoeducativo dell’opera, tale regolamento si esprimeva così: «art. 3. Il Monastero procura alleorfane una educazione religiosa e propria del loro stato; insegna loro a leggere e scrivere, e glielementi d’aritmetica, e le occupa nei lavori propri del sesso, come quelli, che devono formareil principale loro mezzo, onde poter provvedere alla loro sussistenza ritirandosi dal Monastero»(ast, s.p., Monastero delle Povere Orfanelle <strong>di</strong> Torino, Titoli Costitutivi e memorie storiche,m. 19, fasc. 1, Regolamento pel Monastero delle povere orfane <strong>di</strong> Torino, Torino, TipografiaMarietti, 1832).69Chiosso, 1997, p. 182.205

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